L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ritorno a casa

di Roberta Pedrotti

Nel giorno del compleanno di Rossini il popolo del Rof ritrova una sua storica casa: il Palafestival di Viale dei Partigiani, reinaugurato come PalaScavolini promette di tornare a godere del Festival in città, riaccende ricordi ed emozioni.

Pesaro, Buon compleanno, Rossini: in Fondazione, 29/02/2024

PESARO, 29 febbraio 2024 - Buon compleanno, Gioachino. La seconda tappa è un ritorno a casa, memoria fisica di luoghi e spettacoli, memoria di affetti e di ingegno. Sembra incredibile che un festival musicale più unico che raro in Italia nella sua attenzione alla dimensione teatrale abbia sempre faticato a trovare uno spazio stabile che rispondesse pienamente alle esigenze più moderne. L'Auditorium Pedrotti vanta un'acustica eccellente, ma le dimensioni ne hanno scoraggiato l'uso, attualmente interdetto anche per problemi d'agibilità. Il Teatro Rossini è un buon teatro all'italiana, medio per capienza, e da solo non può risolvere le esigenze della programmazione, tanto più che è stato oggetto di periodiche chiusure per restauri e ristrutturazioni. Allora, ci si è sempre dati da fare per inventare i luoghi del Festival, come fu per la magia dell'anfiteatro ideato da Pierluigi Pizzi nel parco di Villa Caprile, per Le nozze di Teti e di Peleo del 2001. E come fu quando dal 1988 si pensò di cominciare a utilizzare il palazzetto dello sport di Viale dei Partigiani: fu prima un Signor Bruschino, poi L'occasione fa il ladro, finché nel 1991 Pizzi, con un memorabile Tancredi, ebbe l'intuizione scenografica che svelò il potenziale del Palafestival e lo consacrò a luogo amato dove lo stesso artista milanese avrebbe poi allestito Guillaume Tell (oltre alla Pietra del paragone e alla ripresa di Otello e di un altro Tancredi, Hugo De Ana Semiramide, Luca Ronconi La Cenerentola (nonché La donna del lago, Il barbiere di Siviglia e Il viaggio a Reims per i vent'anni del festival) e Graham Vick Moïse et Pharaon. È il luogo dove si sentì per la prima volta Matilde di Shabran, dove debuttarono giovanissimi Vladimir Jurowski e Juan Diego Flórez, un luogo vissuto, un luogo che il popolo storico del Rof porta nel cuore. Ci si è sentiti sempre un po' in esilio da quando, con le ultime recite del Barbiere nel 2005, era stato chiuso, dichiarato inagibile, oggetto di discussioni: abbatterlo? Costruire abitazioni e spazi commerciali? Rifarlo? E come? Tutto nuovo? Com'era prima? Di certo, nel frattempo, il palazzetto periferico ora chiamato Vitrifrigo Arena non ha conquistato: può accogliere molte più persone, ma impone loro di stiparsi nelle navette all'andata, correre via per risalire a bordo al ritorno dall'immensa fredda astronave, isolata rispetto alle chiacchiere e agli incontri che rendono un teatro (e un festival) fulcro di una comunità. 

Prima c'era stata la discussione sul da farsi, poi le gare d'appalto con tutte le lungaggini burocratiche e giuridiche connesse, poi la pandemia a rallentare i lavori. Grazie al mecenatismo di Valter Scavolini, paradossalmente, proprio i soldi sono stati l'ultimo problema, mentre l'attesa sembrava eterna, il ritorno una chimera. Quando l'esodo è finito, si è entrati con il cuore impazzito, nell'atrio che sembrava uguale, tirato a lucido, la breve discesa e la risalita dell'accesso alla sala. Sì, il Palafestival è sempre quello, è lui, è tornato, nuovo, ma perfettamente riconoscibile, tanto che la gola si stringe e gli occhi si riempiono di lacrime: da lì ho visto Semiramide, da lì Tell, Moïse, Matilde... Là mi sedevo a parlare con Lubomir Màtl e là Graham Vick mi sconvolse per la prima volta. Loro non ci sono più, ma vedendo il personale delle pulizie che dà gli ultimi tocchi, i ragazzi dell'istituto alberghiero che preparano il brindisi finale per tutta la cittadinanza, c'è da scommettere che Graham li avrebbe avuti al centro dell'attenzione. Chi non c'è più ci manca, ma lo sentiamo vicino in quel turbine di ricordi che scuote tutto, fra queste mura, senza bisogno che ce li riportino sotto gli occhi le immagini proiettate sui maxischermi, anche se rivedere un Michele Pertusi trentenne (e già pietra del paragone) o Gianluigi Gelmetti e Lucia Valentini Terrani può far venire la pelle d'oca. Queste immagini si mescolano con le altre della storia del Palazzetto, con le sue molte vite nella musica leggera e nello sport: quando accanto a noi vediamo gli stessi sguardi lucidi, le stesse luci e gli stessi sorrisi di noi “popolo del Rof” accendersi per un canestro abbiamo la misura di quanto questo luogo sia importante, per tante persone, in tanti modi diversi.

