L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

I mondi perduti di Apollo e Dioniso

 di Anna Costalonga

Culmine dell'Hommage an die Wiener Philarmoniker al Konzerthaus Berlin, il concerto dell'orchestra viennese diretta da Riccardo Muti mostra tutto il suo splendore fra gli apollinei equilibri mozartiani e le ossessioni dionisiache di Bruckner.

Berlino, 18 dicembre 2018 - Il 23 dicembre, il Konzerthaus Berlin chiude l'Hommage an die Wiener Philarmoniker. Più di una tournée, un vero minifestival di quasi una settimana consacrato interamente all’orchestra austriaca. Concerti del Konzerthausorchester dedicati al repertorio viennese, addirittura una raccolta di articoli, più tutta una serie di manifestazioni secondarie, concerti da camera di solisti dei Wiener, conferenze: che una grande orchestra faccia costantemente tournée è cosa scontata, ma che un teatro, un’importante istituzione musicale renda omaggio per più di una settimana a un’altrettanto importante istituzione musicale, con una varietà di eventi e mostre, perfino saggi e cataloghi è cosa singolare. Perché proprio i Wiener Philarmoniker e perché proprio ora? Nell’opuscolo che racchiude gli interventi di assoluti protagonisti della scena musicale - come Peter Eötvös, Iván Fischer, Gidon Kremer in quanto fondatore di Kremerata Baltica, e dei sovrintendenti e direttori artistici di alcune delle più importanti fondazioni orchestrali tedesche (Gewandhausorchester, Deutsche Kammerphilharmonie, e così via) - si è voluto portare il discorso sull’evoluzione dell’organico sinfonico, sui nuovi modi di concepire la formazione orchestrale che si stanno affacciando e che il Konzerthaus sta promuovendo. In questa prospettiva, i Wiener Philarmoniker rappresentano invece una gloriosa tradizione, se non la tradizione, che è riuscita a mantenersi intatta ancora centosettantasei anni dopo la fondazione.

Uno degli highlight di questo lungo tributo è stato il concerto degli stessi Wiener Philarmoniker sotto la direzione di Riccardo Muti, loro direttore onorario. Si è trattato di una serata speciale, anche perché - come il rappresentante degli orchestrali, su richiesta dello stesso maestro, ha ricordato al pubblico poco prima dell’inizio del concerto - l’ultima volta che Muti e l’orchestra di Vienna si sono esibiti assieme al Konzerthaus è stato a più di venti anni fa.

In una sala piena, ma non stracolma, come si sarebbe dovuto per un concerto di così grande richiamo, è stato proposto un programma completamente viennese, Mozart e il suo concerto per flauto KV313 e la settima sinfonia di Anton Bruckner. Come solista mozartiano abbiamo avuto Karl-Heinz Schütz, prima parte dei Wiener.

Subito siamo catapultati in un altro mondo sonoro. Complice l’acustica stellare di questa sala, di cui il Konzerthaus non ringrazierà mai abbastanza il fautore Iván Fischer, ci ritroviamo all’improvviso in un'atmosfera perduta, miracolosamente resuscitata nella leggerezza e purezza degli archi viennesi. Senza contare la sintonia timbrica e interpretativa fra il solista e gli altri strumentisti, dovuta sicuramente all'appartenenza al medesimo complesso.

Un’armonia e una purezza, un equilibrio cui non siamo più abituati e che, mi verrebbe da dire, paiono quasi non terrene. Un altro mondo, un altro sentire, che pure è una parte integrante del repertorio viennese. Ecco, forse davvero come si sottolinea nell’opuscolo già menzionato, i Wiener rappresentano il successo di un’orchestra tradizionale, come custode di un mondo musicale perduto.

I Wiener Philarmoniker sotto la direzione di Riccardo Muti hanno esibito un bilanciamento di suoni nel concerto per flauto mozartiano davvero raro da trovare, con una qualità di suono, una rarefazione e una purezza cameristica impareggiabile. Se, come spesso si sente dire in questi casi, l’orchestra dei Wiener Philarmoniker sia davvero la depositaria di un certo suono, indipendentemente dal direttore, è difficile onestamente dire. Di certo l’armonia sonora cui siamo stati testimoni è il risultato diretto di un’armonico e lunghissimo sodalizio tra l’orchestra viennese e Riccardo Muti.

