L’Ape musicale

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così fan tutte

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La scuola degli amanti

 di Luis Gutierrez

L'ultimo frutto della collaborazione fra Mozart e Da Ponte ha fatto ritorno al Palacio de Bellas Artes dopo più di vent'anni.

en español

Città del Messico, 9 maggio 2017 - In questa occasione, il regista, Mauricio García Lozano,  ha concentrato il suo potenziale creativo sul titolo che Da Ponte ha dato al libretto, La scuola degli amanti. Don Alfonso e Despina sono stati presentati come professori di una scuola frequentata da marionette molto facili da manipolare. Il docente principale, Don Alfonso, è quello che tutti almeno una volta abbiamo incontrato, pedante e noioso, mentre Despina è la simpatica, ma un tantino inetta, insegnante che preferivamo. Gli allievi sono stati presentati, a loro volta, come quattro studenti uguali in tutto e per tutto, solo differenziati per il genere. Le coppie di innamorati non si evolvono fino a scambiarsi gli interessi erotici, naturalmente guidati da serpenti, Don Alfonso e Despina, che avvelenano la coscienza edenica con cui ragazze e soldati erano apparsi all'inizio dell'opera. È come se la musica fosse solo '"ambiente" dell'opera e non descrivesse anche il percorso psicologico dei giovani. L'idea, pur valida, di una scuola d'amore ha breve respiro se non giunge a "diplomare" gli studenti. La scenografia, molto ben realizzata da Jorge Ballina, è costituita da un'aula le cui pareti si modificano a seconda dell'avanzare delle scene. Di fatto, durante il secondo atto si vuol rappresentare la crisi mostrando l'inversione dei sentimenti con il ribaltamento dall'alto al basso dell'aula, soffitto in basso e pavimento in alto. La definizione inglese è la più chiara poiché la scena si modifica lentamente fino a trovarsi “upside down” al termine del duetto fra Fiordiligi e Ferrando. In aggiunta allo scenario in sé, l'aula è incorniciata in una sorta di lavagna in cui l'azione è mostrata come se si trattasse di lezioni con l'esplicito obbiettivo, da parte del regista, di educare il pubblico. I costumi disegnati da Mario Marín presentano le coppie originali vestite dei medesimi colori per tutta l'opera e le luci di Víctor Zapatero sono buone come sempre, distinguendo i quattro giovani durante “E nel tuo, nel mio bicchiero” affinché ciascuno sia illuminato quando si unisce al canone. A mio parere l'idea della produzione è valida, benché limitata nel suo annullare le personalità degli "allievi" e nell'esagerare quelle dei "professori". Questo è stato, anche, uno di quei casi in cui l'intrattenere il pubblico durante l'ouverture confonde le idee, giacché Despina entra per correggere la scritta Così fan tutte, su una lavagna in proscenio, cambiando l'ultima E in una I. Sarà solo nella decima scena, però, che Don Alfonso la inviterà nel "collegio docenti", ma a chi importa?

Silvia Dalla Benetta ha incarnato Fiordiligi. Non posso parlare delle sue qualità d'attrice perché l'impostazione registica le ha impedito di esibirle. L'estensione è sufficiente, o quasi, per le esigenze della parte. Dico sufficiente perché le note basse, sotto il rigo in entrambe le arie, giungevano a esser sgradevoli. L'agilità è notevole, ma carente dei trilli. Gli aspetti migliori della sua prova vocale sono stati la musicalità e le fantastiche messa di voce, tanto importanti qui. Il giovane mezzo Isabel Stüber si è distinta come Dorabella e sono certo che con la maturità dell'esperienza potrà diventare una buona cantante. Patricia Santos è stata una eccellente Despina, precisa e giocosa in tutti i suoi interventi.

Anche le prove degli uomini sono state buone, anche se avrebbero potuto esser migliori se Orlando Pineda, Ferrando, potesse cantare, o avesse cantato, legato, cosa da cui il ruolo non può prescindere. Armando Piña è stato preciso, mettendo in luce una bella voce che però deve controllare nella dinamica. Jesús Suaste ha cantato bene il ruolo musicalmente poco esigente di Don Alfonso – ricordiamo che la parte fu composta per Francesco Bussani, in netto declino vocale nel 1790– a cui Mozart concede soltanto un momento di gloria in “Soave sia il vento”.

Delle opere di Mozart, questa è quella che prevede il maggior numero di pezzi d'assieme. In molte occasione gli ensemble si sono intesi "fuori fase", specialmente durante i terzetti maschili. Sono certo che, data la qualità dei cantanti, questi numeri avrebbero ottenuto un miglior risultato se fossero stati debitamente provati.

