Specchi e serenate
Il Concerto per clarinetto di Mozart con Fabrizio Meloni solista è incorniciato fra la Serenata di Carlo Boccadoro (anche direttore) in prima esecuzione assoluta e quella n. 2 di Brahms, entrambe caratterizzate dall'assenza dei violini in organico. L'impaginato originale, ben costruito, valorizza gli artisti ospiti e conferma le qualità della Filarmonica Marchigiana.
Fabriano, 15 marzo 2025 - Secondo Isaac Davies, protagonista del film Manhattan, uno dei motivi per cui vale la pena vivere è il secondo movimento della sinfonia Jupiter. Se volessimo stare al gioco, potremmo ribattere proponendo come valida alternativa l'Adagio dal Concerto per clarinetto K 622, di tre anni successivo e ispirato dall'ammirazione e dall'amicizia per il virtuoso Anton Stadler, attraverso il quale Mozart aveva scoperto il potenziale dello strumento nelle sue più recenti evoluzioni tecniche (e nella variante di bassetto). Oggi, alla ribalta nei teatri marchigiani, troviamo a ereditare il ruolo di Stadler il primo clarinetto della Scala, Fabrizio Meloni, nuovo ospite eccellente della stagione della Form. Con scrupolo filologico, il suo ingresso non è rimandato all'esposizione solistica del suo tema, ma è subito unito all'orchestra, da cui sorge poi rimodellando lo spunto collettivo in una voce personale. Si afferma subito un rapporto strettissimo fra singolo e collettività, uno scambio continuo in cui il suono di Meloni, perfettamente tornito in tutta l'estensione (magnifici i gravi per cui Stadler era famoso), mantiene un'affabile tenerezza pur nella continua, energica propulsione. Le grandi arcate di fiato pronte a sostenere senza soluzione di continuità note tenute, gradazioni dinamiche ora accarezzate in un palpito ora distese per varie battute, fitte articolazioni virtuosistiche. Tutto appare saggiamente naturale e razionale, come la partitura esige. Peccato solo che dopo questa mirabile prova mozartiana, un gioiello oltre che di tecnica di sensibilità ed equilibrio d'interprete, non sia seguito un bis, che avremmo senz'altro gustato con gioia: forse che, dandolo per scontato, si sta perdendo, da parte del pubblico, l'abitudine a chiederlo?
Ad ogni modo, il programma che fa da corona al concerto solistico non si accontenta di fungere da cornice e offre altri motivi di soddisfazione con una costruzione assai intelligente dell'impaginato, in una sorta di parabola sonora che iscrive la ricchezza timbrica e la luce di questo Mozart fra due brani di tutt'altro colore e spessore strumentale, per la peculiare assenza dei violini. La Form che così bene dialoga con Meloni in uno screziato classicismo mostra, così, anche un lato più caldo e umbratile nella ben nota Serenata n. 2 di Brahms e nell'inedita – è commissione dell'orchestra in prima assoluta – Serenata di Carlo Boccadoro, anche sul podio come direttore.
Un ruolo non prevarica l'altro e, anzi, si garantisce nella serata un equilibrio in cui le caratteristiche di ogni partitura e ogni autore sono definite pur in una saggia linea di continuità. Mozart gode del respiro naturale di cui dicevamo, chiaro e mordente. Il pathos sempre più va permeando le ultime opere del Salisburghese sembra riproporsi sottotraccia, insieme con la serenità formale, nelle due serenate, con il clima notturno enfatizzato dall'assenza dei violini in cui coesistono un'avvolgente morbidezza e una sottile, malinconica inquietudine.
Parlando della propria partitura, Boccadoro lo definisce “più serena rispetto al mio solito”, ma pure in questo intarsio quasi cameristico – e ricercato sul piano degli incastri ritmici - traspare un senso di foscoliana “fatal quiete”. La distinzione in due movimenti definiti in base al metronomo (I. semiminima 110, II. semiminima 115) sembrerebbe quasi suggerire un taglio scientifico, oggettivo rispetto alle tradizionali denominazioni usate da Brahms (Allegro moderato, Scherzo: Vivace – Trio, Adagio non troppo, Quasi Menuetto – Trio, Rondò: Allegro), ma quello che si crea è un rapporto quasi speculare, complementare fra i due pezzi. La pagina contemporanea, appena increspata in una lievissima accelerazione, ha vita ciclica nell'incremento del suono e nella sua nuova rarefazione; quella ottocentesca si sfaccetta nelle caratterizzazioni classiche dei movimenti: entrambe, con la centralità di viole e violoncelli, intrecciano discorso di fiati e percussioni amabile quanto ricco di sfumature e sottintesi.
Così come l'atmosfera della Serenata di Boccadoro, il succedersi delle diverse sequenze di quella di Brahms è esposta dalla Form con la guida del direttore/compositore con persuasiva eloquenza e ragionata naturalezza.
Davvero un bel concerto, accolto con calore dal pubblico di Fabriano che anche in questa occasione conferma il meritato incremento di presenze registrato dall'orchestra negli ultimi anni. Dopo il Covid, a partire dal biennio con la direzione principale di Alessandro Bonato che aveva accompagnato con ottimi esiti artistici proprio i momenti duri della ripreda dal primo lockdown, nonostante gli incerti amministrativi trascorsi, l'orchestra Regionale delle Marche ha visto crescere e consolidare la propria qualità e oggi, con la direzione artistica di Francesco Di Rosa, sono aumentate le trasferte (questo stesso programma è in cartellone anche a Milano) così come il riconoscimento al botteghino. Speriamo che quello delle istituzioni e dei finanziatori pubblici e privati vada di pari passo.