L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'estro e il genio

di Roberta Pedrotti

J.A. Hasse

Rokoko: Hasse opera arias

controtenore Max Emanuel Cenčić

Armonia Atenea direttore Geoge Petrou

registrato ad Atene, 5-14 luglio 2013

CD Decca 478 6418, 2014

Max Emmanuel Cenčić non è un tipo che passi inosservato. Guardandolo nelle copertine dei suoi Cd parrebbe un eufemismo dirlo esuberante ed eccentrico, con il suo look sgargiante e volutamente sopra le righe. Anche il titolo ammiccante alla moda del cosiddetto "Ba-Rock" e all'ortografia postmoderna lascia di primo acchito disorientati (e, confessiamolo, diffidenti). L'immagine, però, ottiene il suo scopo: colpisce, s'imprime nella memoria e ci dà l'idea che il controtenore croato sia o un po' matto o molto furbo. Quando mettiamo il Cd nel lettore, invece, ci rendiamo conto che soprattutto è molto bravo e ha uno spiccatissimo (e giocoso) senso del teatro, il che in questo repertorio non guasta certo.

È indubbio che Cenčić si metta in gioco con ironia e autoironia reinterpretando in chiave moderna l'iconografia dei divi in stile Teatro alla moda, ma la sua forza consiste proprio nell'unire questa studiata esuberanza a una forte personalità artistica, a una vocalità solida e suggestiva, a una musicalità forbita e magnetica. Non è con un banale illusionismo che ci inchioda all'ascolto, è con la capacità di dire in musica, d'identificare canto e affetto, di distillare il pathos in una perfetta stilizzazione, nella chiarezza esemplare dell'accento e dell'idea, del dosaggio delle dinamiche, dell'avvolgente rotondità di un canto duttile, tornito, seducente nei suoi chiaroscuri e nei suoi armonici fragranti.

L'artista croato padroneggia con disinvoltura il canto patetico e quello di sbalzo come quello galante e fiorito, ma l'ambizione non è però evidentemente quella di abbagliarci con gli effetti speciali di un artificio fantasmagorico: Cenčić non si propone come virtuoso spettacolare, ma come artista e interprete pronto a condurci nei meandri del teatro di Hasse. Un teatro fatto principalmente di vocalità, lussureggiante, affascinante, trattata con la competenza intima del cantante (il Sassone esordì come tenore prima che come compositore e sposò il grande contralto Faustina Bordoni) e l'istinto dell'esperto uomo di teatro.

Il regno della voce umana declinato in tutte le potenzialità espressive del caleidoscopio barocco è al centro dell'esordio solistico di Cenčić per la Decca, costruito in maniera assolutamente magistrale: il programma monografico è coerente e d'indubbio interesse, con ben sette brani in prima incisione assoluta su undici arie totali, che si dipanano con teatralissima scienza.

Le arie contemplano un ampio spettro d'affetti, e son disposte in una studiata alternanza e in un'arcata perfetta di tensioni e distensioni, scandite idealmente in due atti dall'intermezzo del Concerto in Sol maggiore per mandolino, sempre di Hasse e ulteriore conferma, nella scrittura così cantabile per uno strumento solista reso affine a una voce umana pur senza articolazione della parola, della vocazione al melos trionfante del compositore. Un melos la cui centralità non teme le istanze dei riformatori e, su binari diversi, getterà semi destinati a germogliare in una tradizione belcantista che non sarà soppiantata dai proclami di richiamo all'ordine e al rigore del dramma, del recitativo, dell'armonia, ma con essa, inevitabilmente, si mescolerà e si confronterà fruttuosamente senza requie. La sincera ammirazione del giovane Mozart è lì a testimoniarlo.

Il recital si ascolta e si gode dunque come un'opera, un sunto di varietas e fantasmagoria vocale barocca concentrato in poco più di un'ora. L'incipit è delicato, con un'incantata berceuse “Notte amica, oblio de' mali” dal Cantico de' tre fanciulli (Vienna 1774) e subito si rimane colpiti dalla pastosità contraltile del medium e del registro grave, dal colore veramente androgino, che sembra echeggiare le inflessioni baritonali che le cronache antiche esaltano anche in interpreti femminili, e pur tuttavia non appartengono al timbro virile vero e proprio, non paiono troppo discontinue rispetto all'acuto, non s'identificano con un genere, ma restituiscono il mirabile stupore d'un autentico terzo sesso vocale. Il musicista ha carisma e lo impone dalla prima nota, dalla capacità poetica d'infondere assieme suggestione e mordente al canto più elegiaco. Parimenti ogni affetto che si alterna in questa sorta di melodramma distillato sul trionfo del canto trova in Cenčić la giusta definizione, distinguendosi nella sua peculiarità e ponendosi nel contempo in suggestivo contrasto dialettico l'uno rispetto all'altro. La fierezza di fronte alla morte di Arminio, la misericordiosa giustizia di Tito, la riflessione su ragione e passione di Aminta, la generosa rinuncia amorosa di Plistene (“Ma rendi pur contento”, testo poi rimasto celebre anche nell'800 grazie a Bellini), la baldanza guerriera o l'eroico dolore di Orazio, lo sdegno di Euristene, il sollievo dopo il pericolo di Tigrane e il lancinante pentimento di Sesto si alternano e si rispondono in un gioco accuratissimo di accenti e contrasti, pesi e contrappesi, a definire una parabola drammaturgica astratta quanto avvincente.

L'orchestra Armonia Atenea (tiorbista e solista nel concerto per mandolino, Theodoros Kitsos) diretta da Peorge Petrou è sempre all'altezza della situazione, in perfetta sintonia con lo spirito di Cenčić.

Ottime l'incisione, la cura grafica ed editoriale, piacevole quanto ricercato l'ascolto. Cosa volere di più?


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