L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Gli anni '50

di Gina Guandalini

Un viaggio attraverso la storia della discografia callasiana, e quindi dell'opera del '900, dalle prime incisioni alle più recenti ristampe e riscoperte. 

Negli anni '50, Maria Callas firma il contratto con la EMI, che diventa rivale della Cetra, e realizza una serie di memorabili incisioni.

Per una discografia di Maria Callas - Parte I

Nell’agosto ’50 la Callas e il marito ospitano a pranzo, nell’attico veronese appena acquistato, un collega in laterizi di Meneghini con moglie e figlia. Fanno loro ascoltare un disco del finale del secondo atto di Aida da lei concluso con uno stratosferico MI. Sembra che la Philips sperimenti tecnologicamente filmando per la televisione messicana le recite del Palacio de Bellas Artes, per cui gli acetati e i nastri originali sono di eccellente qualità. Bisogna attendere il novembre ’66 per la pubblicazione di una antologia “piratesca” a 33 giri, con le scene delle due Aide messicane del ’50 e del ’51. All’epoca delle lezioni alla Juilliard School, nel ’71-’72, la Callas accenna a quel fatidico MI non scritto, dicendo “in seguito seppi che era stato registrato”. La frase fa pensare a una scoperta avvenuta anni dopo; è possibile invece che i dirigenti e gli ammiratori di Città del Messico regalino al loro idolo una registrazione in tempi brevi.

Il vero pigmalione discografico della Callas, ancora prima di Walter Legge, può dirsi Dario Soria. Nasce nel 1912 a Roma ed emigra negli Stati Uniti nel 1939, per ovvii motivi razziali. Durante la seconda guerra mondiale collabora all’Office War Information. Stazionato in Italia, scopre – come Lord Harewood – una realtà operistica teatrale e radiofonica, se non discografica (in Italia il collezionismo discografico partirà solo nei tardi anni ’60), che è vivissima e coinvolgente. Nel ’42 Soria sposa Dorle Jarmel, colta e abile esperta di pubbliche relazioni, che già molto ha fatto per la carriera americana di Toscanini, e molto farà per quelle di Bernstein e poi della Callas. Divenuto cittadino americano nel ’45, dall’anno seguente Soria comincia a importare i dischi Cetra negli USA, dove all’epoca si vende più della metà dei dischi prodotti nel mondo. Dal ’43 al ’48 Soria è vicedirettore e direttore dei programmi del Columbia Broadcasting System. Poi passa a un’importante agenzia pubblicitaria, la D'Arcy Advertising Agency e contemporaneamente organizza lo stampaggio in America dei dischi Cetra, facendo venire le matrici dalle sedi RAI italiane dove le opere vengono accuratamente preparate e poi registrate in forma di concerto. I dischi a 33 giri “long playing”, sono la novità di quegli anni, e permettono alla nuova compagnia, la Cetra-Soria, di pubblicare opere complete in formato agibile, dopo i pesanti “pacchi” di 78 giri. Un’iniziativa nell’iniziativa sarà di pubblicare 16 opere complete di Verdi a partire dall’anno verdiano 1951, inclusi Battaglia di Legnano e Un giorno di regno. Lina Pagliughi, Pia Tassinari, Ebe Stignani, Cloe Elmo e i giovani Nicola Rossi-Lemeni, Rolando Panerai, Cesare Siepi e Giacinto Prandelli sono i protagonisti di questo catalogo. Il 26 maggio 1951 Soria spiega in un articolo sull’americana Saturday Review che le opere Cetra sono il risultato di un processo di alto professionismo: prova senza pubblico, prova con il pubblico, infine possibilità di aggiungere raccordi e correzioni. Questo ci tiene a precisarlo perché nel numero precedente della Review il redattore discografico ha criticato quei dischi come semplice riversamento di concerti radiofonici anziché prodotti curati in studio.

Non è accertato che Soria si trovi a Città del Messico nel luglio ’51 quando la Callas vi canta una stagione tutta verdiana; forse è Antonio Caraza Campos, sovrintendente dell’Opera Nacional di quella città, a raccomandargli caldamente il suo idolo. In quei giorni la Tebaldi registra per la Decca le sue due prime opere: quella che è già da un lustro un suo cavallo di battaglia, La Bohème (“Una Mimì di sogno, di gran lunga la migliore della storia del disco”, scrive Rodolfo Celletti) e un ruolo che porterà in scena solo sette anni dopo, Cio Cio San). Sulla via del ritorno a casa, durante la sosta all’aeroporto di New York, i coniugi Meneghini si intrattengono molto seriamente con il discografico italo-americano. Soria concretizza il contratto a Verona a ai primi dell’ottobre seguente. Negli stessi giorni la Scala, nelle persone di Antonio Ghiringhelli e Luigi Oldani , sovrintendente e segretario generale, viene “a Canossa” a casa Meneghini con un’intesa contrattuale strepitosa, dopo quattro anni di indifferenza mista a ostilità.

