L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La riscoperta del coreodramma

di Michele Olivieri

L’emergenza sanitaria ci ha imposto un nuovo comportamento. Non si può andare a teatro ma questo non significa sospendere ogni attività e non coltivare più gli interessi, per ora bisogna solo fruirne in maniera differente. Grazie al web importanti proposte arrivano direttamente a casa dando una mano alla cultura e un senso di aiuto per ciascuno di noi. Sul canale youtube del Bashkir State Opera and Ballet Theatre (Russia) è stata visibile la storica coreografia La fontana di Bakhchisaray.

UFA - Grazie agli eventi in streaming si possono riscoprire ed ammirare balletti da noi poco rappresentati o del tutto fuori repertorio, come nel caso della Fontana di Bakhchisaray  su libretto di N. Volkov, basato sull’omonimo poema di A. Puškin, con l'incisiva musica di Boris Asafiev e le ricche coreografie di Shamil Teregulov: una felice occasione per dare visibilità ad un titolo non così noto al grande pubblico nazionale, pur essendo presente in numerose compagnie dell’ex-Unione sovietica e dell’Europa orientale. Custode e testimonial dell’opera coreografica è - tra gli altri celebri teatri russi - anche la compagnia del Teatro Accademico Statale dell’Opera e del Balletto “R. Nureyev” con l’Orchestra Sinfonica diretta da Herman Kim del “Bashkir State Opera and Ballet Theatre”.

La fontana di Bakhchisaray andò in scena in debutto assoluto al Teatro Kirov di Leningrado il 28 settembre del 1934, con la coreografia di Rostislav Zakharov. Nei ruoli principali di Maria e Vaclav si esibirono l’immensa Galina Ulanova (Maria) e il grande Konstantin Sergeev (Vaslav), Olga Iordan (Zarema) e Mikhail Dudko (Khan Ghirey). Negli anni successivi, si hanno altre produzioni e allestimenti, sempre a opera dello stesso Zakharov, costantemente allineati all’originale e in tempi più recenti quelle del Bolshoi e del Mariinsky, in particolare nella felice interpretazione di Evgenia Obraztsova. La versione vista sul web porta la firma per quanto riguarda la coreografia di Shamil Teregulov, fedele all’impianto primigenio, con l’apporto di alcuni tagli relativi all’esorbitante narrazione, riducendo il balletto a serata intera da 4 atti con prologo ed epilogo, a due atti. Ne risulta una fantasmagoria entusiasmante per l’ampiezza delle danze di carattere di derivazione popolare grazie ad Aleksandr Shirayev (assistente di Petipa), le quali vengono codificate come un’autentica danza da inserire nei balletti classici accademici, assumendo così una propria tecnica ed un proprio stile, quale vera e propria disciplina artistica e non solo più come balli tradizionali. Da menzionare Carlo Blasis che fu il primo ad usare la terminologia “danza di carattere”  in un suo trattato in cui ne parla come una disciplina da sempre presente sui palcoscenici europei pur con un’importanza minore.

La fontana di Bakhchisaray presenta numerosi pezzi che gli abili ballerini usano per sfoggiare la preparazione oltre a risultare di massimo aiuto nell’espressività e nell’enfatizzazione del ruolo. In questo balletto, a mio avviso, così attento a miscelare i generi che hanno reso l’arte maggiormente completa, troviamo quella componente di contenuto misto che accompagna lo spettatore all’interno della trama, al di là del puro piacere estetico, donando spettacolarità all’opera complessiva anche per mezzo della pantomima che assume un ruolo fondamentale al servizio dell’esposizione, potenziando il contenuto drammatico, rendendo i personaggi “veritieri”, facendo breccia nell’immaginazione dello spettatore, andando oltre l’estetica e la tecnica ma arrivando direttamente a toccare le corde dell’emotività. Ciò avviene per mezzo dell’espressività sul gesto danzato. Basti pensare che nell’Ottocento non esisteva alcun balletto senza parti mimiche, dando così vita ad un dettagliato dizionario sulla gestualità, poi abbandonato nel Novecento: questo allestimento ci restituisce appieno l’uso antico - ma al contempo ancor affascinante - di questa nobile pratica.

