L’Ape musicale

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CARMEN

NOTE DI REGIA

di Hugo de Ana

La vicenda di Carmen, raccontata in musica da Georges Bizet, ha ben pochi punti in comune con l’ambiente, l’atmosfera e le emozioni che sono descritte nella novella che Mérimée scrisse nel 1845 e alla quale i librettisti Henri Meilhac e Ludovic Halévy si sono ispirati.

All’epoca, infatti, non erano gradite al pubblico dei teatri parigini opere i cui protagonisti fossero zingari, ladri, sigaraie, contrabbandieri. La Spagna viscerale, carnale, descritta da Mérimée viene molto addolcita dal “colore” della musica, da danze e cori brillanti.

Per rendere la vicenda ancora più adatta al teatro d’opera, viene addirittura introdotto il personaggio di Micaela che, con il suo aspetto positivo, fa da contraltare alla decisione e alla violenza di Carmen.

Carmen possiede una musica ricca di contrasti. Lo stesso Čajkovskij affermò: «non conosco nient’altro che rappresenti meglio l’elemento grazioso, le joli», ma egli stesso riconobbe subito anche l’altro versante del capolavoro di Bizet, la sua drammaticità autentica: il ritratto del complessato Don José, le sue ultime implorazioni a Carmen, il lugubre terzetto della cartomanzia, il finale convulso… anche nei momenti festosi appare il presagio.

Mérimée, nella sua novella, ci descrive Carmen come un’indemoniata e miserabile zingara e, ascoltando attentamente Bizet, riusciamo forse a intravedere questa protagonista. Da questo punto desidero partire con questa produzione dell’opera.

La donna “Carmen”, la donna che lotta per affermare una libertà, un’uguaglianza, un diritto. Quale altro periodo storico migliore per raccontare la vicenda della zingara se non quello della guerra civile spagnola, durante gli anni Trenta, una guerra che ha visto, nella lotta delle donne, un vero e proprio evento sociale.

L’immagine della donna ha acquistato, da quel momento, una dimensione nuova, le ha permesso di essere “orgogliosa”, le ha permesso di essere dalla parte vincente anche a costo di morire per ciò in cui crede.

Nel decennio del 1920 tutto si fonde nell’arte e le nuove avanguardie artistiche fanno sì che il personaggio sia una donna rivoluzionaria, che armonicamente può convivere anche con un’altra tradizionale. Questa Carmen diventa quasi un personaggio laico, per così dire, fino al punto di arrivare a trasformarsi e rappresentare il simbolo della lotta repubblicana durante la guerra civile dal 1936 al 1939.

Questo personaggio illumina tutte le arti visive, fino a diventarne l’immagine in un francobollo spagnolo ed essere “incastrato” pure nel franchismo, fino al 1950.

In questa maniera questa Carmen spagnola continua a vivere in un posto privilegiato fino a salire sul piedistallo della mitologia non solo nazionale ma anche europea. Il mito è sopravvissuto a tutte le arti rappresentative al di là dei secoli XIX e XX, nonostante la tentazione di smitizzare il personaggio in rapporto alla verità che questo rappresenta. Rappresenta la qualità che, alla fine, l’immaginario collettivo dà alla donna spagnola.

In verità Carmen sarà sempre una donna che produce paura perché, nel suo profondo, continua ad essere “strega”. È una donna “terra” che, più che sedurre, produce paura nell’uomo che non vuole confrontarsi con la vera realtà della donna: essere umano libero e intraprendente. Questa donna libera, fedele solo a se stessa, diventa il segno dell’identità spagnola rivoluzionaria e diventa anche la Spagna stessa.

Nella Spagna romantica si mischiano in maniera caotica religione e laicità: nella rappresentazione, solitamente, un soldato può adorare in maniera “mariana” la sua donna e, nello stesso tempo, questa può essere angelo o demone, una vergine o una seduttrice. In questo senso Carmen rappresenta la donna-strega che, con la sua seduzione irresistibile, può provocare la perdizione negli uomini, con la sua forza demoniaca, anche soltanto attraverso lo sguardo.

Lo sguardo può racchiudere in sé un gioco di riti oscuri che fanno parte della seduzione, in tutta la rappresentazione del senso di “ispanicità”.

Mérimée descrive così Carmen: «Lei ha tre cose nere: gli occhi, le sopracciglia e le ciglia; e tre bianche: il riflesso della pelle, i denti e il palmo della mano; e tre sono anche le sfumature di rosa: le labbra, le guance e le sue unghie». Possiamo considerare questa di Mérimée la rappresentazione della donna-oggetto.

