L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La ruota della Fortuna

di Luigi Raso

Il Coro del San Carlo, dopo la bella prova nella Traviata, debutta ufficialmente in un concerto in pubblico dopo le chiusure degli ultimi mesi e con José Luis Basso, nuovo maestro sul podio. L'interpretazione dei Carmina Burana di Orff suscita acclamazioni.

NAPOLI, 5 giugno 2021 - Cominciamo dalla fine. Il primo concerto ufficiale del Coro del San Carlo dopo la sospensione, causa pandemia, davanti al pubblico in carne e ossa e non in pixel digitali si chiude con cinque minuti di applausi calorosi e ritmati, richieste di bis (che viene concesso: O Fortuna finale), acclamazioni del neo direttore del Coro, José Luis Basso, da parte di pubblico e coristi.

La compagine si era già esibita, ed egregiamente, nella Traviata dello scorso mese (Leggi la recensione), tuttavia questo di stasera può essere considerato, così come per l’orchestra dei giorni scorsi (Leggi la recensione), il concerto della rinascita del Coro e del secondo battesimo del nuovo direttore, l’italo-argentino José Luis Basso, antica e gradita conoscenza del pubblico partenopeo avendo guidato il complesso sancarliano per quasi un biennio, tra il 1994 e il 1996.

Si riparte con un evergreen corale, Carmina Burana di Carl Orff.

La cantata scenica, composta tra il 1935 e il 1936, viene stasera riproposta nella versione, dello stesso Carl Orff, per soli, coro, e, in luogo dell’orchestra, due pianoforti e percussioni: le norme sul distanziamento sono osservate e la resa dei colori musicali, come si dirà, non sembra aver pagato troppo esoso dazio.

Senza dubbio i Carmina Burana non costituiscono un tornante fondamentale e indefettibile nel percorso frastagliato della storia della musica, tuttavia sono un lavoro indubbiamente suggestivo per la spiccata attitudine a reinventare e conciliare tra loro stilemi, reminescenze di sonorità medioevali e testi goliardici; tutto ciò è sostenuto da una ritmica esasperata, espressione di quella pulsazione vitalistica e carnale, di quell’esaltazione dell'hic et nunc che costituisce il messaggio dei Carmina Burana. Bandite e quasi derise trascendenze e lezioni escatologiche, i Carmina Burana - dal monastero di Benediktbeuern, la Bura Sancti Benedicti - ci invitano a godere delle effimere gioie terrene, dei piaceri carnali, insomma di tutto ciò che si chiama semplicemente vita, ammonendoci che la Ruota della Fortuna gira ininterrottamente. Sono Carmina che, se ce ne fosse ancora bisogno, testimoniano quanto sia errata l’idea di Medioevo coltivata per secoli e quanto sia ingiusto, nonché inappropriato, l’abusato aggettivo medioevale declinato nell’accezione di retrogrado.

Probabilmente proprio per esorcizzare la recente pandemia - flagello ricorrente nell’Europa medioevale - la direzione di José Luis Basso è improntata a una continua esplosione vitalistica; la conduzione è rapida, concreta e immediata. Non c’è tempo per indugiare, così come i Carmina prescrivono e invitano: nella ritmica ossessiva e - spesso, troppo spesso - compiaciuta di Orff prende forma e si consuma l’istinto vitale: e José Luis Basso, impugnata la bacchetta da direttore d’orchestra, è bravo ad assecondare, esaltandolo quando e quanto necessario.

È da lodare l’ottima prova del Coro del San Carlo: duttile, versatile nell’affrontare le lingue maccheroniche in cui sono scritti i carmina; secondo le occorrenze, ha “voce” unica, compatta e poderosa, così come tenue e melliflua. Risuona bisbigliata e con la giusta dose di insito timore la consonante “s” di variabilis, crescis, decrescis, detestabilis nei primi versi di O Fortuna. Luminoso, invece, è Veris leta facies.

Si procede con precisione, senza sbavature e con colori cangianti, con voce che si assottiglia fin quasi ad divenire sussurro; ma c’è spazio - e tanto! - anche per quelle tonitruanti e telluriche, giocose e irridenti, così come lo spirito del singolo carmen richiede.

Molto suggestivo, curato e ben cesellato nel bilanciamento dei volumi è il gioco di contrapposizioni tra sezione maschile e femminile del coro, così come le intersezioni con l’ottimo Coro di Voci Bianche, disciplinato ed entusiastico come sempre, guidato con dedizione da Stefania Rinaldi.

Eccellente anche il terzetto solistico che vede nel baritono Francesco Esposito, del Coro della Fondazione, un interprete sicuro e intelligente, molto abile nell’affrontare e nel risolvere egregiamente le insidie di una scrittura vocale molto “alta” per la corda baritonale: esegue con sicurezza la temibile frase - e non è l’unica della parte - “..non me tenet vincula” di Estuans interius.

Desirée Migliaccio è interprete delicata, voce dal bel timbro e artista, anch’ella in forza presso il coro sancarliano, in possesso di buon controllo del fiato che le consente di emettere con sicurezza la nota tenuta sulla “a” nella frase “...sub intimo cordis in custodia” di Amor volat undique.

Per questa ripresa, in luogo del tenore, si opta per un controtenore: Federico Fiorio ne è ottimo rappresentante, benché la brevità della parte non consenta di apprezzarne appieno le notevoli doti. Gli basta Olim lacus colueram per dar sfoggio a un timbro di ottimo colore, consistenza, nonché a una tecnica raffinatissima grazie alla quale diviene efficace il lamento del bel cigno del carmen che è finito arrostito sullo spiedo.

Come accennato, la folta orchestra prevista da Carl Orff non avrebbe consentito un adeguato distanziamento in palcoscenico, pertanto, semicitando Leporello, sanno far bene la sua parte i bravissimi Roberto Moreschi e Vincenzo Caruso ai pianoforti: sostengono molto bene il Coro, i solisti e, soprattutto, suppliscono al meglio all’inevitabile mancanza dei colori orchestrali.

I percussionisti del San Carlo - l’ottima prova impone di nominarli tutti: ai timpani, Barbara Bavecchi; alle percussioni, Pasquale Bardaro, Marco Pezzenati, Francesco Cardaropoli, Giuseppe Saggiomo, Ciro Famiani e Giammarco De Angelis - sono perfetti nel disegnare e tenere ben salda l’intelaiatura ritmica dell’intera composizione: tutti precisissimi e con volumi e intensità sempre appropriati.

Alla fine, l’invito, terreno e umano, a divertirsi e a godere di ciò che la vita offre conquista il pubblico: applausi prolungati e traboccanti di sincero entusiasmo salutano tutti gli interpreti.

Del bis perentoriamente richiesto e generosamente concesso vi abbiamo parlato all’inizio. La circolarità, si noti, è elemento connotativo di Carmina Burana, sicut Rota Fortunae.


 

 

 
 
 

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