La trama è presto raccontata e sintetizzata: nel castello del principe polacco Adam ogni finestra appare illuminata per il sopraggiungere degli invitati al grande ballo. Nel parco si ritrovano Maria e il suo fidanzato Vaclav, gioiosi del loro amore, fantasticando sul matrimonio e un radioso futuro. Al contempo, nel parco si aggira una spia tartara, inseguita dalla guardia polacca. Al suono della polonaise, si succedono le coppie danzanti. Per primi si esibiscono Maria e suo padre. Immediatamente dopo la polonaise (caratterizzata dall'andamento maestoso e dal sostenuto ritmo) viene eseguita una avvincente mazurka (a volteggi con un ritmo più moderato e movimenti accentuati). Durante il clou dei festeggiamenti entra il comandante della guardia, annunciando che schiere di Tartari hanno circondato il parco. Gli uomini imbracciano le armi, ma i Tartari ormai si sono già introdotti in ogni dove. Durante gli scontri muore anche il principe polacco. Dal castello in fiamme riesce a fuggire Maria, difesta e protetta dal fidanzato Vaclav. Improvvisamente, il khan dei Tartari, Ghirej, li blocca e colpito dalla bellezza della ragazza, uccide Vaclav. Maria viene catturata e rinchiusa nell’harem personale di Ghirej. Le concubine festeggiano danzando, tra loro c’è anche Zarèma, la favorita del khan. Una marcia militare saluta il ritorno vittorioso dell’esercito. I pensieri di Ghirej però sono tutti per la bellissima prigioniera, tanto che la sensuale danza di Zarema non desta in lui alcun interesse, lasciando la ragazza afflitta ed angosciata. Maria trascorre le giornate nel ricordo mesto e triste, e la presenza di Ghirej non la rallegra e neppure la spaventa: è ormai indifferente a tutto. Ghirej la implora di amarlo, le narra la sua passione per lei, le racconta della ritrovata pazienza e bontà al suo fianco, ma Maria non riesce ad amare l’assassino di tutti i suoi cari e di Vaclav. Incapace di insistere, il khan si allontana. Non riuscendo a prendere sonno, Maria suona al liuto la sua melodia preferita, struggendosi al ricordo della felicità perduta. Nella stanza si introduce Zarema, che la implora di restituirle l’amore di Ghirey. Maria l’assicura che mai e poi mai amerà il khan, la ragazza le crede ma, notato il copricapo dimenticato da Ghirey, è sopraffatta dalla gelosia. Alle grida terrorizzate della schiava, accorre Ghirey con la sua guardia personale, ma è troppo tardi: Zarema ha pugnalato Maria. Zarema viene portata via dalla guardia. Nei giardini del Palazzo di Bakhchisaray, Ghirey piange la scomparsa di Maria. Il comandante dell’esercito, Nuralì, di ritorno da una vittoriosa incursione, gli mostra le nuove prigioniere, le concubine cercano di rallegrarlo con sofisticate danze, gli altri tartari lo esortano a nuove scorrerie, ma niente è capace di ridare vigore al khan, nemmeno l’esecuzione di Zarema. Ghirey dà ordine che venga aperta la fontana, costruita per suo ordine in memoria di Maria, la “fontana delle lacrime” dalla quale sgorgherà in eterno l’aspro pianto. Di fronte alla fontana il khan vede apparire l’immagine danzante di Maria e con lei i ricordi per la prima donna che lo ha fatto soffrire in amore, e il sipario si chiude nel finale foriero di applausi.

