L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nodi lunari

di Roberta Pedrotti

Felicissimo esordio di Marta Torbidoni come Norma allo Sferisterio di Macerata in una nuova produzione che poteva contare su altri debutti di rilievo come quelli di Roberta Mantegna nei panni di Adalgisa e Antonio Poli come Pollione, sotto la direzione esperta e sapiente di Fabrizio Maria Carminati.

MACERATA 20 luglio 2024 - Un capolavoro come Norma esercita un fascino irresistibile e suscita timore reverenziale. Non se ne può fare a meno, ma pesano confronti, aspettative tradizioni, magari anche quelle che suggeriscono la via del taglio come un espediente per facilitare le cose. La nuova produzione del Macerata Opera Festival ribadisce che invece non è così: il Belcanto funziona quando si crede nelle sue forme e nelle sue logiche, le si accolgono e fanno vivere per ciò che sono. Non per nulla, negli ultimi anni, abbiamo avuto gli opposti esemplari dell'eccezionale produzione lombarda del 2022 (integrale - leggi la recensione) e di quella bolognese fallimentare del 2023 (tagliatissima - leggi la recensione). Come già per il bel Barbiere di due anni fa [leggi la recensione], non si teme, ora, di far le cose bene e per esteso e allo Sferisterio ancora una volta si fa Belcanto senza tagli e con tutti i crismi di una moderna consapevolezza dello stile. Fabrizio Maria Carminati, da esperto belliniano qual è, formato sotto l'ala di Bruno Campanella, ribadisce quanto sia vantaggioso fidarsi del compositore, rispettarne il respiro e il linguaggio. Norma si fa completa, con tutte le riprese e le transizioni, si esegue anche la coda di “Guerra, guerra”, non presente nell'autografo, ma legittimata dalle fonti prossime alla prima assoluta: facile supporre che Bellini non l'avesse prevista in prima istanza e inserita o approvata poi nel corso delle prove, rendendo la sua esecuzione pura e plausibile scelta poetica di direttore e regista. Qui funziona, coerente con la lettura di Carminati, che non disdegna il respiro tradizionale di alcuni rubati o dilatazioni agogiche, ma pure non indulge in atteggiamenti stereotipati o elasticità estremizzate, mantenendo sempre un saggio equilibrio, con chiarezza e sobrietà d'articolazione. Insomma, una di quelle recite che si godono pensando a quanto sia bello e difficile far semplicemente le cose per bene.

Per far le cose per bene, conviene pure seguire il dettato belliniano in tema di tonalità e rapporti fra le voci, vale a dire chiamando due soprani nella parti femminili principali. Detto fatto, ecco due voci affini per estensione e spessore, portate a equilibrarsi nei duetti senza confondersi e perdere di individualità: Norma è Marta Torbidoni, Adalgisa Roberta Mantegna.

La prima, originaria di Montemarciano a pochi chilometri da Ancona, aveva calcato il palcoscenico dello Sferisterio come artista del coro e ora vi torna, circondata dall'evidente affetto di tutti i musicisti, per uno dei debutti più importanti di una carriera. Enfant du pays, certo, ma anche trionfatrice con pieno merito, perché la voce morbida e luminosa fa riconoscere l'insegnamento di Mariella Devia nella cura dell'emissione sul fiato, nell'attenzione al legato, alle dinamiche, alla fluidità del virtuosismo anche negli abbellimenti più minuti insiti nella frase. Il personaggio emerge con autorevolezza e umanità, nobile nella passione come nella tenerezza. Nondimeno, Mantegna conferma il valore di una voce sopranile anche nella tessitura piuttosto bassa qual è quella della sortita, per poi fiorire nei duetti e nel terzetto, quando lei e Torbidoni possono muoversi nello stesso ambito e mostrare nel fraseggio la differenza fra la gran sacerdotessa e la novizia, la madre abbandonata e la vergine sedotta. L'agilità è esposta con slancio entusiasta e buona preparazione tecnica. Il mezzosoprano Carlotta Vichi conferisce ancor più in quest'occasione a Clotilde un'aura di materna saggezza.