A mio parere il coro ha avuto due problemi indipendenti dai suoi elementi: il primo è stato l'organico troppo nutrito, molto più dei consueti dodici o sedici cantanti, per decisione o del maestro Timothy G. Ruff Welch o del concertatore; il secondo è stato la sua ubicazione. Il coro nel primo atto era seduto in sala mescolato al pubblico, evitando il ruolo caricaturale di chi accompagna i soldati in battaglia; canta dietro le quinte durante la serenata; all'inizio delle "nozze" appare ai lati, come curiosi sopraggiunti a vedere l'opera - o anche come turisti entrati in sala all'ultima cerimonia degli Oscar. Queste scelte non mi pare abbiano conferito particolari significati all'opera e sono serviti a far applaudire il pubblico senza alcun senso. Peraltro, la prova corale non è stata malvagia, ma avrebbe potuto essere migliore senza tante trovate sceniche. 

Il migliore della serata è stato Ricardo Magnus al cembalo. Vario nell'elaborazione del basso continuo, ha fatto apprezzare anche il tema del primo movimento della Sonata il La K 330, dando maggior vitalità ai recitativi. Si spera che Don Ricardo torni al continuo quando necessario, davvero, si spera.

Srba Dnic si è disimpegnato bene come concertatore, benché a tratti si sono intesi tempi più lenti di quanto mi parrebbe opportuno. I legni hanno suonato splendidamente, non così i corni - tanto importanti quando l'infedeltà è il tema principale - che hanno talora perso palesemente l'intonazione.

I tagli sono stati quelli consueti: il duetto dei soldati nel primo atto e la seconda aria di Ferrando “Ah lo veggio”; eliminare parte del recitativo di Fiordiligi prima del duetto con Ferrando è stato, secondo me, eccessivo.

A mio giudizio, la produzione e l'interpretazione nel complesso sono stati buoni, anche molto buoni, direi, comparati agli standard della Compañía Nacional de Ópera negli ultimi tempi. Mi sarebbe piaciuto fosse stata più agile.

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foto Ana Lourdes Herrera/ Compañía de Ópera de Bellas Artes


La scuola degli amanti

 por Luis Gutierrez

La última obra en la que colaboraron Mozart y Da Ponte regresó al Palacio de Bellas Artes después de más de veinte años.

Ciudad de Mexico 9 de mayo de 2017 - En esta ocasión, el director de escena, Mauricio García Lozano, enfocó su potencial creativo en el título que Da Ponte dio al libreto, La scuola degli amanti. Don Alfonso y Despina fueron presentados como profesores de un colegio al que asisten marionetas muy fáciles de manejar. El maestro principal, Don Alfonso, fue como el que todos tuvimos alguna vez, pedante y aburrido, en tanto que Despina fue la divertida, aunque un tanto inepta, profesora a la que preferíamos. Los educandos fueron presentados como cuatro alumnos iguales en todos los sentidos, si acaso diferenciados por su género. Las parejas de enamorados no evolucionan hasta intercambiar sus intereses eróticos, por supuesto empujados por las serpientes, Don Alfonso y Despina, que envenenan la inocencia edénica con la que chicas y soldados inician la ópera. Es como si la música sólo ambientara la ópera, y no describiera la evolución psicológica de los jóvenes. El concepto, válido, de la escuela amorosa se quedó corto al no llegar a la “graduación” de los estudiantes. La escenografía, muy bien lograda por Jorge Ballina, es un aula en la que las paredes se modifican conforme avanzan las escenas. De hecho, durante el segundo acto logra representar la crisis al mostrar la inversión de los sentimientos de los alumnos, mediante el cambio de arriba a abajo del aula, subiendo el techo al suelo y colocando éste arriba. La expresión de esto es más clara en inglés pues la escena es modificada lentamente hasta terminar “upside down” al final del dueto entre Fiordiligi y Ferrando. En adición al escenario en sí, el aula se enmarca en una especie de pizarrón en el que se muestra la acción como si fueran lecciones cuyo objeto explícito en la presentación del director es educar al público. El vestuario diseñado por Mario Marín presenta a las parejas originales vestidas del mismo color durante toda la obra y la iluminación diseñada por Víctor Zapatero es tan buena como siempre, destacando la de los cuatro jóvenes durante el “È nel tuo, nel mio bicchiero” en el que ilumina a los cantantes conforme se unen al canon. En mi opinión el concepto de la producción es válido, aunque limitado pues anula las personalidades de los “alumnos” y exagera las de los “profesores”.

