L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Musica d'insieme

di Roberta Pedrotti

Luigi Piovano dirige la Filarmonica marchigiana in un bel programma con solista un Boris Petrushansky in splendida forma e ampio spazio per le qualità individuali e d'assieme dell'orchestra.

MACERATA, 9 aprile 2024 - Non dimostra proprio i suoi quasi settantacinque anni Boris Petrushansky: volto disteso incorniciato da barba e capelli bianchissimi, occhi limpidi e vivaci e, quando si siede al pianoforte, una freschezza di tocco intatta, coltivata con infaticabile costanza e approfondita, quello sì, con l'esperienza. Il suo secondo Concerto di Brahms inchioda all'ascolto con un suono pieno e penetrante, tornito con quella sapienza tecnica che si fa espressione naturale e non conosce forzature ed esibizioni muscolari. Tutt'altro: fraseggia con grazia decisa, giostra i rapporti agogici e dinamici con sapiente misura e intenzione, trova una bella complicità musicale con un'orchestra che Brahms sollecita al dialogo, anche individuale, con il solista, per esempio nel lungo e splendido duetto offerto a pianoforte e violoncello. E proprio dal violoncello viene il direttore di questa sera, Luigi Piovano, che, deposto l'archetto per la bacchetta, con l'orchestra regionale marchigiana conferma una bella intesa, che si traduce nel bel senso di condivisione costante attraverso i quattro movimenti brahmsiani. La stessa libertà, l'estro del solista trova sempre immediata e disinvolta risposta nell'orchestra, senza perdere mai il filo coerente dell'articolazione. Il bis con la Rapsodia dall'op. 119 sempre di Brahms non fa che confermare, da parte di Petrushansky una visione sicura, sintetica e analitica poggiata su una tecnica e una presenza sempre mirabili.

Nella seconda parte del programma, ancora un pezzo sovradimensionato rispetto alla consuetudine formale classica: dopo un concerto in quattro movimenti, ecco una sinfonia in cinque, la Renana di Schumann. E, ancora, un'opera che sollecita le qualità di singole sezioni e prime parti, come già il concerto di Brahms, che oltre al solo del violoncello mette, per esempio, anche in evidenza le qualità del corno. Nella sinfonia, poi, la vivacità quasi fisica dei tempi danzanti – non solo il Ländler del secondo movimento, ma pure almeno nel finale – esalta i rapporti timbrici, i fondamentali interventi di legni (i clarinetti nel terzo movimento, i fagotti) e ottoni (ancora corni e tromboni), l'articolazione degli archi. Si conferma, con la buona qualità della Filarmonica marchigiana, la sintonia con Piovano, che sembra quasi mostrare dal podio l'affetto partecipe del collega nell'imprimere alla Quinta (e ultima) schumanniana un passo vitale e gioioso, puntando sull'energia di Florestano, protagonista assoluto che qui sembra proprio non voler concedere spazio alla sua ombrosa controparte Eusebio. E i cinque movimenti scivolano via come la corrente spumeggiante di un fiume, ora più placido, ora più impetuoso, lasciando al pubblico l'immagine non solo di individualità, ma soprattutto di una bella coesione nell'idea di far musica insieme.


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