LUCA BACCOLINI INTERVISTA VALENTINO CORVINO
Valentino Corvino, perché “Opera Live Cooking” può essere considerata a tutti gli effetti un'opera?
“Perché nonostante convivano linguaggi diversi (perfino il jazz o la musica latina) la vocalità rimane sempre lirica e i meccanismi della trama e delle scene sono figli dell'opera tradizionalmente intesa. Questa è la mia prima esperienza di composizione (e direzione) di un'opera. Avevo scritto un musical per famiglie - “Favole al telefono” -, ma questa posso finalmente definirla un'opera a pieno titolo”.
Come ha lavorato sul materiale musicale? Si è fatto subito coinvolgere nel lavoro in cucina?
“La prima preoccupazione, trattandosi di un'opera a numeri chiusi, è stata quella di non rendere banale l'alternanza tra momenti recitati e momenti cantati. Poi ho cercato di calare i numeri musicali nel contesto sonoro della cucina”.
Ha “studiato” da chef insomma...
“Intanto le mie origini pugliesi dicono molto della passione che ho sempre avuto per la cucina. Per quest'opera ho attinto dai rumori tipici di una cucina in fermento per poi agganciare ai rumori il discorso musicale. Un esempio? Rudy, uno dei personaggi in scena, tamburella sulle pentole e richiama il ritmo di una batteria. Oppure l'affettatura a colpi di coltello ispira l'aria 'dello scalogno'. Ho pensato che dai suoni stessi del laboratorio dello chef potessero nascere situazioni musicali, anche per dare un senso di continuità. Venendo dal mondo della musica elettronica per me è stato molto interessante calarmi in questo contesto ambientale. Ho voluto registrare i suoni della cucina di Antonino Cannavacciuolo per avere a disposizione tutto il materiale che mi serviva per comporre”.
E come si sbozzano i personaggi, così diversi tra loro, dal punto di vista musicale?
“Essendo questa un'opera buffa si deve lavorare più sulla parola scenica che sul suono. Ho inserito molte indicazioni registiche in partitura, indicazioni che ho condiviso col regista, perché qui è fondamentale anche una lettura musicale dei personaggi”.
Ci saranno quindi dei motivi ricorrenti per ogni personaggio?
“Non proprio dei leitmotiv ma degli stili, che ciascun personaggio si porta dietro come se facessero parte della propria personalità”.
Qualche esempio?
“Samantha, il personaggio più sensuale, è associata al jazz; il blogger (controtenore) richiama Händel e Vivaldi; il basso è un basso verdiano; Mimì è la figura più romantica, dunque più melodica; Rudi è un tenore che passa dal rap a Puccini, in un percorso di affinamento dei gusti musicali e ovviamente gastronomici. Si può leggere come un omaggio alla storia dell'opera. Del resto questo progetto nasce anche per presentare l'opera a chi ancora non la mastica, dimostrando che non ci si può accontentare di un solo morso superficiale per amarla”.
Mischiare così tanti stili sarà stata un'impresa...
“Forse la parte più complicata del lavoro, perché il rischio era quello di presentare dei cliché, non delle idee musicali. Ho impiegato la maggior parte del tempo a evitare di lavorare per imitazione. L'aggancio, anche in questo caso, è stato la parola. Quello che gioca da perno è la situazione scenica: i suoni e i rumori sono diventati i miei materiali e i colori. Gli stili il mezzo con cui cucirli sui cantanti”.