L’Ape musicale

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Epifania

di José Noe Mercado

Gustavo Dudamel e la LA Philharmonic tengono a Città del Messico un concerto da ricordare.

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CITTA' del MESSICO, 28 ottobre 2022 - Quello che è stato probabilmente il miglior concerto di musica classica del 2022 (e per molti anni) tenutosi a Città del Messico o dintorni, il 28 ottobre è stato presentato al National Auditorium dalla Los Angeles Philharmonic con il suo direttore musicale, il venezuelano Gustavo Dudamel. Quella di "migliore" può essere una valutazione soggettiva, ovviamente; ma la memorabile qualità interpretativa mostrata da Dudamel e dai suoi musicisti non può essere negata e infatti disegna un'asticella molto alta all'orizzonte se qualcuno vuole spingersi in quelle regioni che vanno oltre un semplice concerto stagionale per addentrarsi nell'estetica profonda del suono che si trasferisce all'esperienza vitale stessa.

Nell'ambito della 50a edizione del Festival Internazionale Cervantino, e un giorno prima di esibirsi al Teatro Juárez di Guanajuato dove l'esperienza sarebbe stata simile, il LA Philharmonic ha eseguito una prima parte di musica messicana contemporanea.

Ad aprire il programma è stato eseguito Kauyumari di Gabiela Ortiz. È un'opera commissionata dalla LA Philharmonic come parte del ritorno sul palco dopo la pandemia, della durata di quasiotto minuti, in cui la sua compositrice avventura le sue linee sonore attraverso un pellegrinaggio spirituale guidato dal peyote, un viaggio che permette agli Huichole di comunicare con i loro antenati, eseguono i loro ordini e si costituiscono come guardiani del pianeta.

Kauyumari (Cervo azzurro, in Huichol) può essere inteso come quel rito annuale in cui gli Huichol intraprendono la caccia al cervo blu, mentre fanno offerte per accedere al mondo invisibile. Il pezzo trae una melodia dal folklore Huichol che progressivamente assume un ritmo frenetico e complesso in cui la melodia si dissolve, forse come simbolo di quel viaggio nel peyote che fonde la coscienza con l'intangibile. L'assieme ha offerto quel viaggio evolutivo e quasi minimalista, ma lontano dalla meccanica, raggiungendo un livello piuttosto ipnotico e spirituale stato comunicato dalla bacchetta di Gustavo Dudamel, che non solo guida il suono ma anche l'energia dei suoi musicisti.

Come secondo brano, e della durata di quasi mezz'ora, è stato affrontato Fandango, formalmente un concerto per violino e orchestra in tre movimenti (Folia tropical. Plegaria. Fandanguito), ma a rigor di termini un huapango che richiede energia, virtuosismo e vitalità. L'opera, commissionata dalla violinista americana Anne Akiko Meyers, solista che l'ha eseguita durante il concerto, ha permesso di mettere in mostra la padronanza delle forme classiche di Arturo Márquez, ma anche di ribadire un suono così melodioso, popolare ed epico allo stesso tempo. Un'orchestra come LA Phil e un direttore come Gustavo Dudamel, uniti al talento di Akiko Meyers, non potevano che offrire un'autentica performance antologica.

Il primo movimento segue la forma classica della sonata (introduzione, esposizione con due temi, ponte, sviluppo e riesposizione), mentre il secondo rende omaggio all'huapango mariachi insieme allo spagnolo fandango (ciaccona), sotto forma di danza e intimo lirismo; per giungere al terzo, che è una libera elaborazione dell'Huasteco huapango e una festa di coloratura e ornamento del violino solo. Anne Akiko Meyers - che suona l'Ex-Vieuxtemps Guarneri del Gesù, datato 1741, considerato da molti il ​​violino con il miglior suono esistente e su cui sono montate le corde Larsen - ha dispiegato una magia abbagliante di colori, voci e trame circondate dalla simbiosi fra orchestra e bacchetta.

