L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Metateatro western

di Alberto Ponti

Nell'attesa nuova produzione torinese dell'opera di Giacomo Puccini convivono la muscolosa direzione di Francesco Ivan Ciampa, un'eterogenea compagnia di canto e la regia macchinosa ma intrigante di Valentina Carrasco.

Leggi anche: Torino, La fanciulla del West, 28/03/2024

TORINO, 29 marzo 2024 - Opera più citata che ascoltata ed eseguita in teatro, la pucciniana Fanciulla del West rappresenta senza dubbio un titolo assai atteso della stagione 2023-24 del Teatro Regio, in buona parte incentrata su titoli del maestro lucchese nel centenario della scomparsa. Dopo otto recite su nove, il bilancio dello spettacolo è positivo con una buona presenza in platea ad ogni serata, nonostante la partitura sia, all'interno del non amplissimo catalogo dell'autore, tra quelle di meno immediato impatto sul grande pubblico. Secondo molti, tale caratteristica sarebbe da imputarsi all'abbandono dei momenti di espansione lirica in scene, arie e duetti in favore di un declamato variegato e quasi continuo con pochissime arcate squisitamente cantabili nella linea vocale. L'aspetto è vero e non trascurabile ma spiega forse solo parzialmente il difficile inquadramento di un lavoro che ha nella scrittura strumentale un elemento di assoluta novità rispetto ai precedenti titoli del musicista. Non solo ci troviamo di fronte, come è fatto notare anche nel saggio di Virgilio Bernardoni contenuto nel sontuoso libretto di sala, ad un'orchestra 'che assorbe in sé sia la funzione lirica, sia quella drammatica in parallelo all'eloquio dei cantanti...' ed è 'elemento di scansione scenica nelle sequenze di massa', ma lo stesso taglio del trattamento sinfonico è spesso stupefacente e di notevole interesse, se confrontato con le coeve esperienze europee (la prima al Metropolitan è del 1910). Prendiamo come esempio, tra i tanti possibili, la partita a poker tra Minnie e lo sceriffo Jack Rance che chiude il secondo atto. Il ruvido crescendo tutto staccato in quartine di semicrome che inizia dai contrabbassi e vede poi sovrapporsi violoncelli e timpani, procedendo in un accumulo di tensione spasmodica per quasi trenta battute, sotto gli stridenti interventi cromatici dapprima di strumenti isolati e poi dell'intera orchestra, pare evocare lo Stravinskij del Sacre... ben tre anni prima! L'inventiva di Giacomo Puccini raggiunge nella Fanciulla livelli altissimi e, nell'utilizzo del leitmotiv di derivazione wagneriana, lo sviluppo e l'elaborazione di alcuni temi conduttori principali convive con idee secondarie di straordinaria bellezza destinate a udirsi una volta soltanto, impasti timbrici originalissimi e in grado di conferire una precisa fisionomia a un singolo accordo, mondi contigui all'azione che si spalancano per un istante per sparire subito dopo. Si esce dal teatro col quesito irrisolto su cosa sarebbe accaduto se molte di queste fulminanti intuizioni fossero state sviluppate in modo diverso e quali vie avrebbe percorso la storia della musica se Puccini, anziché nella piccola città toscana, fosse nato in una grande capitale a nord delle Alpi. La sovrabbondanza di spunti dell'opera, dettata probabilmente anche da un'ansia di aggiornamento nello stile, rimarrà abbastanza un unicum nella produzione del compositore che, nel successivo Trittico e in Turandot, realizzerà una drammaturgia con mezzi tecnici altrettanto ampi partendo tuttavia da una più parca selezione del materiale di partenza. Si può dunque affermare senza indugio che, di fronte alla ricchezza problematica de La fanciulla del West, occorrono un direttore e cantanti di prim'ordine nei ruoli cruciali.

Sul podio abbiamo per l'occasione Francesco Ivan Ciampa, specialista nel repertorio operistico italiano. La sua concertazione è attenta e curata, pur tradendo una certa tensione nell'affrontare per la prima volta la complessa partitura. Il maestro campano ha dalla sua un'eccellente scansione ritmica e un'innata intuizione nel saper dettare i tempi dell'azione, prediligendo un taglio né troppo serrato nelle grandi scene di massa né eccessivamente indugiante nelle situazioni di maggior intimità, seguito con grande attenzione dall'orchestra del Regio, che nella stagione ha finora sempre dato ottime prove di personalità e versatilità. Quello che manca alla recita è una più ampia varietà nel timbro che in quest'opera è per lunghi tratti un vero e proprio elemento costitutivo dello sviluppo della vicenda. Ne consegue che talvolta le raffinatezze e sottigliezze della scrittura vengono annegate in un flusso agogicamente accattivante ma che tende all'uniformità, in particolare nei momenti di enfasi dove l'orchestra cede volentieri alla tentazione di prevalere sui cantanti, nel cui gruppo non tutti sono dotati di voci così potenti da 'bucare' la fitta coltre strumentale. Sul punto fa eccezione la protagonista Minnie, impersonata dall'ucraina Oksana Dyka, soprano di grande spessore e volume sonoro, dall'acuto facile e travolgente, non esente da sporadiche ruvidezze ma nel complesso assai gradevole nel fraseggio e a fuoco nell'emissione. E' una Minnie empatica anche sul piano scenico e attoriale, che emerge alla distanza con la sua capacità di distribuire le carte dello spettacolo (in ogni senso!) e di suscitare autentica emozione nei grandi duetti con Johnson e con Rance, mancando la parte di grandi assoli memorabili.

