L’Ape musicale

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miseria e nobiltà

Miseria senza nobiltà

 di Suzanne Daumann

Kitsch, clichés e compiacimento: non convince la prima opera buffa di Marco Tutino al suo debutto a Genova.

GENOVA, 23 febbraio 2018 - È sempre interessante assistere a una prima mondiale. Per l'opera nata questa sera, tuttavia, si può parlare di una novità un po' spuria: basata su una commedia napoletana del 1880, da cui sono stati tratti almeno due film, non è del tutto "contemporanea", essendo il compositore Marco Tutino ben noto per la sua musica definita neoromantica, che utilizza il linguaggio tonale del romanticismo storico.

I librettisti Luca Rossi et Fabio Ceresa hanno trasferito l'azione nel 1946, precisamente il 3 giugno, all'indomani del referendum fra Monarchia e Repubblica. Non è per questo che si assiste, però, a una satira politica o a un testo di una qualche profondità. Assistiamo a uno spettacolo piuttosto inutile. I testi sono di una banalità che si credeva giustamente finita con il falso sentimentalismo dei totalitarismi; la musica richiama allegramente il repertorio a cavallo fra XIX e XX secolo, sfruttando i riferimenti fino allo sfinimento, con una preferenza per lo stile di Puccini. Contrariamente a quanto avviene in Stravinskij o Sostakovic, che utilizzano la musica del passato come base per una riflessione e creano così qualcosa di nuovo, Tutino resta nella citazione scontata di luoghi comuni musicali. Tutto risulta piuttosto pesante; si potrebbe speculare a lungo, così, sui concetti di miseria e nobiltà e, in effetti, vediamo molta miseria artistica, qui, e pochissima nobiltà...

La vicenda è incentrata su una giovane coppia che desidera sposarsi. Gemma è una ballerina e il suo fidanzato Eugenio il figlio di un principe piuttosto libertino e che rivolge le sue avances anche a Gemma. Il padre di lei Gemma, Don Gaetano, vorrebbe incontrare il principe e l'invita a cena, ma questi non acconsentirebbe mai alle nozze del figlio con una ballerina. La giovane coppia convince allora il vecchio maestro di scuola di Eugenio, Felice Sciosciammocca, a impersonare il principe per la cena. Felice è disoccupato e cresce da solo il figlio, facendogli credere che la madre è partita per l'America in cerca di lavoro. In realtà questa ha ceduto alle avances del principe una sola volta, per convincerlo a trovare in cambio un lavoro al merito, e ora è la cuoca di Don Gaetano, incontra il figlioletto sulla piazza e lo conduce al suo luogo di lavoro. Quando il vero e il falso principe si incontrano a casa di Don Gaetano, tutti i nodi di sciolgono, tutto va al proprio posto, la verità viene a galla con le sue ragioni, e la famiglia è riunita.

Il primo atto si svolge in un quartiere popolare di Napoli e vediamo la gente a casa propria o che lavora nei cantieri, mentre i ragazzini giocano. I danni della guerra sono ancora visibili, la popolazione soffre fame e miseria. Il coro enumera specialità gastronomiche ormai inaccessibili. Una coppia culla un neonato, ne giunge un'altra, assai ben vestita, e, su una musica grondante sentimentalismo, si prende il bambino. Ora sappiamo che gli autori dello spettacolo non indietreggiano di fronte a nessun cliché.

Nel secondo atto, siamo nell'abitazione di Don Gaetano, dove vediamo contemporaneamente cucina e sala da pranzo. Come nel quadro precedente, questa scenografia a "casa di bambole" ha un certo fascino, benché sia convenzionale e compiacente come tutto lo spettacolo firmato per la regia da Rosetta Cucchi, per le scene da Tiziano Santi e per i costumi da Gianluca Falaschi.

L’opera era stata annunciata come buffa, tuttavia l'elemento sentimentale sovrasta nettamente sull'elemento comico. Le due gag superstiti dal testo originale sono scatenate dalla stessa molla e fanno mediamente ridere. Affinché una commedia funzioni, è necessaria una drammaturgia vivace, un tempo rapido. Niente di tutto ciò, ogni scena dura il suo tempo o più.

La compagnia di canto fatica a farsi sentire di fronte all'entusiasmo del concertatore Francesco Cilluffo. I giovani amanti, il mezzosoprano Martina Belli (Gemma) e il tenore Fabrizio Paesano (Eugenio), sono un po' affaticati nei passaggi forte. Valentina Mastrangelo (Bettina, la moglie di Felice) possiede una vcoe sopranile chiara e cristallina, ma spesso nel forte risulta un poco stridente. I baritoni se la cavano meglio, Alessandro Luongo nel ruolo di Felice Sciosciammocca è abbastanza credibile. Alfonso Antoniozzi, buffo collaudato, ruba la scena con la sua voce e la sua presenza d'attore: peccato che Don Gaetano non sia un personaggio più presente. Il basso Andrea Concetti ha interpretato il Principe di Casador, padre di Eugenio, con abbandono e finezza. Il tenore Nicola Pamio è stato credibile e spassoso nei panni del cameriere ubriaco. Il mezzosoprano Francesca Sartorato era Peppiniello, il figlio di Felice, e ha strillato con onore come richiesto.

Una serata, insomma, che mostra ancora una volta l'opera come una forma d'arte morta i cui tentativi di resurrezione equivalgono a truccare un cadavere per farlo danzare come una marionetta. 

foto Bepi Caroli


 

 

 
 
 

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