In Carmen, sia nella novella che nell’opera, si presentano i miti fondamentali dell’essere umano che vengono associati allo svolgersi della vicenda: libertà, come destino che produce la tragedia e la morte. La libertà si può associare alla figura di Carmen: questa donna forse la rappresenta al meglio e soprattutto desidera e anela alla libertà per vivere, per amare e per essere se stessa. A differenza dell’archetipo femminile dell’epoca, Carmen è una donna indipendente, autonoma e difenderà questa libertà fino al momento della sua morte.

Dal punto di vista etnico Carmen è una zingara, un’etnia che non può pensare di vivere se non è in libertà e in perpetuo motus vivendi.

Questa è una libertà concepita nel senso più assoluto della terminologia, che si oppone alla società patriarcale e a tutte le convenzioni sociali, è un prodotto della società del secolo XIX e inizio XX. Carmen pagherà con la propria vita questo concetto, questa forma di essere sempre, fino alla fine, se stessa. Ciò è evidente nell’ultima frase che si legge in Mérimée, che è anche il clou dell’opera di Bizet: «Carmen è nata libera e libera morrà».

Con la guerra civile spagnola, la vita delle donne ha subito una trasformazione, ha dato loro una maggiore autonomia di movimento e di decisioni. Nonostante le dure condizioni di vita, molte donne vissero la guerra civile come un’esperienza emozionante che permise loro di sviluppare il potenziale all’interno della società, non solo dietro le linee militari ma anche attivamente, impugnando le armi e combattendo loro stesse come affermazione del loro ideale. Anche nel vestire la donna poteva scegliere e, così, la tuta da operaio diventava un simbolo della rivoluzione e uno strumento di emancipazione femminile, poiché rendeva uguali uomini e donne.

L’altro personaggio importante, che non appare mai, è il personaggio che condiziona il senso vero e proprio della tragedia. La musica lo descrive in maniera onnipresente, facendolo diventare un personaggio in più, inesistente e che tutti possiamo riconoscere nel leitmotiv “del destino”.

Il destino porterà Carmen a comprendere che l’unica maniera di poter vivere come desidera è piegandosi al fatum, perciò lei accetta la sua morte senza lamentarsi di nulla, perché sa che è segnata da questo destino. Lei sa fin dall’inizio chi sarà, chi la libererà da se stessa, uccidendola.

Carmen rappresenta anche la passione indomabile, selvaggia, forte e dirompente. Questo carattere è assolutamente rivoluzionario, considerato soprattutto il momento storico in cui è stato creato da Mérimée e rappresentato dalla musica di Bizet, dove alla donna, per la società del periodo, era solo permesso di vivere: come sposa, madre o suora oppure come prostituta, scelta che rappresentava il rifiuto della società in generale.

In contrapposizione alla passione c’è la forza che schiavizza Don José e lo costringe alla mercé di Carmen che lo domina completamente. Don José si sente dominato e distrutto come uomo. Crede che offrirle una vita in un altro luogo significhi darle la libertà, però questo non è il vero senso della libertà che Carmen desidera.

Carmen rappresenta il caos e Don José l’ordine prestabilito dalla società. Quando in un primo momento lei seduce Don José facendolo innamorare, possiamo credere che sia il caos a vincere sopra l’ordine.

Per tranquillizzare la società, possiamo dire che nel finale, perché tutto ritorni nel suo ambito primigenio, nella morte di Carmen, l’ordine prevalga sul caos.

Il caos appartiene al mondo dell’oscurantismo, delle arti nere della negromanzia che Carmen sa utilizzare, e che porta con sé l’ignoto, il mondo oscuro che la avvicina al demone e al diavolo, frasi che si ripetono più volte quando Don José si riferisce a Carmen.

Il trionfo del mito è quello che manifesta il trionfo della superiorità della femmina sopra la debolezza del maschio, che si riduce ad essere sottomesso per i suoi istinti primordiali, senza che la ragione possa vincere sulla passione. Questo produce l’accettazione che, in questa realtà/finzione dell’opera, la donna sconfigge l’uomo con la morte. Carmen in verità sopravvive, attraverso la sua libertà diventa un mito. Carmen ha strumentalizzato la debolezza dell’uomo per sottometterlo e ottenere, con la propria morte, il trionfo.

 


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