L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

andras schiff

La camera nobile

 di Roberta Pedrotti

Nel cartellone del Bologna Festival, András Schiff e la Chamber Orchestra of Europe dipanano con perfetta unità d'intenti un percorso raffinato che giunge a rileggere Brahms nella luce di Bach e Bartók.

BOLOGNA, 6 aprile 2017 - Quando un solista passa al podio del direttore vien spontaneo domandarsi quale dei due ruoli, delle due anime artistiche prevarrà, se si scoprirà un diverso talento o se avremo la sensazione di un’opzione occasionale. Distinto e aristocratico, András Schiff si sottrae all’enigma eleggendo a perfetta partner la Chamber Orchestra of Europe: cameristica non tanto nel numero – nei fatti ben sufficente a sostenere il Secondo concerto di Brahms – quanto nello spirito, giacché il respiro comune sembra render superflua l’autorità costituita del concertatore sul podio. A Schiff basta uno sguardo, un cenno del capo, all’ensemble nel suo complesso basta l’ascolto reciproco e solidale per regalare un suono di rara chiarezza ed eleganza, una compattezza seducente sia per la precisione e il gusto, sia per il calibro perfetto delle dinamiche e dei rapporti sonori (emblematico, in tal senso, il crescendo nel primo movimento del Concerto brahmsiano).

Il respiro comune è imposto subito nella prima parte della serata, che inanella senza soluzione di continuità due Recercari (a tre e a sei voci) dall’Offerta musicale di Bach e la Musica per archi percussione e celesta di Bartók. In crescendo, il primo Recercare riposa solo nel pianoforte di Schiff, il secondo risponde nelle prime parti dell’orchestra, con eguale nobiltà nel porgere, fine e garbata levità di tocco e fraseggio. Un Bach così pulito, essenziale, elegantemente geometrico sembra l’antecedente ideale, anche nella chiarezza delle dissonanze emancipate dal gioco contrappuntistico, per un Bartók quasi astratto nella sospensione timbrica e armonica, con il pianoforte (Denes Vajon, già scelto per affiancare Alfred Brendel in una recente conferenza-concerto al Comunale) annoverato a pieno titolo fra le percussioni, perentorio nel ritmo quanto ininfluente nelal melodia, e la celesta a sviluppare bagliori spettrali. Da lì a una lettura di Brahms che privilegi l’amore e l’omaggio per il Kantor di Lipsia sul clima romantico del secondo Ottocento il passo è davvero breve.

Ecco allora il rigore strutturale e contrappuntistico di Brahms nell’impeccabile contegno aristocratico del fraseggio di Schiff, in equilibratissimo dialogo con un’orchestra che, per il suo essere squisitamente cameristica nei modi, non ci fa rimpiangere certo il suono di sorelle definite sinfoniche, anzi: ci fa gioire di paste e dinamiche d’impagabile finezza senza che mai le proporzioni ottocentesche dell’organico risultino indebitamente smagrite (anzi, la chiarezza delle sezioni è tutt'uno con la loro incisività). Tutto si bilancia al meglio là dove la tradizionale forza del piano Bösendorfer, voluto dal solista, è affidata al tocco netto e apollineo di Schiff.

Dopo una lettura dalla chiave così precisa, quasi radicale, e così suadente e intrigante nella resa, Schiff riappare e con voce grave e sorridente annuncia il primo bis un Bartók “per i bambini”, perfetto meccanismo (e ancora una volta, dunque, fa capolino l’amore per la musica geometrica) dipanato lievemente da un saggio affabulatore. Quindi, l’orchestra ci sorprende: posa gli strumenti, regge in mano nuovi pentagrammi e si tramuta in coro per un Liebeslieder Walzer di Brahms. Far musica insieme, sembrano dire, è importante, sia che si suoni, sia che si canti, non fa differenza. Di certo, quando la qualità artistica è questa, poco cambia: siamo nell’Olimpo con un nobilissimo consesso dall’amabile spirito cameristico, e siamo grati per esser stati ammessi all’eletto convito.


 

 

 
 
 

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