Per contro il ruolo del partner Dick Johnson, bandito pentito e redento, è affidato a Amadi Lagha, tenorino dalla voce di minor spessore e drammaticità, con un effetto complessivo di differente peso sul piatto della bilancia quando sul palco appare solo la coppia di innamorati come nell'estesa e ispirata scena del secondo atto ('Sei venuto per rubare?'). Dalla sua, Lagha può contare su un'intonazione frizzante e amabile, al limite dell'operettistico, che gli consente comunque di superare senza particolare affanno la celebre 'Ch'ella mi creda', unica vera aria della Fanciulla nel senso tradizionale del termine, e di apparire a proprio agio nei concitati episodi collettivi con i minatori e i comprimari all'interno dell'osteria della 'Polka' o nella 'grande selva californiana' che funge da scenario finale, con l'onere della condotta vocale spalmato su diversi personaggi.

Massimo Cavalletti è un Jack Rance deciso e battagliero. Il baritono lucchese, emissione sapida e tornita, non manca di personalità ed è autore di una prova convincente sotto ogni profilo considerando che nel secondo e terzo atto è lo sceriffo il motore dell'azione. Nonostante la scorza di 'duro' (molto più che non Johnson) affidatagli dal duo di librettisti Civinini & Zangarini, la sua figura è intrisa del sentimento tipico dell'amante non corrisposto, che Cavalletti riesce a far affiorare con un canto ora spianato ora sbrigativo senza mai perdere di credibilità.

All'altezza della movimentata trama sono gli altri caratteri chiamati a raccolta con una menzione speciale almeno per il tenore Francesco Pittari (il cameriere Nick) e il basso Paolo Battaglia (Ashby, agente della compagnia di trasporti Wells Fargo) per proseguire con gli altri numerosi comprimari: Filippo Morace (Sonora), Trin (Cristiano Olivieri), Eduardo Martinez (Sid e Billy), Alessio Verna (Bello e Harry), Enrico Maria Piazza (Joe), Giuseppe Esposito (Happy), Tyler Zimmermann (Larkens), Ksenia Chubunova (Wowkle, autrice di un gustoso cammeo nel 'duettino' con Minnie ad inizio di secondo atto), Gustavo Castillo (Jake Wallace) Adriano Gramigni (José Castro), Luigi Della Monica (un postiglione). Il numero dei personaggi dà idea dell'affollamento del palcoscenico in alcuni frangenti, ancor maggiore se si tiene conto del coro, che conferma la propria splendida preparazione sotto la guida di Ulisse Trabacchin.

Last but not least, la regia di Valentina Carrasco, che firma un nuovo allestimento per il Teatro Regio, fornisce un tratto distintivo marcato allo spettacolo, con un esperimento di teatro, o cinema, nel teatro. La soluzione non è certo nuova ma presenta un insieme di volute citazioni del western all'italiana che, a conti fatti, la rendono sfiziosa, a cominciare da una troupe di mimi in primo piano, che rappresentano un regista e i suoi aiutanti, con rimandi espliciti alle pellicole di Sergio Leone. Accade così che nei passaggi salienti dell'opera si veda sul proscenio la telecamera intenta a filmare protagonisti riprodotti in tempo reale su un maxischermo posizionato in alto quando sullo sfondo si svolge l'azione. Ne consegue un'indubbia macchinosità nei movimenti, non sempre fluidi, delle pedine in gioco, compensata però dalla leggerezza dei costumi di Silvia Aymonino, agli antipodi della polverosità dell'armamentario evocato dall'ambientazione da vecchio west, e dalle scene essenziali di Carles Berga e Peter van Praet (addetto anche alle luci), all'insegna di pulizia e ordine nel ricreare l'ambiente dell'osteria (primo atto) e la semplice abitazione di Minnie (secondo atto). I cavalli finti spostati su rotelle nel terzo atto hanno invece una resa modesta, pur con l'attenuante della problematicità di inserire animali in teatro, dal cigno di Lohengrin in giù. Ma i selvaggi boschi del nuovo mondo non possono essere riprodotti a prescindere ed allora tanto vale mostrare un finto fondale sostenuto a mano da due addetti, in una sorta di finzione al quadrato, con un sentiero che si perde in prospettiva tra gli abeti lungo il quale si incammina la nuova coppia verso la futura vita insieme mentre ancora dietro, sfruttando l'intera profondità del palco disadorno, sono accatastate le scene precedenti. Essenza del metateatro o poetica dell'essenziale? Ogni strada è aperta, o meglio non preclusa. Il pubblico apprezza tributando una lunga ovazione a tutti gli interpreti.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.