L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fiorisca il giglio ognor

di Roberta Pedrotti

Torna come ogni anno al Rossini Opera Festival l'ormai storica produzione con i giovani dell'Accademia.

PESARO, 18 agosto 2023 - Ogni tanto si sente bisbigliare un interrogativo: dopo più di vent'anni, non sarà il caso di cambiare allestimento per Il viaggio a Reims annuale dell'Accademia rossiniana? Ci sentiamo dare una ferma risposta negativa: scene e costumi non costano praticamente nulla e stanno bene ovunque. L'abbiamo visto al caro vecchio Palazzetto di viale dei Partigiani, al Teatro Rossini e perfino nell'angusto Sperimentale: il praticabile e le sedie a sdraio pensati a suo tempo da Emilio Sagi vanno sempre benissimo. Gli accappatoi, le divise bianche, gli abiti da sera proposti dalla compianta Pepa Ojarguren si adattano a qualunque fisico. Tutto è così semplice, senza fronzoli e distrazioni, che i ragazzi sulla scena hanno agio per farsi notare come attori oltre che come cantanti, pur rimanendo in qualche modo protetti da un contesto familiare. Magari la regia (di recente ripresa dalle mani capaci di Matteo Anselmi) potrà sviluppare qualche soluzione nuova, ma non è certo qui la priorità del Festival. Il viaggio a Reims funziona bene e funziona sempre, quali che siano le fortune dei debutti di questa o quell'annata.

Nel 2023, considerata la collocazione non proprio comoda in una sala priva di buca dove l'orchestra di dispone sul palco, dietro all'azione, bisogna render merito al maestro Andrea Foti (classe 1996) di aver retto bene, senza sbavature e con buon equilibrio complessivo, le redini dello spettacolo. Non è poco e attendiamo, quindi, di risentirlo in nuove occasioni più favorevoli.

Sul palco, al solito, sfila una bella rassegna di energie ed entusiasmi, con diversi gradi di maturazione tecnica e vocale ed emotivo che ispirano sorrisi complici più che burbere alzate di sopracciglio.

Piace la Corinna di Martina Russomanno, dal bel fraseggio chiaro; parimenti desta buona impressione la coloratura brillante di Vittoriana De Amicis. Maria Rita Combattelli sembra forse un po' leggera per Madama Cortese, ma canta anche lei con molta grazia. Saori Sugyama mostra buon temperamento come Melibea e Seray Pinar è una Maddalena dalla voce ben proiettata, cui si aggiungono Miyoung Lee e Sabrina Gardez nelle brevi parti di Modestina e Delia.

Sul versante maschile, non sembra che la pesca sia andata benissimo quest'anno per i tenori e come Libenskof, unico nelle due recite, si chiama come esterno Pietro Adaini, per il quale si rinnova la punta di perplessità già sollevata in occasione della Cantata per Pio IX. Si trova, però, un nuovo interprete designato per Belfiore: si chiama Paolo Nevi, in scena è spigliatissimo, la voce è bella e ben controllata, promette di far parlare di sé.

Le voci gravi formano un buon gruppo promettente, con le vocalità baritonali tendenzialmente più brillanti e – al momento – chiare di Giacomo Nanni (Sidney) e Matteo Mancini (Don Alvaro), quelle un po' più scure di Giuseppe Toia (Don Profondo) e Andrés Cascante (Trombonok), ma anche di Omar Cepparolli (Don Prudenzio) senza dimenticare l'Antonio di Valerio Morelli né i tenori Luigi Morassi (Gelsomino e Zefirino) e Michele Galbiati (Don Luigino). Una menzione la meritano anche Ruben Sanchez Vieco al fortepiano e le prime parti della Filarmonica Rossini, Cristina Flenghi al flauto ed Eva Perfetti all'arpa.

Mentre una lacrimuccia torna a scendere – chissà perché? – con “Sul verde stelo fiorisca il giglio ognor” e il giovanissimo Re fa la sua apparizione, gli applausi finali accompagnano un pensiero. Quest'anno abbiamo assistito a due cantate celebrative, quella in morte di Maria Malibran e quella per l'inizio del regno di Pio IX; anche Il viaggio a Reims, pur essendo ufficialmente un dramma giocoso, ha tutte le caratteristiche della cantata, con i suoi richiami all'attualità, l'epifania finale dei ritratti dei sovrani indicata nel libretto, personaggi che sono allegorie di nazioni, virtù, arti, attività e caratteri. E, tuttavia, Il viaggio a Reims riesce a essere tutto questo, dottissima rete di metafore e simboli, pur presentandosi come una commedia: là dove personificazioni e divinità articolavano le lodi del celebrato, qui l'elettissimo consesso perde tempo in bisticci amorosi, carrozze ribaltate e banchetti. Sarà anche per questo che, dopo quasi duecento anni, non riusciamo a fare a meno del Viaggio a Reims? Così, lieve, ci ricorda di essere la più grande, inaspettata, riscoperta del Rof, il simbolo stesso della sua essenza, tanto cara e preziosa, da custodire e coltivare.


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