L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Danza sacra

 di Roberta Pedrotti

Un concerto con le danze del Guillaume Tell e lo Stabat Mater dedicato alla memoria di Paolo Vero chiude la trentaseiesima edizione del Rossini Opera Festival. La bacchetta di Michele Mariotti, con una lettura di meditata intensità, conferisce interesse e profondità all'accostamento. Qualche perplessità sulla compagnia di canto, mentre coro e orchestra del Comunale di Bologna di mostrano ispirati e in buona forma.

PESARO, 22 agosto 2015 - Si chiude il trentaseiesimo Rof, l'ultimo ad andare in scena con la direzione artistica di Alberto Zedda, cui da gennaio succederà ufficialmente Ernesto Palacio. Si chiude con quella che è più di una promessa, è l'impegno concreto per la riqualificazione e l'agognata riapertura del vecchio Palafestival di Viale dei Partigiani, che restituirebbe al Festival la sua sua originaria, indimenticabile atmosfera tutta raccolta nel centro cittadino. I fondi e i progetti ci sono, i tempi tecnici permetterebbero di portare a termine i lavori in tempi brevi; la data della riapertura dipenderà dalla burocrazia e, realisticamente, si potrà riprendere a programmare al vecchio/nuovo Palafestival dal 2017, considerata la necessità per la vendita dei biglietti e la progettazione degli allestimenti scenici di disporre della struttura con più di sei mesi d'anticipo.

Si chiude con la splendida sensazione di aver goduto di un festival equilibrato, senza spettacoli di ampie proporzioni e vertiginose ambizioni, ma ricchi di belle conferme, scoperte e riscoperte, che hanno nettamente superato eventuali inevitabili inciampi e che ci fatto rivivere il clima festoso e amichevole all'insegna dell'amore per Rossini caratteristico del Festival, con più d'una una prospettiva confortante per il futuro.

Si chiude con un grande concerto che dal Teatro Rossini, come d'abitudine, si irradia per tutta la città dal maxischermo in Piazza del Popolo e che sancisce, con un'ulteriore diffusione, la consacrazione della nuova piattaforma streaming del Comune di Pesaro. Già utilizzato in via sperimentale lo scorso anno per la Petite Messe Solennelle e riproposta per la prima del Viaggio a Reims dell'Accademia il 14 agosto, lo streaming pesarese servirà, naturalmente, anche per altri eventi locali, ma sarà soprattutto lo strumento con il quale la candidata a Città della Musica si inserisce nel circuito internazionale di trasmissioni live di opere e concerti, ampliando globalmente la platea del Rof.

La serata si apre con l'esecuzione integrale delle danze dal Guillaume Tell, compreso il Pas de deux che venne ripreso nella produzione del 1995 ma non in quella del 2013 (omissione ben giustificata dai travagli esecutivi che, intorno alla prima del 1829, videro una continua metamorfosi dei cosiddetti divertissement fra tagli, sostituzioni e spostamenti dei singoli numeri). Il ricordo delle imprescindibili coreografie di Ron Howell per lo spettacolo di Graham Vick resta indelebile nel ridisegnare ed esaltare il valore sostanzialmente drammaturgico e non meramente esornativo di queste danze. D'altra parte, con l'orchestra sul palco, il lavoro di Michele Mariotti, maturato nell'arco di due anni anche attraverso la ripresa bolognese dello scorso autunno, pare vieppiù esaltato. Se Howell e Vick ci avevano mostrato come i balletti siano parte integrante del dramma, Mariotti ribadisce che non si tratta di musica disimpegnata e decorativa, bensì di altissima qualità. E lo fa con una gestione perfetta dei crescendo, con un gioco dinamico di caleidoscopica varietà, una filigrana studiata nel minimo dettagli, fra rubati, accenti, timbri e colori, perfettamente levigata nello stile, senza mai uscire dai binari del gusto, con pari intelligenza ed eleganza. Così, finalmente, con il suo direttore musicale, l'Orchestra del Comunale di Bologna dimostra cosa è in grado di fare, offrendo una prova d'alto livello, concentrata e ispirata. A questi livelli non c'è posto per l'errore d'approssimazione: se mai una nota dovesse non esser perfetta, sarebbe per ricerca estrema del dettaglio, per spasimo minuzioso nel cesello.