Silvia Dalla Benetta encarnó a Fiordiligi. No puedo hablar de sus cualidades histriónicas pues el concepto impide que las exhiba. Su rango es suficiente, casi, para las exigencias del papel de Fiordiligi. Digo suficiente pues sus notas bajas, la bajo el pentagrama en sus dos arias, llegan a ser desagradables. Su agilidad es notable, pero carece de los trinos. Lo muy atractivo de su actuación canora fueron su musicalidad y sus fantásticos messa di voce, tan importantes en el papel. La joven mezzo Isabel Stüber tuvo una destacada actuación como Dorabella y estoy seguro que la madurez que obtendrá con la experiencia le permitirá lograr ser una buena cantante. Patricia Santos fue una excelente Despina cantando con precisión y picardía todas sus intervenciones.

La interpretación musical de los hombres fue también buena, aunque hubiera sido mejor si Orlando Pineda, Ferrando, pudiese cantar, o hubiese cantado, legato, lo que no debe faltar en la parte del personaje. Armando Piña tubo una intervención precisa, demostrando una bella voz, aunque sin controlar su dinámica. Jesús Suaste cantó bien el papel musicalmente poco demandante de Don Alfonso –recordemos que la parte fue compuesta para Francesco Bussani, cuya voz ya estaba en franco declive en 1790– a quien Mozart sólo concede dos compases de lucimiento durante “Soave sia il vento”.

De las óperas de Mozart, ésta la que más números de conjunto contiene. En muchas ocasiones los ensambles se oyeron “descuadrados”, especialmente durante los tríos masculinos. Estoy seguro que dada la calidad de los cantantes, estos números hubieran tenido un mejor resultado de haber sido ensayados apropiadamente.

Este fue uno de los casos en los que el divertir al público durante la obertura confunde el argumento, ya que Despina entra a corregir lo que estaba escrito en un pizarrón colocado en el proscenio Così fan tutte, para cambiar la última palabra por tutti, borrando la “e” y escribiendo una “i”. No será sino hasta la décima escena cuando Don Alfonso la invite al claustro. Pero, ¿a quién le importa esto?

En mi opinión, el coro tuvo dos problemas no atribuibles a sus elementos; el primero fue presentarlo con muchos elementos, muchos más que los usuales 12 o 16 cantantes, esto pudo ser una decisión del director huésped Timothy G. Ruff Welch o del director concertador y el segundo fue su ubicación. El coro del primer acto lo hicieron sentados en la sala entreverados con el público, evitando el rol caricaturesco de quienes acompañarán a los soldados al campo de batalla; cantan tras bambalinas durante la serenata, que es la escena formal de la scuola degli amanti, en tanto que durante el inicio de la “boda”, aparecen a los lados del escenario, cual si fueran curiosos llegando a ver la ópera –algo así como los turistas que entraron a la sala durante la última entrega de los Óscar; estas decisiones no agregaron, en mi opinión, un ápice de significado a la ópera y sirvieron para que una gran parte del público aplaudiera algo sin sentido. El desempeño del coro no fue malo, pero hubiera sido mejor sin tantas ideas escénicas.

Lo más destacado de la noche, fue la labor de Ricardo Magnus al clavecín. Mostró una variedad de adiciones a las notas del continuo, entre las cuales pude apreciar el tema del primer movimiento de la sonata en la K 330, lo que le dio una mayor propulsión a los recitativos. Ojalá Don Ricardo regrese a “hacer” el continuo cuando sea necesario, de veras, ojalá.

Srba Dnic tuvo un buen desempeño como concertador, aunque en momentos sentí unos tiempos más lentos de los que creo son adecuados. Los maestros que tocaron las maderas lo hicieron espléndidamente, no así los cornos –tan importantes cuando la infidelidad es el tema principal– que en momentos notables perdieron afinación.

Los cortes fueron los usuales, el dueto de los soldados del primer acto y la segunda aria de Ferrando “Ah lo veggio”; el corte de parte del recitativo de Fiordiligi previo al del dueto con Ferrando fue, en mi opinión, excesivo.

En mi opinión, esta producción y la interpretación de esta función fueron buenos, yo diría muy buenos comparados con el estándar de la Compañía Nacional de Ópera durante los últimos tiempos. Ojalá hubiera sido más ágil.

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foto Ana Lourdes Herrera/ Compañía de Ópera de Bellas Artes


 

 

 
 
 

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