Un lascito idealmente affascinante, ma nel concreto difficile da perpetuare, anche perché legato a uno specifico sistema produttivo, oltre che a un librettista in particolare, Scribe. Con loro il Grand opéra muore, si è già trasformato in altro, ha gettato altri semi, i più diversi, tali che se si volessero esplorare tutte le sue partiture e le loro influenze non basterebbero interi volumi.
Quando L'africaine va in scena, nel 1865, Meyerbeer è morto da un anno, Scribe da quattro. Ci avevano lavorato insieme dal '37, e non l'avevano completata, facendo peregrinare il regno di Sélika per tutto l'Oceano Indiano in diverse stesure. Il protagonista è addirittura Vasco Da Gama, ma nel gestire la passione parallela per la portoghese Inés e l'esotica Sélika dimostra una dabbenaggine tale da giustificare sola tutte le dicerie maligne sui tenori. A lui però è affidata, più che alla spettacolare scena della tempesta e del passaggio di capo di Buona Speranza, la fama eterna di Meyerbeer: “Ô paradis”, “O paradiso”, resta ancor oggi una delle più celebri arie mai scritte per tenore.