L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lacrime nella pioggia

di Irina Sorokina

Delude la nuova produzione per l'attesissima Aida celebrativa della centesima estate areniana a Verona. Stefano Poda imbastisce un kolossal luccicante fine a sé stesso e avulso dal dramma verdiano; brilla davvero solo la stella di Anna Netrebko.

VERONA, 16 giugno 2023 - Sospiro, sgomento, indignazione e forse rassegnazione: in molti chi hanno varcato la soglia della mitica Arena romana, vero simbolo della città di Verona, dal 1913 sede del festival lirico all’aperto, testimone delle esibizioni gloriose di cantanti entrati nella storia, su tutti Maria Callas, hanno provato queste sensazioni. Poco contano, secondo il nostro parere, un apparente successo e l’osanna ai protagonisti, tra cui la prima coppia della lirica d’oggi, il soprano russo Anna Netrebko e il tenore azero Yusif Eyvazov, uniti nella vita e sul palcoscenico.

Un’Aida nuova? Sulla locandina si, nella sostanza no. In molti saranno d’accordo che delle Aide messe in scena negli ultimi vent’anni non se ne poteva più. Si ricordavano la versione firmata da Gianfranco De Bosio ispirata dallo spettacolo del 1913, l’anno della nascita del festival veronese; la versione tutta oro, francamente kitsch firmata Franco Zeffirelli, andata in scena per la prima volta nel 2002; con una certa fatica si ricordava l’Aida minimalista in blu cobalto e argento di Pier Luigi Pizzi, decisamente poco disturbante, e, al contrario, la molto disturbante e semplicemente brutta versione del regista televisivo Giampiero Solari, mai ripresa dopo l’anno del debutto. Era ora di cambiare, senza dubbio, ma come? In quale direzione sarebbe dovuto andare questo cambiamento?

Ahimè, il vero cambiamento non c’è stato, caso mai si è trattato di un decisivo imbruttimento. Ci siamo ritrovati di fronte ad un altro kolossal, differenziato dall’uso di tecnologie più moderne e azzardate, di fantascienza quasi, ma pur sempre kolossal. Ed ecco un sospiro dal sapore forte di delusione: quindi, non c’è nulla da fare? L’Aida in Arena avrà da sempre e per sempre questa impronta, scene grandiose con i riferimenti ai simboli della civiltà egizia? Nella “nuova” versione veronese la piramide è apparsa e ha dominato il palcoscenico: la differenza tra “il vecchio” e “il nuovo” c’è stata nella forma, ma non nella sostanza.

A proposito della sostanza, ne abbiamo trovato veramente pochissima nel lavoro di Stefano Poda che di consueto ha vestito i panni di regista, scenografo, costumista, disegnatore delle luci e addirittura coreografo (!). Sinceramente, una tanta poliedricità ha destato qualche dubbio: difficilmente è possibile essere efficaci in tutti questi mestieri, e ne abbiamo avuto la conferma. Conosciamo lo stile firmato Poda, dato che a lui è stata affidata la messa in scena della Tosca pucciniana sul primo palcoscenico della Federazione Russa, al Teatro Bol’šoj. A distanza di un anno e qualcosa, da aprile del 2022 a giugno 2023 e di circa tremiladuecento chilometri il dubbio legittimo riguardo i molteplici talenti del regista trentino non solo è cresciuto ma si è trasformato in un vero orrore seguito dalle lacrime versate sul destino dell’opera lirica sui palcoscenici dall’Italia alla Russia.

Una grande mano in centro del palcoscenico con le dita che si piegano, minacciano – sicuramente, un simbolo di potere che ha una grande capacità di distrarre lo sguardo da ogni cosa che accade sul palco – ma non basta. Un’Aida senza una piramide non può star, ma ci sono anche una colonna corinzia rotta posizionata sulla gradinata a destra e qualcosa non definibile a sinistra. Il resto degli elementi scenici pure non è definibile tranne una palla d’argento luccicante: nel nuovo allestimento veronese luccica tutto come se fossimo nei negozi cinesi in via Roma.

