L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

antonio pappano e janine jansen

Concerto caleidoscopico

 di Stefano Ceccarelli

L’ultimo importante concerto dell’anno all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia vede la partecipazione della talentuosa Janine Jansen, diretta da Sir Antonio Pappano, in un programma che ha nella Serenade, after Plato’s “Symposium” per violino, arpa, timpani, percussioni e archi di Leonard Bernstein un motivo di indiscutibile interesse, per la rarità e singolarità della composizione, dove la Jansen ha regalato un’eccellente performance. A Ringkomposition aprono e chiudono composizioni di Maurice Ravel: le due orchestrazioni autografe di Un barque sur l’Océan e Alborada del Gracioso, dalla suite Miroirs, e la celeberrima La Valse in chiusura. Arricchisce l’eclettica serata la Sinfonia n. 7 in do maggiore op. 105 di Jean Sibelius. Il concerto è un successo.

ROMA, 15 dicembre 2016 – Torna, a breve distanza, la bella e talentuosa Janine Jansen a esibirsi col suo Stradivari (1707), questa volta coadiuvata sul podio dal padrone di casa, Sir Antonio Pappano. Il concerto è l’ultimo evento di rilievo del 2016 all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il programma (una studiata Ringkomposition: si apre e chiude con Ravel) è un raffinato susseguirsi di pezzi dalla forte carica evocativa, soprattutto per la presenza della rarissima Serenade, after Plato’s “Symposium” di Bernstein – motivo per cui si esibisce la Jansen.

Pappano, come di consueto, introduce il concerto (il cui programma definisce, ragionevolmente, caleidoscopico) con qualche parola su ogni brano: le atmosfere raveliane e la sua squisita tecnica orchestrale, particolarmente evidente nel «decadente, sexy, charmant» La Valse; un prelibato e raro frutto dell’ambizione compositiva dell’americano di West Side Story, palpabile testimonianza del fascino imperituro di Platone; le nordiche atmosfere di Sibelius.

Pappano è in forma smagliante: l’orchestra lo segue in una serie di brani la cui principale difficoltà esecutiva è proprio quella di essere delle delicate, ma splendenti, sculture di cristallo: ogni minima incrinatura ne avrebbe potuto guastare la perfezione. Il primo tempo, soprattutto, è di incredibile sensualità. L’orchestra rende sublimemente le screziature (legni, archi: un velo orchestrale trapunto di sapore marino) di Une barque sur l’Océan e l’energia, di gusto tipicamente spagnolo, ritmica dell’Alborada del Gracioso, ambedue della talentuosa mente di Ravel.

La Serenade di Bernstein rappresenta il fulcro del concerto, e per la sua rarità d’esecuzione e per la sua complessità interpretativa. Il Simposio di Platone è indiscutibilmente uno dei testi più affascinanti della civiltà occidentale. Bernstein (che coniugava allo spirito puramente americano una raffinata cultura) rimase affascinato da quel tempio della teoria erotica greca che è il dialogo platonico; e non può essere un caso che Bernstein s’affezionasse così al Simposio, che l’avrà certo interessato in quanto l’americano apprezzava gli amori per il proprio sesso, in anni così controversi (sul lato di morale sessuale, appunto) come quelli dei raggianti anni ’50 americani. Bernstein aveva strutturato la Serenade come un “concerto” per violino e orchestra, dove il violino rappresenta di volta in volta le voci narranti platoniche. L’esecuzione Pappano/Jansen (che mi auguro verrà riversata in CD) è stupenda. Del I movimento apprezziamo la perfetta responsione delle sezioni fra il violino e l’orchestra ridotta (discorsi di Fedro e Pausania); del II il gioco aereo, fascinoso, ludico della scrittura (Aristofane); del III l’agilità, la concisione fisica (Erissimaco); della canzone del IV le carezze d’immensa dolcezza del violino, evocanti il delicato amplesso degli amanti, la resa sonora dell’Eros safficamente dolceamaro, struggente (la Jansen è straordinaria nel far quasi piangere calde lacrime al violino); ieratico il V, poi imperniato sul dialogo fra violino e primo violoncello (Socrate-Diotima); sexy, infine, l’entrata di Alcibiade: glissando, vene jazz e erotici pizzicati condiscono questo brano. Pappano dirige tutto con grande senso del ritmo e delle infinite nuance di una scrittura così complessa e imprevedibilmente caleidoscopica com’è quella di Bernstein; Jansen rende tutto con incredibile morbidezza, grazia, con perizia tecnica, energia, profondo erotismo.

L’esecuzione della Settima di Sibelius è straordinaria: l’orchestra suona al meglio e Pappano esalta le terse sonorità (imperniate sulla nota del do) evocanti un mondo nordico, epico, sentimentalmente ed eticamente molto connotato, intimo direi in molti passaggi, un unico grande movimento di notevole sperimentalismo.

La Valse risuona, in chiusa, in tutta la sua grande ironia, šostakovichana, nella sua viennese, straussiana brillantezza, quasi distorta da una complessissima orchestrazione, straniante e magica al tempo stesso (che ha fatto pensare a un «ballo grottesco di fantasmi», E. Girardi). Un concerto singolarissimo per l’accostamento così singolari di brani fra loro molto distanti.


 

 

 
 
 

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