Il culmine dell'ispirazione si tocca, però, nel trasporto commosso dello Stabat Mater dedicato, nella seconda parte, alla memoria di Paolo Vero, il maestro del coro prematuramente e improvvisamente scomparso poche settimane fa e che cinque anni fa era a Pesaro proprio per lo stesso Stabat Mater diretto per la prima volta da Mariotti con i complessi del Comunale di Bologna.

Nei numeri di danza che ne prevedevano il contributo, il Coro (preparato ora da Andrea Faidutti) aveva già dato prova di buona forma e concentrazione, ancora accresciuti, dunque, per la grande e gloriosa pagina sacra, nella quale la bacchetta di Mariotti ha rinnovato l'incanto di cinque anni fa con una lettura profondamente differente, metabolizzata e rinnovatasi con il tempo, fattasi più sofferta e meditativa, ancor più rifratta fra luci e ombre, meno eclatante nello sbalzare tensioni, fiammate e astrazioni, classico e romantico. Questi stessi elementi sono ora intimamente vissuti, interiorizzati, un moto iridescente e autentico dell'anima. Come tale, modella il tempo, sì che talora basta un millimetrico ritenuto per dare una sensazione di angoscia, sospensione, tensione senza dilatare il tempo, né, viceversa, precipitarlo come l'impeto dell'Amen, ben altrimenti delibato anche nella sua potenza straordinaria e irruente, potrebbe render prevedibile. Il controllo tecnico di Mariotti è perfetto strumento di un'analisi intellettuale lucida e profonda, di una sensibilità acuta e toccante, mai scontata, che non possono non lasciare il segno.

Non sempre all'altezza la resa dei cantanti, fra i quali ha spiccato un René Barbera evidentemente più coinvolto e stimolato a livello musicale dalla bacchetta rispetto alla Gazza ladra. La facilità in acuto resta e lo favorisce nel Cuius animam, si aggiunge, gradita, una linea vocale più sfumata.

Purtroppo decisamente fuori forma Nicola Ulivieri, che non possiede la cavata ieratica auspicabile per il Pro peccatis e il Fac ut ardeat, nel quale, peraltro, la difficoltà con gli estremi della tessitura lo fa incappare in attacchi brutti e sgraziati. Anna Goryachova, visibilmente tesa, non chiude nel migliore dei modi il Fac ut portem e, in generale, conferma le perplessità destate dalla ricerca di un suono schiettamente mezzosopranile quando non addirittura contraltile, con conseguente apertura e indurimento di un acuto, evidenti forse più nell'opera che nella levigatezza orante richiestale nello Stabat, ma sempre foriera di limitazioni nell'interpretazione e nella proiezione. Limitazioni sofferte anche da Yolanda Auyanet, che tante volte ha dato prova di affidabilità professionale, cogliendo esiti anche pregevoli per gusto e musicalità, pur senza imporsi con una personalità travolgente. In questo caso, però, la scrittura dello Stabat, specialmente del duetto Quis est homo e dell'aria Inflammatus et accensus, la mette duramente alla prova: l'acuto risulta più secco e tagliente, la linea vocale frastagliata e accidentata, il suono non sempre ben presente e a fuoco.

Ciò nonostante è una festa, per la bacchetta, per il coro e per l'orchestra. Dopo qualche istante di raccoglimento scattano applausi interminabili, che ci auguriamo di buon auspicio per un Rof che non potrà essere sempre perfetto, come perfetto nelle prove solistiche non è stato questo Stabat, ma che dovrà sempre conservare lo spirito, la passione, la profondità e la levità che ne hanno costituito l'essenza e la forza. La conferma di Mariotti per La donna del lago, la presenza, per la prima volta, di Jader Bignamini nel Ciro in Babilonia e il debutto pesarese dell'emergente Speranza Scappucci per Il turco in Italia fanno ben sperare per l'edizione 2016, con regie, vecchie e nuove, di nomi ben noti come Damiano Michieletto e Davide Livermore.

foto Amati Bacciardi


 

 

 
 
 

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