L'eccezionale virtuosismo di Akiko Meyers ha preso vita al National Auditorium, ed è testimoniato dai suoi quarants album registrati, dalle sue costanti apparizioni alla radio classica mondiale e in cima alle classifiche di Billboard, ma soprattutto dalla sua stimolante collaborazione con alcuni dei più importanti compositori di oggi (Mason Bates, Jakub Ciupiński, John Corigliano, Jennifer Higdon, Morten Lauridsen, Wynton Marsalis, Arturo Márquez, Arvo Pärt, Gene Pritsker, Einojuhani Rautavaara, Somei Satoh e Adam Schoenberg, tra gli altri) che per lei hanno creato un nuovo repertorio per violino.

Se la prima parte era composta da due succulenti piatti sonori, dopo l'intervallo i LA Phil e Gustavo Dudamel hanno eseguito una sorprendente e indelebile esecuzione della Sinfonia n. 1 in re maggiore di Gustav Mahler. La profondità emotiva dell'interpretazione era paragonabile nei suoi quattro movimenti solo alla bellezza in cui le sezioni assumevano la caratura di solisti, in un suono elaborato con precisione e, ancor di più, con un'anima condivisa. Gli archi esprimevano lirismo quasi doloroso, con un suono fermo e smaltato anche nel pianissimo più sussurrato. Negli ottoni verve, precisione luminosa e chiarezza. I legni preziosi nella sua empatia. E con le percussioni risuonano oltre la sala, dentro il pubblico, abbandonato a un'esperienza che comprende, o meglio sente o intuisce, che è speciale e unica.

Dudamel e la LA Phil potrebbero forse avere un paragone nell'epifania del momento che sono riusciti a creare. Ad esempio, il gol di Diego Armando Maradona allo Stadio Azteca con la maglia numero 10 della squadra argentina contro gli inglesi, nel Mondiale del 1986 in Messico, quindi di quelle dimensioni e senza esagerare.

Non ha senso dire di più. Ecco perché non c'era nemmeno spazio per il bis. Tutto era stato detto in quel concerto.


Epifanía

por José Noé Mercado

LA Phil y Gustavo Dudamel en el Auditorio Nacional

CIUDAD de MEXICO, 28 octubre 2022 - En lo que probablemente haya sido el mejor concierto de música clásica de 2022 (y de muchos años) realizado en la Ciudad de México o sus alrededores, el pasado 28 de octubre se presentó en el Auditorio Nacional Los Angeles Philharmonic (Orquesta Filarmónica de Los Ángeles), bajo la batuta de su titular artístico, el venezolano Gustavo Dudamel.

Lo de mejor puede discutirse por ser una apreciación subjetiva, claro; pero lo memorable que resultó la calidad interpretativa mostrada por Dudamel y sus músicos no puede negarse y de hecho traza en el horizonte un vara muy alta si alguien quiere asomarse a esas regiones que van más allá de un simple concierto de temporada para adentrarse en la profundidad estética del sonido que se traslada a la experiencia vital misma.

En el marco de la 50 edición del Festival Internacional Cervantino, y un día antes de presentarse en el Teatro Juárez de Guanajuato donde la experiencia sería similar, la LA Phil interpretó una primera parte de música mexicana contemporánea.

Para abrir el programa, se interpretó Kauyumari de Gabiela Ortiz. Se trata de una obra justamente comisionada por LA Phil como parte del regreso a los escenarios tras la pandemia, cercana a los 8 minutos de duración, en la que su compositora aventura sus trazos sonoros por un peregrinaje espiritual guiado por el peyote, viaje que permite a los huicholes comunicarse con sus antepasados, cumplir sus órdenes y erigirse en guardianes del planeta.

