L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Juraj Valčuha

Viaggio musicale da Klimt a Rodčenko

 di Alberto Ponti

Nel primo appuntamento del 2018 con l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai il romanticismo estremo e febbrile di Schreker e Strauss si accompagna al furore costruttivista del giovane Šostakovič

Quante volte, ai tempi in cui non esistevano ancora gli smartphone con collegamento Internet e un clic non ci spalancava all'istante la porta su milioni di esecuzioni, accendendo la radio ed ascoltando una musica sconosciuta ci siamo arrovellati per cercare di intuire, se non il pezzo preciso o l'autore, almeno la sua nazionalità o il periodo storico?

Ebbene, se ci fosse toccato il Vorspiel zu einem Drama (Preludio a un dramma) (1918) di Franz Schreker (1878-1934) in pochi, al di fuori di una manciata di studiosi o addetti ai lavori, saremmo riusciti a squarciare il velo di mistero e ad identificare questa pagina tanto affascinante quanto imperfetta, scelta da Juraj Valčuha per aprire il concerto diretto all'auditorium 'Toscanini' giovedì 11 e venerdì 12 gennaio.

A colpire nell'immediato è la maestria infinita di Schreker nella messa a punto timbrica di un'orchestra con sei clarinetti, sei corni e un organico colossale in ogni settore, dagli archi alle percussioni. Al volante di una fuoriserie così accessoriata la bacchetta slovacca non resiste a tratti alla tentazione di premere a fondo sul pedale della sonorità, con il rischio di superare il limite e di soffocare le sfumature armoniche di ricchezza cangiante, gli slanci lirici, la passione più introversa che urlata a pieni polmoni. Nel suo lavorio continuo sul materiale tematico derivante dalla coeva opera Die Gezeichneten (I segnati), ambientata in una torbida Genova cinquecentesca, il vasto preludio ci scorre davanti come summa di situazioni ed episodi di sapore decisamente crepuscolare. Le molteplici influenze, dal grande sinfonismo tardoromantico a una vena popolaresca di matrice slava, sono destinate ad annegare nella sensazione di una voce seducente ma già udita, priva di una propria decisa identità, come un bel sogno di cui al risveglio non si riescano più a cogliere i contorni.

La Salome di Richard Strauss (1864-1949) e la sua turbolenta Danza dei sette veli, culmine dell'atto unico tratto da Oscar Wilde che al suo apparire a Dresda nel 1905 segnò una tappa storica nel teatro musicale, rappresenta bene il versante più apertamente erotico di quella stessa atmosfera klimtiana e fin de siècle in cui Schreker si era formato. La mano di Strauss è geniale nel delineare con poche figure, con incisi essenziali di matrice già quasi espressionista, reiterati fino alle soglie dell'ossessione, il tormento lascivo della giovane che chiede ad Erode la testa di Giovanni Battista in cambio del suo balletto. La lettura di Valčuha si impone per sicurezza di effetto e capacità di mantenere coesa una massa orchestrale anche in questo caso non meno che gigantesca, infondendovi una vitalità elettrizzante che percuote l'uditorio con la violenza di autentiche stilettate di suono. La scena finale dell'opera, eseguita subito dopo con la partecipazione del soprano tedesco Manuela Uhl (chiamata in luogo dell'indisposta Krassimira Stoyanova prevista in origine) rivela la medesima maestria nella resa strumentale del climax della vicenda, senza essere troppo sostenuta dalla voce solista, di buone doti attoriali e tecniche ma dall'intonazione sovente sforzata, in un ruolo che, accanto all'estensione amplissima, richiederebbe una non comune potenza di emissione.

Gli applausi per il maestro, sempre amatissimo dalla platea torinese, si ripetono con entusiasmo dopo l'intervallo per la Sinfonia n. 1 in fa minore op. 10 (1925) di Dmitrij Šostakovič (1906-1975).

Composto da un autore in grado di dispiegare già a 19 anni un immenso talento, il brano impressiona per i bruschi accostamenti di stilemi assai diversi, che creano un insieme assai originale, non distante dagli esperimenti figurativi del costruttivismo russo, oscillante tra ambizione drammatica e bizzarria umoristica in ognuno dei quattro canonici movimenti.

I quaranta minuti di musica scivolano via in un attimo con l'Orchestra Sinfonica Nazionale a fornire una prova superba in una partitura che, nell'incedere in larga misura cameristico, riserva un momento di gloria a ogni suo componente, a cui il direttore ha saputo trasmettere con entusiasmo la straripante freschezza del primo Šostakovič. 


 

 

 
 
 

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