Non mancheranno gli incontentabili, quelli che avrebbero preferito un altro progetto, una destinazione univoca, quelli che mugugnano sull'apertura simbolica nel giorno del compleanno di Rossini mesi prima dell'inizio effettivo dell'attività con l'inaugurazione del Rof, quando tutto l'apparato teatrale (compresi pannelli e camera acustica) sarà varato. Adesso per noi, invece, conta il cuore: siamo tornati a casa, fra il centro e il mare c'è di nuovo un luogo dove tanti pesaresi d'anagrafe o di sentimenti si ritrovano e condividono ciò che amano. Lì dov'era, com'era, ma tutto nuovo e debitamente aggiornato.

Siamo lì di nuovo, dopo quasi vent'anni, dopo un'attesa ormai anestetizzata. C'è un senso di felicità, quasi elettrizzante, in sala, come se il tempo non fosse passato o fosse tutto lì. Una nota stonata però c'è, nel discorso inviato dal sottosegretario Gianmarco Mazzi, assente per motivi di salute. Quello che avrebbe potuto (e dovuto) essere un breve augurio e saluto istituzionale si è spinto decisamente oltre i limiti del buon senso e del buon gusto, arrivando a definire Rossini “nato in una famiglia anticlericale” (il padre era un maldestro giacobino, ma forse l'etichetta è un tantino imprudente per tutti i congiunti) con la sua fede una sorta di alfiere delle “radici cristiane della cultura europea”. Si parla tanto e a vanvera di eccessi di zelo, “politically correct” e “cancel Culture”, ma voler attribuire a uomini vissuti duecento anni fa posizioni contemporanee è segno di una colpevole mancanza di senso storico e critico, senza contare che l'opposizione anticlericalismo/fede è quantomeno approssimativa. L'uomo che non amava le rivoluzioni, avendo già fatto il pieno di disagi durante l'infanzia, ed era amico dei Rothschield e di Metternich, che scriveva La gazza ladra e Guillaume Tell, firmava contratti con Murat e i Borboni, credente e gaudente, divorziato già riaccompagnato, autore della tenera e ironica Lettera al buon Dio merita di essere conosciuto nelle sue sfumature, come fanno il Festival e la Fondazione, non arruolato nelle fila di un partito contemporaneo per battaglie che non appartenevano né a lui né al suo tempo. Anche inorgoglirsi per il riconoscimento del canto lirico a patrimonio immateriale dell'umanità come fortemente voluto dallo stesso Mazzi e dal ministro Sangiuliano è parso un po' ingeneroso verso chi – come Assolirica e prima ancora i Cantori Professionisti d'Italia – ha concretamente lavorato per anni a questo scopo.

Paulo maiora canamus: non ci sono solo gli interventi istituzionali delle autorità cittadine o l'intervista a Valter Scavolini. C'è anche il momento della poesia con Gianni D'Elia e c'è quello della musica con Paolo Bordogna. Lui non aveva mai calcato le scene del Palafestival, ma l'aveva frequentato da spettatore: per questo, emozionatissimo, decide di aprire la sua esibizione con “Accusata di furto” dalla Gazza ladra perché è stata l'opera che aveva inaugurato il Teatro Rossini nel 1818 e il Festival nel 1980. Segue “Sia qualunque delle figlie” dalla Cenerentola, la prima opera che Bordogna ricorda di aver visto al Palafestival, nella storica produzione di Ronconi che poi avrebbe ripreso in altri siti. Infine, “Se ho da dirla avrei molto piacere” dal Turco in Italia, che completa un trittico di cavalli di battaglia. Così torna ufficialmente anche la musica, con un momento che è anche simbolico e sentimentale in attesa di sederci ancora, come una volta, a due passi dal mare e dalla casa natale di Rossini per vedere e ascoltare con la cura e l'amore che riserviamo al Rof e che dal Rof ci aspettiamo. 

Prendiamo nota: l'assessore Vimini ha dichiarato che nel 2025 il Rof tornerà tutto in centro. Non vediamo l'ora.


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