L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Universi allo specchio

di Alberto Ponti

L’affermato direttore Andrés Orozco-Estrada debutta all’auditorium Rai con Weber e Richard Strauss. Eccellente Rachlin nel Concerto in sol maggiore di Mozart

TORINO, 6 maggio 2022 - Una sala piena, un programma ampio e vario che abbraccia oltre un secolo e mezzo di musica, due interpreti di livello superiore: quando questi elementi sono presenti tutti insieme il successo è assicurato. Il concerto di venerdì 6 maggio si può affermare senza esitazione che sia stato uno dei punti culminanti della stagione 2022 che sta volgendo al termine. Andrés Orozco-Estrada, al suo debutto sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, impressiona fin dall’attacco dell’ouverture da Euryanthe op. 81 (1823) di Carl Maria von Weber per pulizia e bellezza del suono, plasticità del fraseggio, perfezione nel bilanciamento dei timbri, staccando senza la minima esitazione tempi addirittura rapinosi. Impossibile rimane indifferenti e il breve brano iniziale del concerto, spesso servito come antipasto freddo per scaldare i muscoli dei musicisti, libera entusiasmi tributati di rado anche a pagine più lunghe e articolate. Ne esce l’esecuzione esemplare di una pagina che, in una cornice di classica pienezza, è già prepotentemente romantica nell’evocazione del medioevo fantastico in cui è ambientata l’opera. Non sempre si mette in luce quanto Wagner sia debitore nei confronti di Weber: senza Freischütz, Euryanthe e Oberon, non esisterebbero Fliegende Höllander, Tannhäuser e Lohengrin.

Nel successivo Concerto per violino e orchestra n. 3 in sol maggiore K 216 (1775) di Wolfgang Amadeus Mozart entra in scena come solista Julian Rachlin. E’ un’opera dall’organico ridotto, dove è il violino principale a distribuire le carte. L’interpretazione di Rachlin si distingue per la purezza e intensità del discorso, l’attenzione alle minime sfumature, come nell’ispirato e nostalgico Adagio centrale, l’altissimo magistero tecnico anche in una scrittura di virtuosismo contenuto come quella del diciannovenne Mozart. Tutte caratteristiche sublimate nell’immortale Sarabanda in re minore dalla Partita n. 2 di Bach proposta come bis. Il connubio tra Orozco-Estrada e Rachlin è all’insegna di un’intesa immediata. I due non hanno nemmeno bisogno di guardarsi e il direttore, con grande intelligenza, lascia al partner l’iniziativa intagliando una cornice su misura di aurea perfezione. Ma non si creda al compitino da minimo sindacale, a un semplice accompagnamento senza pretese. L’osmosi tra podio e solista è totale: non è raro che Rachlin, negli episodi in tutti, si volti verso i violini primi e mescoli a loro il proprio suono; allo stesso modo, nell’originale Rondò, dall’invenzione inesauribile che rivela già nell’autore la statura del genio, il maestro d’origine colombiana riesce a conferire ai pizzicati degli archi un’aura morbida e avvolgente che esula dal semplice effetto pittoresco per farsi autentico elemento costitutivo in parallelo con le evoluzioni della voce principale.

Nel Richard Strauss della seconda parte del concerto, Orozco-Estrada torna in cattedra con un Don Juan e una suite da Der Rosenkavalier che resteranno a lungo nella memoria dei presenti. Nello strepitoso poema sinfonico, con cui il musicista tedesco si impose con prepotenza nel 1888 alla ribalta musicale, ogni passaggio lascia trasparire una conoscenza e una cura del particolare fuori dal comune da parte di chi, a 45 anni, ha diretto in numerosi occasioni compagini prestigiose del calibro di Wiener e Berliner Philarmoniker, Staatskapelle Dresden, Concertgebouworkest, Chicago Symphony per non citarne che alcune. Ecco l’imperioso stacco in fortissimo di apertura, in cui ogni singola nota della figurazione ascendente è udibile con precisione senza far venire meno la baldanzosa folata vitalistica, la tracotante spacconeria del ritratto a tutto tondo dell’eroe. Scrisse Massimo Mila che questa musica straussiana richiede orecchie vergini. Può forse essere vero per letture di livello non eccelso, ma con esecuzioni di tale calibro la forza innovativa della pagina ci viene restituita integra. La resa al meglio dell’alternanza di staccati e legati, tutt’altro che banale nella partitura, giocata per intero sull’ambiguità tra schiaffi violenti e dolcissime carezze, l’inquieta ma sempre controllata e formalmente impeccabile scansione ritmica, l’integrazione di ogni strumento all’interno del più ampio eloquio sinfonico, sono gli evidenti punti di forza di una conduzione in grado di inchiodare l’attenzione di chi ascolta, tesa e vigile sino all’ultima nota. Lo stesso finale del pezzo viene apprezzato per ciò che è, matematica chiusura del cerchio compositivo. Prendiamo le ultime quaranta battute (dalla 564): dopo la ripresa abbreviata del tema principale inizia la stretta vera e propria (stringendo e crescendo) dove troppe volte si percepisce un unico caotico minestrone indistinto dell’intera orchestra nel suonare al limite delle possibilità foniche, seguito per contrasto, dopo la pausa lunga con corona alla misura 585, da un brulichio altrettanto indistinto e malapena udibile in cui non rimane che attendere alla fine i tre pizzicati in pianissimo degli archi come la liberazione da un incubo. Con Orozco-Estrada le minime sottigliezze della scrittura di Strauss in questo finale vengono invece evidenziate, dall’articolazione delle terzine dei legni, alla tenuta del legato negli ottoni, al glissando delle arpe, e anche la morte di Don Juan nelle ultime battute assume, nell’implacabile diminuendo dell’arcata melodica dei violini, nel rintocco sinistro del timpano il giusto rilievo drammatico in contrasto con l’esuberanza esaltante dell’incipit che, seppure appena rievocata dall’ultima ricapitolazione prima della coda, appare ora distante come non mai, lasciando la sensazione di un tempo non solo sospeso, ma dilatato a dismisura.

L’Orchestra Sinfonica Nazionale dimostra, nell’occasione, di essere al livello delle migliori istituzioni concertistiche europee. Incantevole, su tutti, la versatilità dei quattro corni, ora vellutati, ora penetranti, ora battaglieri, sempre brillanti, che tanta importanza hanno nella partitura.

Chiusura in trionfo con la suite tratta dal Rosenkavalier, con il suo continuo e fascinoso oscillare tra modernità e tradizione, e applausi scroscianti per i protagonisti di una serata tra le più elettrizzanti cui di recente ci sia capitato di presenziare. Differenti universi a confronto, tratteggiati con vigore e stile.

 

 

 
 
 

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