L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La voce della natura

di Antonio Caroccia

Suggestiva e riuscita produzione di Pelléas et Mélisande pensata in simbiosi da Iván Fischer e Marco Gandini per il Festival di Spoleto. Dopo la cancellazione per maltempo del concerto inaugurale, l'opera di Debussy diventa la vera e propria - felicissima - apertura della rassegna.

SPOLETO, 24 giugno 2023 - Inaugurazione in stile naturalistico, quella della sessantaseiesima edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto. Se un improvviso temporale ha costretto gli organizzatori a cancellare il concerto d'apertura in piazza del Duomo, la vera inaugurazione è stata quella del Pelléas et Mélisande al Teatro Nuovo con il ritorno dell’opera al festival di Spoleto. Natura e opera possono convivere? Sembra proprio di sì. Non solo per le scelte registiche operate da Iván Fischer (anche concertatore) e Marco Gandini e per le scene di Andrea Tocchio, con la “foresta” del primo atto che diventa un quadro fisso e costante in cui orchestrali e direttore trovano spazio tra rami di alberelli, ma anche per il soggetto che esprime una forte connotazione naturalistica e simbolista. Non v’è dubbio che in questa edizione l’intelligente e acuta direzione artistica di Monique Veaute abbia posto una grande attenzione al tema dell’ambiente, della sostenibilità, dell’educazione, dell’inclusione e della cooperazione. Pelléas et Mélisande, unica opera di Claude Debussy basata sulla pièce teatrale omonima di Maurice Maeterlinck, è considerata una delle più importanti e influenti del repertorio francese del XX secolo, che si distingue per la sua atmosfera sognante, la sua delicata orchestrazione e la sua trama enigmatica e simbolica. Debussy trasporta in musica le immagini evocative di Maeterlinck, creando un’atmosfera di mistero e suggestione. Il mondo magico e fiabesco trova la sua piena realizzazione in questa messinscena con strumentisti e direttore vestiti con un saio francescano, per simbolizzare fortemente gli alberi di una foresta misteriosa. Se l’orchestra è nascosta sul palcoscenico tra gli alberi, due praticabili in fondo alla scena e un piccolo spazio davanti al proscenio rappresentano le ulteriori ambientazioni, circa una quindicina, tra la fontana, la torre e gli interni del castello, anche se ciò non ha impedito agli artisti di agire agevolmente, con movimenti ridotti al minimo. La partitura di Debussy, caratterizzata da melodie fluide e sospese, che si fondono perfettamente con le parole e con l’azione scenica, ha trovato un Fischer ispirato con gesti chiari, profondi e misurati che hanno consentito ai professori della Budapest Festival Orchestra una precisione impeccabile: mai una sbavatura, con la scrittura sottile ed evocativa della partitura, che ha consentito al direttore di curare con attenzione timbri e sfumature cromatiche. Non v’è dubbio che Pelléas et Mélisande sia un’opera che si presta a molteplici interpretazioni e che suscita sempre un senso di meraviglia e di incanto. I tre personaggi principali della vicenda – Golaud, Mélisande e Pelléas – scatenano una serie di eventi tragici che culminano nella morte della protagonista, con Leitmotive che aiuteranno a delineare le singole figure e a creare una connessione emotiva con il pubblico.

Il Pelléas di Bernard Richter dimostra tutta la sua innocenza. Il tenore sembra essere a suo agio in un ruolo complesso, che ben si addice al suo fisico, sottolineando la sua giovinezza e sostenendo la parte con una grande intensità, come nel caso del terzo atto. Patricia Petibon, nelle vesti di Mélisande, è ispirata e dimostra una piena intesa con Richter. Entrambi sviluppano la loro sintonia fin al primo battito della loro relazione, sia “fisicamente” sia musicalmente. L’inizio del terzo atto in cui Mélisande è alla finestra pettinandosi i capelli sciolti è un vero capolavoro degno delle migliori tele preraffaellite. La sua voce intonata, sicura e precisa modella ogni linea musicale. Yvonne Naef come Geneviève ha messo in mostra una gran dizione e un suono robusto mentre recita la lettera di Pelléas ad Arkel. L’Arkel di Nicolas Testé, seppur sdolcinato, è appassionato e pieno di intensità: il suo monologo all’inizio del quarto atto (scena seconda) è di una pura vocalità travolgente, in grado di infondere nella sua lettura un tremendo senso di perdita e dolore. Tassis Christoyannis è stato sicuramente uno dei protagonisti della serata, rubando ogni singolo momento in cui è salito sul palco nei panni di Golaud: dall’incontro con Mélisande (scena prima dell’atto primo) all’omicidio di Pelléas (scena quarta del quarto atto). Nei panni di Yniold il giovanissimo Oliver Michael: una parte sicuramente complicata, difficile da sostenere per chiunque è stato gestita bene sia vocalmente, seppure flebile, sia drammaticamente. Da annotare anche il diligente impegno di Peter Harvey nelle vesti del dottore. Non possiamo poi non sottolineare i semplici e, nello stesso tempo, efficaci costumi di Laura Biagiotti che hanno impreziosito lo spettacolo.

Nel complesso il Pelléas et Mélisande ha superato ottimamente la prova e il pubblico sembra aver gradito le scelte registiche, con un’opera che richiede una certa sensibilità per un uditorio che deve pienamente calarsi nel soggetto poetico e musicale.


 

 

 
 
 

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