L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La parabola del presentatore e della direttrice

di Roberta Pedrotti

Il dialogo fra il presentatore Paolo Bonolis e la direttrice Francesca Perrotta durante l'inaugurazione dell'anno di Pesaro Capitale italiana della Cultura ha offerto spunti di riflessione rinnovati sull'importanza del linguaggio nella Giornata internazionale della donna.

Le ultime ore dell'8 marzo portano con sé un piccolo aneddoto di un mese e mezzo prima. Sabato 20 gennaio, alla Vitrifrigo Arena di Pesaro, si apre l'anno della Capitale italiana della Cultura. Una bella giornata di sole sferzata da un vento freddo, una bella festa: c'è la poesia di Mariangela Gualtieri, c'è la musica, ci sono video e spettacoli di suoni e proiezioni, ci sono i discorsi istituzionali. Il Comune, con il sindaco Ricci e l'assessore Vimini, esprime emozione, ma anche uno sguardo più ampio alla cultura come strumento di pace e di rispetto reciproco e per l'ambiente; il presidente della Regione Acquaroli ci racconta che le Marche sono belle e il ministro Sangiuliano parla della sua prima gita a Pesaro. C'è un messaggio d'augurio inviato da Liliana Segre, che esprime l'affetto e l'incanto di tanti diventati un po' pesaresi nel cuore (questa città ha un fascino strano, siamo in molti a subirlo), ci sono le parole sempre belle, profonde luminose del presidente Mattarella, giustamente il più applaudito. C'è anche una sorpresa, perché la presentazione è affidata a Paolo Bonolis, un indubbio professionista quanto a prontezza e tenuta del palco, al di là dell'apprezzamento soggettivo per la sua personalità, il suo umorismo o la sua retorica. Eppure, bisogna dirlo, quando si rivolge agli studenti in sala riesce a sciogliere parole belle, che potrebbero essere retoriche in massimo grado e invece suonano schiette e sentite, sul valore della cultura che si conquista personalmente con lo studio e l'impegno, che costa fatica ma ripaga con una ricchezza inestimabile. Un bell'elogio di sudate carte che varrebbe anche a lui un applauso, senonché un'altra faccia della medaglia fa discutere, perché il conduttore romano si affida poi volentieri (troppo) al solito repertorio di doppi sensi e allusioni. “Ecco” dirà qualcuno “non si può più dir nulla, non si può più scherzare”. No, no, non ci si scandalizza, anzi: chi, come la sottoscritta, ha vissuto un'infanzia ai tempi di Bim Bum Bam proprio con Bonolis (di cui ricordiamo una gag basata sullo studio della Pioggia nel pineto) e dei primi anni delle tv commerciali (Drive In su tutto) alza le spalle in un sospiro indulgente, perfino con un pizzico di tenerezza. Non fa più ridere: tutto qui. È come vedere un vecchio film che risulta ormai datato, ma lo contestualizziamo e non gliene facciamo una colpa se non funziona più; è come parlare con un anziano conoscente, parente o amico abituato a far battute e usare termini che non si adattano più alla nostra sensibilità, che magari suonano perfino fastidiosi, offensivi, anche se sappiamo che lui li usa in buona fede, e pazienza. No, non ci si scandalizza, si constata solo che, al netto di eccessi di zelo da una parte o dall'altra, non è questione di censure o imposizioni, ma solo di normale natura della società umana: la sensibilità cambia nel tempo, cambia la percezione del linguaggio, cambia il senso dell'umorismo. Non si fa una colpa al passato, anzi, lo si comprende per guardare avanti.

Infatti, sul palco succede esattamente questo. Si esibisce, con Rossini, Novaro e Grieg, l'Orchestra Olimpia, composta da sole donne, una formazione con sede a Pesaro – davvero ricchissima di iniziative musicali – e dedita a cause umanitarie come la collaborazione con l'unica orchestra femminile del Medio Oriente, l'afgano Ensemble Zhora. Personalmente amerei molto non dover sentir parlare di quote rosa e simili, in un mondo in cui conti solo il valore umano e professionale della persona e non il genere, ma ogni iniziativa parte dal riconoscimento di qualcosa in comune (che sia il genere o altro) e gli scopi di solidarietà e sostegno non possono passare in secondo piano in questo caso. Nello scoprire l'impegno dell'orchestra si capisce la bontà della scelta, che non è di retorica ma di pace e inclusione. Poi, però, arrivano le battute scongelate dagli anni '80 sull'avvenenza delle giovani strumentiste, che non fanno una piega. Interpellata con un “Devo chiamarla signora o signorina” Francesca Perrotta risponde pacata solo “Direttrice” e, scesa dal podio, non dà corda alle allusioni per illustrare, invece, a un pubblico numerosissimo e anche inesperto strumenti e sezioni dell'orchestra. Una bella lezione di stile, senza aperta polemica, ma con serena fermezza. Grazie a Francesca Perrotta per aver ricordato che ci si rivolge a una donna esattamente come a un uomo, che la forma professionale non cambia, cambia solo la concordanza grammaticale, di cui non dobbiamo vergognarci, perché se il valore non dipende dal genere, allora non dobbiamo aspirare al maschile come se fosse più serio e rispettabile. E non dobbiamo nemmeno vergognarci di non gradire il “signora o signorina”, che va benissimo nelle conversazioni anonime, come quando si chiede un'informazione a sconosciuti, ma non quando mostra una disparità di trattamento. Ricordo, anche di recente, di aver partecipato a un progetto nel quale ero l'unica donna: nemmeno ci avevo fatto caso, badando piuttosto all'alto livello dei colleghi con i quali ero onorata di collaborare alla pari, finché un'organizzatrice non ha salutato elencando tutti come “dottor”, “professor”, “maestro” e me sola come “signora”. Non si tratta di esigere epiteti da far impallidire la Duchessa d'Alba o Daenerys Targaryen, ma solo di essere trattati allo stesso modo. Perché, purtroppo, anche senza volerci pensare, a non saperci pensare, a non farci caso se non si è costrette, capita di percepire atteggiamenti che destano un sospetto: se fossi stata un uomo, non mi si sarebbero rivolti così. È, lo garantisco, una pessima sensazione quando assale chi nel lavoro o nelle amicizie non aveva mai badato al genere e aveva sempre fatto spallucce di fronte a domande su pari opportunità e dintorni.

Grazie a Francesca Perrotta per aver risposto così bene. E grazie anche a Paolo Bonolis, per averci ricordato un tempo che sta cambiando, che non cancelliamo ma vogliamo trasformare.


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