L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fragore e riflessione

di Sergio Albertini

 Un bel programma attraversa gli Stati Uniti, la Francia e l'Unione Sovietica fra gli anni '20 e '40 del Novecento, ma se l'Orchestra del Lirico di Cagliari merita sempre lodi, la bacchetta di Fabio Mastrangelo desta qualche perplessità.

CAGLIARI, 13 aprile 2024 - Un ventennio del Novecento, da L'amour des trois oranges (Chicago, 30 dicembre 1921) a Les animaux modèles (Parigi, 8 agosto 1942) e alla Symphony no. 1 Jeremiah (New York, 28 gennaio 1944). Di qua e di là dell'Atlantico, da Prokof'ev a Poulenc a Bernstein. Ancora una volta, nella stagione concertistica del Lirico, l'orchestra cagliaritana dà prova di una duttilità, d'una coesione tra le sezioni, di una brillante presenza delle prime parti che continua piacevolmente a sorprendermi. Il Novecento storico pare si addica bene a questa compagine, pure priva di un Direttore stabile, o sia anche di una Principale Ospite. Una bella resa orchestrale funestata (a mio unico e modesto avviso) da una direzione istrionica, parossistica fino al parodistico di Fabio Mastrangelo: inelegante nel gesto come pochi, tutto saltelli avanti e indietro sul podio, alzate di spalle, giramenti di polsi, smorfiette, indicazioni al pubblico (a cui dà le spalle) con ditino che è giunto il momento di applaudire, battuta tra il pezzo di Poulenc e quello di Prokof'ev, ingresso della solista tra il secondo e il terzo movimento della sinfonia di Bernstein. Diciamo, ad essere gentile, una direzione alquanto disinvolta. Ma forse piace all'orchestra: lo si legge nei loro occhi al termine, lo si coglie dal consenso di bacchette sul leggio e dal calpestio dei piedi sull'impiantito. E allora, al critico non resta che raccontare una serata che, andata a buon fine, con cronica carenza di pubblico nel turno del sabato, si apre nel nome di Bernstein. Quel Bernstein, figlio dello studioso del Talmud (ma anche uomo di affari nell'ambito dei prodotti di bellezza) Samuel, che studia privatamente pianoforte (con Helen Coates e Heinrich Gebhard), frequenta la Boston Latin School, poi Harvard (qui musica con Walter Piston), che nel '39 si perfeziona in pianoforte con Isabella Vengerova, studia direzione d'orchestra con Reiner e si specializza a Tanglewood tra il 1940 e il 1941 con Serge Koussevitsky, e nel '42 ne diviene assistente.

Mentre l'Europa si avvia verso la catastrofe di una impietosa e sanguinosa guerra, il 28 gennaio del 1944 debutta (alla Moschea Siriana di Pittsburgh) della sua prima sinfonia, Jeremiah, con la Pittsburgh Symphony Orchestra. Tre settimane dopo Bernstein la dirige con la Boston Symphony, in aprile quattro volte con la New York Philharmonic, conquistando il premio del circolo dei critici musicali newyorchesi. Negli anni successivi la sinfonia viene portata da Bernstein a Chicago, ancora New York, St. Louis, Detroit, Rochester, Praga e Gerusalemme.

Nel 2018, centenario della nascita di Bernstein, la Jeremiah ebbe novantasei esecuzioni da cinquantasei orchestra in ventitré paesi del mondo. Arriva a Cagliari, ed è l'aprile 2024. Dopo l'ottima l'orazione di apertura del corno (Luca Maria Leone) e la risposta dei legni acuti, Mastrangelo fa 'scivolare' distrattamente le variazioni sui due temi combinati, uno che proviene dall'Amidah (la solenne preghiera delle “Diciotto Benedizioni”) e uno dal K'rovoh (l'espansione poetica delle stesse “Diciotto Benedizioni”). Esaspera i forte del secondo movimento, quasi una lettura bombastica, tronfia, dentro la quale però si apprezza la precisione ritmica dell'orchestra negli accenti e nelle sincopi e il contrappunto lirico nella parte centrale del movimento. L'architettura della sinfonia rimanda ad un idioma neo-stravinskiano, e forse Mastrangelo, intriso di ventun anni vissuti in Russia, ne esalta involontariamente i rimandi. Manca invece totalmente di immediatezza nell'articolazione del terzo movimento; Elizaveta Mikhailova (più soprano corto che mezzosoprano), di fresca presenza scenica, appare coinvolta e impegnata nel testo tratto dal Libro delle lamentazioni, ma la sua voce ha poca proiezione e viene troppo spesso coperta dalla massa orchestrale.

Nessuna attenzione, invece, Mastrangelo pare porgere alla raffinata scrittura di Poulenc che, vale ricordarlo, più che un divertissement è una sorta di parabola della Francia sotto occupazione (scomodo il rimando a Ucraina sotto occupazione russa?); la suite che è in programma da Les animaux modèles utilizza sei brani dagli otto che costituiscono l'intero balletto, rappresentato all'Opéra-Garnier l'8 agosto del 1942. Un susseguirsi di scene associate a vari animali, con in particolare Le lion amoureux in cui hanno modo di mettersi in evidenza gli archi dell'orchestra del Lirico, capitanati dal primo violino di Olcsya Emelyanenko. Bella riuscita anche la quinta scena, Les deux coqs, con quelle strappate degli archi che poi si stemperano in tempo ternario, fino al tema accentato della tromba (Luigi Corrias) e il glissato delle arpe (Maria Vittoria De Camillo e Giulia Bigioni).

Conclusione con la suite sinfonica op. 33 bis da L'amour des trois oranges di Prokof'ev dove Mastrangelo dà forse prova migliore, esaltando il frastuono orchestrale del primo movimento (I ridicoli), il misto di grottesco e misterioso del secondo (Il mago Celio e la fata Morgana giocano a carte), la nota, beffarda Marcia, fino al finale, con la bella melodia affidata alla viola (Salvatore Rea). Luci e ombre, ma certamente un terzo appuntamento consecutivo col Novecento che rende interessante la programmazione concertistica del Lirico e che esalta l'alto livello dell'orchestra. Poco pubblico, come pare oramai consuetudine per il turno pomeridiano del sabato. Quello presente, ha applaudito con convinzione.

Sergio Albertini

Cagliari 13 aprile 2024


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