Il balletto viene definito nei manuali “a figura intera” sotto l’influenza del cosiddetto “balletto drammatico”, nell'ideologia dall’intento educatore del realismo socialista, che ne ha determinato un linguaggio coreografico semplice, potente nella narrazione, a tratti troppo prolisso e facondo, per nulla stilizzato e con forti connotati ideologici: Bakhchisaray si trova in Crimea, il Palazzo omonimo venne costruito nel XVI secolo e da allora è stato più volte distrutto e ricostruito. La fontana, che ancora oggi è presente nel cortile principale, è chiamata ben appunto La fontana delle lacrime e Aleksandr Sergeevič Puškin iniziò a scrivere questo suo poema, nella primavera del 1821 (completandolo nel 1823), dopo averla visitata personalmente nel 1820.

Dalla scomparsa di Nureyev nel 1993 il Bashkirian State Ballet Theatre ospita annualmente un fastoso festival di danza in omaggio al grande ballerino, voluto dal coreografo Yuri Grigorovich, storico direttore del Bolshoi di Mosca. Le étoile dei più importanti teatri russi e solisti internazionali considerano un onore ballare su questo palcoscenico in memoria di Rudolf Nureyev. Nel repertorio della compagnia troviamo i grandi capolavori del balletto classico: Il lago dei cigni, La bella addormentata, Giselle, Le corsaire, Lo schiaccianoci, Chopiniana, Paquita, La Bayadere, Don Chisciotte, Raymonda, La Sylphide, Romeo e Giulietta, La Fille mal gardée e questa riscoperta tersicorea: La fontana di Bakhchisarai. In scena nello streaming Lilia Zainigabdinova (ballerina dalla formazione eclettica, la quale unisce alla tecnica un’espressività verosimile, dalle molteplici sfumature), Sofya Gavryushina (sensuale nella leggerezza dei passi), Ruslan Abulkhanov (intenso nel movimento), Shota Onodera (ben salda nel suo tessuto di azioni danzate), Oleg Shaibakov (maturo nel ruolo e nell’apprendimento del gesto), Arslan Zubaidullin (la sua danza è un calibrato gioiello), e via via tutti i componenti della compagnia, ognuno con la propria preparazione e il proprio vissuto artistico, chi più bravo chi meno e come si suol dire “se non ha una buona entrata, ha una buona uscita o viceversa”. Una curiosità, giusto per far capire quanto sia importante la storia della danza in ogni sua sfaccettatura, ci riporta anche a una versione della Fontana di Bakhchisarai, con il titolo Una vittima della gelosia, portato in scena dal papà del “Dio della Danza” Vaclav Nižinskij, nel 1892 a Kiev. Il primo atto, così come il secondo, sono creati per un corpo di ballo particolarmente numeroso, dotato di salda tecnica specialmente nelle gambe, capace di convincere interpretativamente mediante lo smalto tipico di chi studia l’interiorizzazione del ruolo senza risparmiare energie nel sostenere lo sforzo qualitativo. Sullo sfondo scenografie di forte impatto e un ricercato uso della luce, oltre a sontuosi e pertinenti costumi che hanno permesso di ricreare quel clima e quelle atmosfere propri dell’immaginario di Puškin, e poi di Volkov. Tutta la compagine è degna del nome che rappresenta e la coreografia rende all’unisono con la musica quell’amore poetico appena sfiorato nella nascita e nel fiorire del sentimento, troncato dagli ostacoli tragici della vita, e in quella realizzazione di un sogno mancato, permeando la visione dapprima con gioia e poi con sventura, per terminare in tragedia. La versione firmata dal coreografo Shamil Teregulov è in grado di evocare, con velato magnetismo del corpo, il coreodramma, presentando un allestimento valido nella contrapposizione cromatica degli stati d’animo. Si racconta che ancora oggi, presso la fontana, ci siano sempre due rose (una rossa ed una bianca) a simboleggiare una antica tradizione promossa dallo stesso Puškin in persona.


 

 

 
 
 

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