Se il nodo di Adalgisa non è poi difficile da sciogliere (soprano deve essere, o al massimo un mezzosoprano capace di affrontare gli acuti della parte ed esprimerne la freschezza), oggi diventa quasi più impervio risolvere la questione del tenore. Ricondurlo ancora alla categoria del lirico spinto tardo romantico, assimilarlo a Radames o Calaf non è più possibile per la nostra sensibilità; il baritenore alla Donzelli prepara, sì, il terreno a un nuovo tipo di tenore eroico, ma lo fa in linea di continuità con il baritenore rossiniano alla Nozzari, pur non altrettanto spericolato (d'altra parte, basterebbe ascoltare le parti scritte per quest'ultimo da Mayr, Pacini o Donizetti, ben più caute). Per il Proconsole non cerchiamo Don Alvaro, ma nemmeno abbiamo bisogno di Rodrigo di Dhu: cosa dunque? Qualcuno che sappia cantare, che abbia autorevolezza virile e contezza dello stile, perlomeno. Antonio Poli è un tenore lirico dalla bellissima voce che da qualche tempo sta avvicinando parti più spinte, lasciando talvolta adito a qualche perplessità. Le sollecitazioni nel registro grave là dove si esige di scolpire il declamato possono impensierirlo, e sicuramente il momento del debutto accresce l'emozione nella cavatina, risolta con solido mestiere e onorando l'ascesa all'acuto. I possibili dubbi, ad ogni modo, sfumano in una serata che vede Poli crescere in sicurezza. I nodi per la risoluzione ideale di Pollione non saranno ancora sciolti, ma non si può non rendere l'onore delle armi a un tenore che al suo debutto nella parte dimostri sì qualche tensione e qualche sforzo, ma anche energia e qualità vocale come abbiamo potuto apprezzare questa sera. Dopo aver cantato Timur la sera prima e in attesa di vestire i panni di Colline, Riccardo Fassi offre un assai valido Oroveso. Paolo Antognetti si conferma un Flavio di bello squillo.

Il coro lirico marchigiano Vincenzo Bellini preparato da Martino Faggiani fa assai bene sul palco (molto bello "Guerra, guerra") e un momento di smarrimento nell'intervento interno nella cavatina di Pollione si può facilmente imputare a qualche disguido tecnico nel ritorno del suono. Come in Turandot si apprezza molto la Filarmonica marchigiana e meno la Banda Salvadei.

Un altro nodo che riguarda Norma e il Belcanto oggi è senz'altro quella comprensione di linguaggio che un regista deve possedere non meno del direttore. In questo caso Maria Mauti punta su una stilizzazione estrema, quasi una ritualità di gesti contenuti e simmetrici (assai ben trovato "In mia man alfine tu sei" cantato schiena a schiena), forte del disegno luci firmato da un artista del calibro di Peter van Praet, che dipinge composizioni di grande intensità, fra tagli che esaltano sia la presenza degli artisti sia l'architettura dello Sferisterio. Lo spettacolo, si può dire, è tutto lì e i costumi di Nicoletta Ceccolini sono funzionali come gli elementi scenici di Garcés – De Seta – Bonet architectes in collaborazione con Carles Berga. Ininfluenti i video di Lois Patino, che a fronte dell'incisività delle luci finiscono per rientrare nel novero degli elementi rinunciabili che appesantiscono il lavoro di Mauti. A che servono, se non a distrarre, per esempio, le coreografie di fanciulle sotto un gran lenzuolo bianco durante la seconda strofa di “Casta diva”? I tre occhi di bue in cui Norma, Adalgisa e Pollione si scambiano di posizione nel finale primo vanno a comporre una scena alquanto goffa, che offusca la tensione del momento, così come si potevano evitare le urla durante l'inyroduziomr al secondo atto o come non paiono mai indispensabili le ancelle (Erinni?) che nel corso del primo atto accompagnano Norma e danzano imbracciando bacili. Forse indicano un simbolismo che dalla prima apparizione dei figli sottoposti a riti lustrali come vittime sacrificande arriva all'ostensione delle loro candide vesti durante “Deh non volerli vittime”, ma, rispetto all'idea di un teatro fatto di gesti essenziali fra luci e ombre studiate da un maestro, non si può non rilevare qualche sbavatura ingenua o non ben sviluppata. Nulla che, in fin dei conti, gravi lo spettacolo di eccessive zavorre, se alla fine a prevalere è la piena soddisfazione generata dalle prove del cast e dalla bacchetta di Carminati. Il successo è pieno e meritato.


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