Nella seconda parte del programma abbiamo potuto ascoltare un mondo meno perduto ma ugualmente tipico viennese, vale a dire la settima sinfonia di Bruckner.

È in questo repertorio, nella formazione sinfonica “al completo”, che si sono potute apprezzare tutte le dinamiche e le sfumature timbriche di questa leggendaria orchestra. L'inizio in pianissimo degli archi è risuonato così lontano che sembrava provenire quasi dall'esterno. Il crescendo che ne seguito è stato poi risolto in una perfezione da capogiro. Eccoci dunque nel pieno di un continuo fluttuare e rincorrersi di emozioni e dinamiche diverse, contrastanti fra di loro, ma tutte legate da una classica ossessività, una ripetitività ormai malata.

Frasi che se prima trovavano una loro risoluzione, adesso girano a vuoto, in un continuo slancio, un élan che non sembra nemmeno più vitale. Quando i violini ripetono il ciclo delle loro ossessioni, quando le sezioni dei contrabbassi e violoncelli si alternano con gli ottoni, a marcare una volubilità che dal malinconico diventa sempre più tetra, ecco che a ricomporre l’umore, a riportare la linea melodica su sonorità e su registri più miti, a mediare intervengono i flauti e i legni. In un certo senso, il costante riemerge del flauto sembra rappresentare un classicismo riappacificante, un ritorno alla naturalezza, o a un'idealizzata naturalezza, anche se non si tratta più del grazioso, aristocratico e acrobatico flauto del concerto mozartiano.

In un volubilissimo procedere arriviamo allo Scherzo. L’ossessività, in una distorta e esasperata, ipermetrica ripetizione della forma Scherzo-Trio-Scherzo si risolve nella sonorità aspra dei tromboni, in un volume orchestrale esasperato, perfino fisicamente doloroso.

Ecco la leggendaria duttilità del l’orchestra viennese a briglie sciolte in un repertorio questa volta “dionisiaco”, selvaggio, feroce, perfino urticante come sono i fortissimi bruckneriani, da far tremare i sedili della platea e della galleria.

Una continua magnifica ossessione, declinata in diversi registri, e nelle dinamiche più disparate dalla splendida orchestra viennese: dall’ingenuo al terribile, dall’esilità sonora degli attacchi al clangore quasi doloroso dei finali. Un programma perfetto per mostrare le incredibili possibilità della Filarmonica di Vienna, ancor di più potenziate e messe in risalto dall’acustica del Konzerthaus Berlin - attualmente la migliore delle sale da concerto berlinesi, grazie ai recenti miglioramenti tecnico-acustici, fortemente voluti da un altro grandissimomaestro, il visionario e pionieristico Iván Fischer, ex direttore artistico e direttore onorario del Konzerthaus.

Abbiamo vissuto, così, un duplice splendore acustico, sonoro e interpretativo, raro da trovare nelle sale da concerto. Uno splendore apollineo del concerto mozartiano della prima parte, che ha contrastato per nostra maggiore fortuna e apprezzamento con l’apoteosi dionisiaca bruckneriana nella seconda, in un andirivieni di ossessioni sonore contraddittorie e tenebrose e di urticanti esplosioni orchestrali. M’è quasi sembrato che a Riccardo Muti in fondo sia bastato accompagnare, guidare questa magnifica orchestra in una continua mostra di dinamiche infinite e mondi sonori quasi impossibili. Mondi impossibili almeno per il pubblico berlinese, che è abituato a un altro tipo di sonorità e di approccio più futuristico e meno storicistico, in realtà mondi più che abituali e frequentati per il rodatissimo sodalizio artistico fra la Filarmonica viennese e Muti.

Alla fine di questo speciale concerto, Il pubblico berlinese ha tributato giustamente una lunghissima standing ovation alla grande orchestra viennese e al maestro Muti.

foto Markus Werner


 

 

 
 
 

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