Kauyumari (Ciervo azul, en huichol) puede entenderse como ese rito anual en el que los huicholes emprenden la caza del venado azul, al tiempo que realizan ofrendas por acceder al mundo invisible. La pieza dibuja una melodía de folclor huichol que de manera progresiva toma un ritmo frenético y complejo en el que se disuelve la melodía, acaso como simbolismo de ese viaje de peyote que fusiona la conciencia con lo intangible. La agrupación ofreció ese recorrido evolutivo y casi minimalista, pero alejado de lo mecánico, alcanzando más bien un plano hipnótico y espiritual que se comunicaba desde la batuta de Gustavo Dudamel, quien no sólo conduce el sonido sino la energía de sus músicos.

Como segundo número, y con una duración cercana a la media hora, se abordó Fandango, formalmente un concierto para violín y orquesta en tres movimientos (Folia tropical. Plegaria. Fandanguito), pero en rigor un huapango que demanda energía, virtuosismo y vitalidad.

La obra, compuesta por encargo de la violinista estadounidense Anne Akiko Meyers, solista que lo interpretó durante el concierto, permitió lucir no sólo el dominio de las formas clásicas de Arturo Márquez, sino reiterar ese sonido tan melodioso, popular y épico al mismo tiempo.

Una orquesta como LA Phil y un director como Gustavo Dudamel, sumado al talento de Akiko Meyers no podían sino entregar una interpretación de antología auténtica.

El primer movimiento sigue la clásica forma sonata (introducción, exposición con dos temas, puente, desarrollo y reexposición), mientras que el segundo rinde tributo al huapango mariachi conjuntamente con el fandango español (chacona), a manera de dancístico e íntimo lirismo; para llegar al tercero, que es una elaboración libre del huapango huasteco y una fiesta de coloratura y ornamentación del violín solista.

Anne Akiko Meyers, quien interpreta “el Ex-Vieuxtemps Guarneri del Gesù, fechado en 1741, considerado por muchos como el violín de mejor sonido que existe y respalda las cuerdas Larsen” desplegó una deslumbrante magia de colores, voces y texturas arropada por una agrupación y batuta simbióticas.

El virtuosismo fuera de serie de Akiko Meyers cobró vida en el Auditorio Nacional, y lo avalan sus 40 discos grabados, sus constantes apariciones en las radios clásicas mundiales y en los primeros sitios de las listas de Billboard pero, sobre todo, su colaboración inspiradora para que los principales compositores de la actualidad (Mason Bates, Jakub Ciupiński, John Corigliano, Jennifer Higdon, Morten Lauridsen, Wynton Marsalis, Arturo Márquez, Arvo Pärt, Gene Pritsker, Einojuhani Rautavaara, Somei Satoh y Adam Schoenberg, entre otros) creen nuevo repertorio para violín.

Si la primera parte se conformó de dos platillos sonoros suculentos, luego del intermedio LA Phil y Gustavo Dudamel emprendieron una alucinante e imborrable ejecución de la Sinfonía No. 1 en Re Mayor de Gustav Mahler.

La hondura emocional de la interpretación sólo fue equiparable a lo largo de sus cuatro movimientos con la belleza en que las secciones tomaron dimensiones de solistas, en un sonido elaborado con precisión y, más aún, con alma conjunta. Con unas cuerdas de lirismo casi doloroso, con sonido firme y esmaltado incluso en los pianísimos más susurrados. Con metales de brío, precisión y claridad luminosas. Con maderas preciosas en su empatía. Y con percusiones que repercuten más allá de la sala, en el interior del público, abandonado a una experiencia que entiende o más bien siente o intuye que es especial y única.

Lo de Dudamel y LA Phil quizá pueda tener comparativos, en lo epifánico del momento que lograron crear. Por ejemplo, el gol de Diego Armando Maradona en el Estadio Azteca vistiendo el jersey número 10 de la selección argentina contra la selección inglesa, en el Mundial México 1986. Así, de ese tamaño y sin exagerar.

No tiene caso decir más. Por eso ni siquiera hubo espacio para encore alguno. Todo había sido dicho en ese concierto.

 


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