L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

I puritani del BIC

di Giuseppe Guggino

Giunto ormai alla terza edizione il Bellini International Context o BIC sceglie gli impegnativi Puritani come titolo operistico di punta del cartellone 2023. Notevoli le prove di Dmitry Korchak, Caterina Sala e Christian Federici, mentre delude lo spettacolo firmato da Chiara Muti.

Catania, 23 settembre 2023 - Mettere in scena I puritani belliniani pone in primo luogo il problema di reperire un quartetto di solisti all’altezza del titolo e il Bellini International Context o BIC che dir si voglia, giunto alla terza edizione, seppur battendo strade diverse, ci riesce. Dmitry Korchak, tenore dalla carriera ormai consolidata, disegna un Arturo eroico, dall’emissione forse un poco antiquata per eccesso di forza, ma viene onorevolmente a capo di tutte le enormi difficoltà della parte senza sconti, eccezion fatta per l’estremo acuto in «Credeasi misera», comprensibilmente modificato una terza sotto. La giovanissima Caterina Sala fa percepire una tangibile emozione nel duetto con lo zio e nella polacca, affrontata con una certa circospezione; poi la prova decolla a partire dal finale primo, dove riesce a guadagnare intensità e la crescita non si arresta fino alla fine dell’opera. Analogamente poco più che esordiente è Christian Federici, che si rivela voce di preziosa pasta baritonale già a perfetto agio nella melismatica scrittura belliniana, oltre che stilisticamente assai consapevole. A completare il quartetto è Dario Russo, basso dai mezzi forse meno generosi, ma che non sfigura a fronte delle notevoli prove dei colleghi. Così come ben si allineano al pregio generale l’incisiva Enrichetta di Laura Verrecchia e, qualche spanna sotto, Andrea Tabili e Marco Puggioni, rispettivamente Gualtiero e Bruno.

Fabrizio Maria Carminati alla testa dell’Orchestra e dello splendido Coro, preparato da Luigi Petrozziello, adotta l’edizione critica nella sua integralità, omettendo solamente le sezioni lente del terzetto Enrichetta-Arturo-Riccardo e del duetto Elvira-Arturo del terzo atto nonché un breve inserto a due voci con coro nell’ambito del finale terzo, in quanto pagine già tagliate dallo stesso Bellini e (in due casi su tre) stralciate dal manoscritto autografo. Il piglio della lettura è tale per cui non sempre la trasparenza risulta garantita, ma è funzionale a soccorrere una parte visiva cervellotica se non proprio fallimentare. Alessandro Camera, scenografo altrove capace, è qui impegnato al minimo sindacale, fra quinte nere, una graticcia a mezz’aria che suona molto metateatrale, due gigantesche cornici sul nulla ai lati della scena ed una terza, ancora più grande, a calare dall’alto. Anche i bei costumi di Tommaso Lagattolla non aiutano a fornire riferimenti cronologici, giacché si spazia per almeno tre secoli, fino alle minigonne anni ’60.

L’idea registica di Chiara Muti, dichiarata nelle note di sala, ancorché declinata in maniera piuttosto criptica nei fatti, è che i personaggi siano osservati dal coro come se quest’ultimo fosse costituito da spettatori di qualsiasi epoca. Né aiuta la comprensione il calare dall’alto di dettagli da tele di Johann Heinrich Füssli, fino al calare finale sul finale terzo di una gigantografia belliniana che – in quel di Catania – condona allo spettacolo un prevedibilissimo esito sfavorevole, tramutato un po’ ruffianescamente in trionfo.


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