Qui il discorso potrebbe terminare, poiché in assenza di una regia vera e propria non c’è nulla di cui parlare, tranne il cast e la direzione: non dimentichiamo che siamo all’opera e che opera! Un titolo fondamentale di repertorio in cui da un secolo e mezzo si cimentano centinaia di cantanti celebri o aspiranti tali e un vero simbolo della storica stagione lirica veronese.

Non ha certo deluso Anna Netrebko nel ruolo del titolo: da sempre Artista, Diva e Donna, il soprano russo ha ammaliato con il suo timbro luminoso, ma soprattutto con il fraseggio raffinato, senza parlare delle irresistibili simpatia e femminilità. La voce sempre piena, naturale, ben proiettata e morbida unita all’eminente talento d’attrice l'ha resa capace di autentico coinvolgimento emotivo. Ha già interpretato il ruolo della principessa etiope in Arena riscuotendo vasti consensi e guadagnando epiteti sublimi: non ci rimane che concordare. I rari secondi in cui questa voce ha suonata in modo leggermente opaco si possono perdonare.

Siamo abituati ormai vedere e ascoltare Yusif Eyvazov in Arena: il compagno nella vita è spesso anche compagno d’avventura vocale e teatrale del soprano russo. Abbiamo avuto più occasioni di parlare della vertiginosa crescita artistica del tenore azero e la nuova Aida veronese ne è stata un ulteriore conferma. Nella romanza di sortita e nei duetti Eyvazov ha confermato la sua reputazione un fraseggiatore raffinato, nonché di perfetto partner dell’Artista, Diva e Donna.

A fianco della coppia d’oro della lirica d’oggi ci sono stati Olesya Petrova nei panni di Amneris e Roman Burdenko in quelli di Amonasro, entrambi professionisti affermati, ma non in piena forma nell’inaugurazione veronese, mentre mentre Michele Pertusi ha dato un’ulteriore conferma della solida e duratura professionalità nel ruolo di Ramfia e Simon Lim non ha deluso per niente nei panni del Re.

Hanno completato il cast Riccardo Rados e Francesca Maionchi, disimpegnandosi con onore nei ruoli di un messaggero e di una sacerdotessa.

Tanto di cappello a Marco Armiliato, da sempre un buon professionista a cui è toccato il compito arduo di dirigere i solisti e le masse corali in mezzo di questo mostruoso “ambaradam”: vince la sfida con sicurezza ed eleganza. Efficace e partecipe il coro areniano diretto dal maestro Roberto Gabbiani.

La domanda legittima: cosa rimane delle aperture e le chiusure delle dita della gigantesca mano, del luccichio della onnipresente e opprimente piramide, dell’uso eccessivo del laser, dei movimenti caotici delle numerose comparse di cui senso, comunque, rimane poco o nulla chiaro? Sembra, che il “demiurgo” (scenografo-regista-costumista) Poda abbia volutamente tolto dal capolavoro verdiano ogni senso, ogni aspetto umano concentrandosi sui dettagli puramente decorativi e a volte assurdi. Questa dedizione esagerata al decorativo e al luccicante ha distratto l’occhio e svuotato la mente portando a un’immensa stanchezza. Ma c’è di peggio, il nuovo allestimento ha tutte le probabilità di rimanere in cartellone per alcuni anni, anche allo scopo di ammortizzare i costi, e indurre una parte del pubblico a pensare che questa è l’Aida, che al capolavoro verdiano, una storia struggente d’amore si addicono il luccichio continuo, l’uso del fumo e delle spade laser, l’impiego dei costumi di dubbio gusto. Il povero autore, di certo, non può difendersi ormai.

Infine, quel che, molto probabilmente, andrebbe detto all’inizio, preferiamo di dirlo alla fine: la prima del nuovo allestimento è stata trasmessa in Mondovisione e non sono mancati gli ospiti considerati importanti, come il Presidente del Senato, alcuni ministri, personaggi della televisione e interpreti della musica leggera, come anche le gocce di pioggia.


 

 

 
 
 

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