L’Ape musicale

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Falstaff nel paese delle meraviglie

 di Antonino Trotta

Falstaff al Regio di Torino: ottimi i protagonisti di entrambi i cast, buoni i comprimari. La direzione di Renzetti offre una lettura coinvolgente del capolavoro verdiano nonostante qualche problema di coordinamento con i solisti.

TORINO, 17-18 Novembre 2017 – Dopo le ombre del Tristan di Wagner, il Regio di Torino sceglie di mettere in scena il Falstaff di Giuseppe Verdi, ultimo capolavoro del genio italiano, che assorbe senza ammetterlo l’influenza del compositore d’oltralpe.

Assai piacevole la regia di Daniele Abbado che propone un allestimento molto fiabesco. Un enorme praticabile circolare, ormai tratto caratteristico del regista, campeggia sul palcoscenico e concentra tutta l’azione. Alla staticità della piattaforma inclinata si contrappone il dinamismo degli elementi decorativi che si muovono lungo tutte le direzioni dello spazio. Nel primo atto i mobili fluttuanti introducono l’idea di una dimensione che scava nella psicologia del protagonista, offrendo al pubblico l’opportunità di essere proiettati direttamente nel grottesco mondo del personaggio shakespeariano. Curate le luci di Luigi Saccomandi, che arricchiscono le sobrie scenografie di Graziano Gregori. Essenziali i costumi di Carla Teti.

Donato Renzetti, chiamato a sostituire Daniel Harding indisposto per un problema al polso, offre una lettura briosa dell’opera, valorizzando il denso materiale musicale che deborda dalle pagine dell’ultimo capolavoro verdiano. L’interpretazione di Renzetti, adeguatamente canalizzata dall’orchestra del Teatro Regio, spicca per lucentezza nei momenti più giulivi, attenzione alle sfumature ritmiche e dinamiche, incisività negli accenti impressi allla compagine strumentale che fa da contraltare alla narrazione comica. Raffinati i variegati colori che emergono nelle transizioni caratterizzate da repentini salti agogici. Problematica invece l’interazione con solisti e coro (specialmente nella recita di venerdì 17), in particolar modo nei passaggi più incalzanti, dove la tendenza del direttore ad anticipare i cantanti, aggravata dalla scelta di tempi molto serrati, ha reso periclitante l’esecuzione di alcuni frammenti.


Il Falstaff di Alvarez diverte e commuove

Ottima la prova di Carlos Alvarez nei panni del cavaliere in disarmo. La cifra caratteristica della sua interpretazione risiede nella mirata ricerca del personaggio che va al di là delle vicissitudini fantozziane: il Falstaff di Alvarez diverte e commuove, evidenzia i dissidi interiori ed enfatizza quell’amara nostalgia degli anni passati di cui si tinge il monologo dell’ultimo atto. Alla ricerca drammatica così minuziosa si accompagna un’eguale raffinatezza nel canto, che ben valorizza la parola scenica in tutte le sue sfumature. La voce di Alvarez è luminosa, potente anche nella zona più acuta, sempre corretta nell’emissione. Molto interessanti la scelta degli accenti che restituiscono al personaggio tutta la caratura nobiliare.

Interessante la voce del baritono Tommi Hakala che drappeggia con intelligenza e incisività il personaggio di Ford. Nonostante qualche leggera forzatura nella voce, il fraseggio è nitido e permette di fruire di tutti i dettagli della partitura. Meno nobile il Fenton di Francesco Marsiglia, che appare sfogato nella tessitura acuta e abbastanza piatto dal punto di vista dinamico.

Lunare Valentina Farcas nelle vesti di Nanetta. La voce cristallina corre perfettamente nella sala del Regio di Torino, permettendo al pubblico in sala di apprezzare tutte le sfumature della parte. Celestiale nella difficile aria finale, il soprano esalta con filature e smorzature la liricità della fanciulla innamorata. L’uso corretto della respirazione e del legato le hanno consentito di delineare una figura evanescente e onirica. Erika Grimaldi tratteggia un’Alice molto sensuale. Il bel timbro lirico ben si presta alla duttilità del personaggio, risultando interessante sia nei momenti cantabili sia in quelli più goliardici. Buona la prova di Monica Bacelli (Meg).


II Cast (18 Novembre):

Magnetico il Falstaff di Carlo Lepore: dal punto di vista scenico, il cantante tratteggia un personaggio gaio, ironico, pimpante, irresistibile nella mimica facciale, che si appropria della scena con grande maestria e professionalità rendendo giustizia al tragicomico protagonista verdiano, senza cadere in quei vezzi comici che vanno a discapito della coerenza musicale. La voce brunita, timbrata e tonante in acuto gli consente di affrontare la parte senza sbavature. Lodevole il limpido fraseggio, la facilità nelle agilità e soprattutto la solidità dell’emissione che trasmette grande sicurezza all’intera lettura.

Buona la prova di Simone Del Savio nei panni dell’impetuoso Ford. Il baritono, caratterizzato da una voce robusta e sufficientemente ampia, risolve bene il personaggio scenicamente e vocalmente, sacrificando qualche volta la pulizia della linea melodica per una esasperata veemenza drammatica. Molto appassionato nel duetto con Falstaff al secondo atto, nonostante il falsetto un po’ evanescente e qualche sbavatura di emissione nella zona grave durante il monologo.

Affiatate le allegre comare di Windsor. Rocìo Ignacio (Alice) ha una voce che appare voluminosa, potente, dalle venature drammatiche, ben proiettata e incisiva in acuto (svetta al di sopra dell’orchestra e degli altri comprimari senza sforzo nel concertato finale). Purtroppo si avverte la mancanza di leggiadria e morbidezza nella linea di canto, fondamentale in un ruolo così arguto e frizzante, inficiato anche dalla presenza di un vibrato non controllato e altalenante. Molto gradevole Clarissa Leonardi nel ruolo di Mrs. Meg Page, mezzosoprano dal timbro pastoso. Aurorale nel ruolo di Nanetta, Damiana Mizzi propone una fanciulla smaliziata e sognante. La voce luminosa e morbida risponde bene agli intenti verdiani: nonostante qualche imprecisione nel duetto al primo atto e una appena percettibile insicurezza nell’aria finale, il giovane soprano si distingue per l’ampia gamma di dinamiche, passando senza forzature da eterei pianissimi a poderosi acuti disseminati qui e là nei concertati. Ottimo compagno di avventura è il giovane tenore peruviano Ivan Ayon Rivas (Fenton) che sfoggia una voce altrettanto luminosa, moderatamente voluminosa, squillante e ben ammaestrata che ben plasma tutti i melliflui lirismi del personaggio. Particolarmente apprezzabile la ricerca di accenti poetici e smorzature nell’intreccio musicale con Nanetta.

Non convince Sonia Prina dei panni di Mrs. Quickly (in entrambi i cast). Nonostante il personaggio sia stato affrontato scenicamente con simpatia e intelligenza, durante il corso di ambo le serate sono stati avvertiti non pochi problemi di emissione, particolarmente evidenti negli estremi della tessitura (acuti fissi e affaticati, note gravi non ben proiettate). Completano il cast un esplosivo Andrea Giovannini (dottor Cajus), il simpaticissimo Patrizio Saudelli (Bardolfo), al di là dell’eccessiva apertura dei suoni, e il basso Deyan Vatchkov (Pistola), non sempre preciso nei propri interventi e talvolta ingolato. Buona la prova del coro del Teatro Regio.

Suggellano entrambe le serate scroscianti applausi per direttore e solisti impegnati in quest’opera che supera indenne le mende d’esecuzione.  


 

 

 
 
 

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