L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'iperbole e la sostanza

 di Roberta Pedrotti

G. Marinuzzi

Sinfonia in La, Suite siciliana

Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi

direttore Giuseppe Grazioli

CD DECCA 0028948154234, 2017

Non v’è dubbio sul valore di musicista di Gino Marinuzzi, sul suo peso storico, e se le testimonianze discografiche della sua attività di direttore son sparute e fortunose, restano le sue composizioni, che val la pena di conoscere come un tassello non trascurabile della scuola, specie strumentale, italiana nella prima metà del secolo scorso. La Sinfonia in La (1943) non era certo un inedito, ma lo è, sul mercato discografico, la Suite siciliana del 1909, pezzo le cui ispirazioni popolari e folkloriche non bastano a spiegare in maniera del tutto persuasiva le molteplici reminescenze e influenze future, come quel Valzer che alletterà sia Šostakovič (Suite per orchestra di varietà) sia Rota (Il padrino) sia De André (Valzer per un amore), o il tema e lo spirito dell’indiavolata Festa popolare simillimi a quelli delle future Feste romane di Respighi. Anche a non volerne fare a tutti i costi un preucrsore e un modello per i suoi colleghi, non si può negare che Marinuzzi fosse perfettamente inserito nella temperie artistica del suo tempo e fosse dotato, oltre che di salda scienza, di un acuto intuito.

Nel pezzo giovanile come in quello più maturo si riconoscono la solidità di classica scuola unita a un’attenzione al grande sinfonismo tardo romantico, soprattutto a Strauss, cui si cerca di rispondere con una produzione italiana non solo melodrammatica, radicata quantomeno nell’esperienza di Martucci. Marinuzzi è, insomma, un esponente di spicco della generazione dell’80 che non merita appieno l’ombra in cui l’hanno riposto Respighi o Casella.

Di certo la bella esecuzione dell’Orchestra Verdi di Milano diretta da Giuseppe Grazioli serve bene alla causa di Marinuzzi, mentre controproducente appare senz’altro l’utilizzo per le note di copertina di un estratto da Altri canti di Marte di Paolo Isotta. Sappiamo come il critico partenopeo ami le affermazioni clamorose e assolute, ma questo è uno dei casi in cui trascende ogni misura danneggiando l’oggetto dei suoi inni. Nulla vieta al musicologo di proporre giudizi rivoluzionari, purché li sappia e li voglia argomentare: esclamare sic et simpliciter che Marinuzzi possa mangiarsi in un boccone Strauss e Mahler, Stravinskij e Šostakovič è cosa difficile da prender sul serio, così come l’iperbole del “più grande direttore d’orchestra del ventesimo secolo” (bontà sua, non della storia tutta…) dalla penna di chi è nato cinque anni dopo la morte dell’idolo e quindi potrà basare la sua teoria giusto su documenti fonografici terribilmente esigui rispetto alla schiera d’illustrissimi colleghi che si pretenderebbe di spazzar via.

Peccato che il talentuoso Isotta abbia deliberatamente scelto, si direbbe, di non farsi prender sul serio. E peccato perché avremmo letto volentieri un saggio interessante sulla figura di Marinuzzi. Non resta che ascoltare la sua musica, ben scritta e ben eseguita, e ripassare, magari, la celebre Forza del destino con Maria Caniglia.

 


 

 

 
 
 

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