Si sparge così la voce che due mesi dopo la Meneghini Callas inaugurerà la stagione scaligera, e il mondo drizza le orecchie. David Bicknell della EMI chiede notizie di questa artista al rappresentante della filiale di Milano della Voce del Padrone e a George Marek della RCA newyorkese. Intanto, il contratto Cetra, un documento voluminoso, è già in atto da fine ottobre ’51. Maria vorrebbe Traviata e Puritani, che a ragione considera suoi monopolii, ma il testo parla di quattro opere, Mefistofele con Rossi Lemeni, Manon di Puccini, Traviata e Gioconda. Lei firma solo per Gioconda il 23 maggio 1952, mentre il 31 luglio seguente fa mettere su carta senza impegno preciso gli altri titoli, aggiungendo Puritani come alternativa possibile all’opera verdiana. Se i progetti finiranno per arrestarsi a Gioconda e Traviata, non è perché la casa non comprenda il valore e l’importanza dell’artista; è perché non può sbilanciarsi più di tanto con titoli poco noti o già presenti sul mercato.

Ecco entrare in scena l’artefice, nel bene e nel male, della grande carriera discografica EMI di Maria Callas, Walter Legge. Britannico nonostante il cognome tedesco ebraico, Legge nasce a Londra nel 1906 da famiglia modesta ed è sostanzialmente autodidatta; si impadronisce del francese, del tedesco e della musica (soprattutto di Wagner) da solo. Già nel 1927 collabora al periodico The Voice della casa discografica His Master’s Voice. Fa presto carriera. Il produttore discografico titolare della prestigiosa ditta, Fred Gaisberg, lo prende come assistente. Negli anni Trenta Legge è critico musicale del Manchester Guardian. Il direttore Thomas Beecham lo vuole come assistente artistico al Covent Garden. Durante la guerra Legge organizza concerti per le truppe, portando ai soldati inglesi di tutti i fronti orchestre dirette da Adrian Boult e John Barbirolli. Negli anni ’40 la sua prima moglie è il mezzosoprano Nancy Evans, interprete delle opere inglesi contemporanee e in particolare legata al clan di Benjamin Britten; da lei ha una figlia.

Si occupa quindi di ricostituire il catalogo della EMI, dando opportunità a cantanti inglesi; ma si gioca per sempre i favori della giovane Kathleen Ferrier: all’epoca dei primi test discografici del mitico contralto, nel ’44, le fa pesanti avances a bordo di un tassì. Furibonda, la Ferrier passa alla Decca pochi giorni dopo. Nel ’45 Legge fonda la Philharmonia Orchestra, con sede a Londra, affidata a direttori del calibro di Beecham, Furtwaengler, Karajan, Klemperer. Con l’arrivo di David Webster alla direzione del Covent Garden nel febbraio ’46 Legge si installa a Vienna, riavviando le carriere dei più importanti artisti austriaci e tedeschi; primi fra tutti Karajan e la Schwarzkopf, che sposerà nell’ottobre ’53. In realtà è suo produttore discografico dal novembre 1937, quando l’illustre Elisabeth, non ancora ventiduenne, è nel coro dello Zauberflöte diretto da Sir Thomas Beecham. (quarant’anni dopo, a chi gli dirà che all’epoca non l’aveva notata, Legge risponderà “Dovevo essere cieco”).

Legge ha sempre affermato di avere ascoltato la Callas per la prima volta a Roma in Norma nel 1951. Ma è un fatto che a Roma la Callas canta l’opera di Bellini nel 1950. Non è comunque agevole ricostruire esattamente quando comincino le avances – musicali e contrattuali, non altro. Ma è certo che le indagini della Emi su questa Callas rivelano che Legge non è ancora “salito sull’autobus”, non ha ancora annusato la preda. Inoltre, Legge è amico di Soria: è impossibile che ignori che nell’ottobre 1951 la Cetra ha contratto la Meneghini Callas per una serie di opere con la sua etichetta. Perché al momento di agganciarla per la EMI scrive di “vecchio contratto che lei gli ha tenuto nascosto”? Nel maggio ’52, cinque mesi prima che la cantante cominci a registrare per la Cetra, la EMI le offre Norma, Lucia di Lammermoor, Trovatore, Traviata e Aida. Sembra che la Callas prometta di registrare Traviata sia alla Cetra sia alla EMI. Per Norma la compagnia britannica cerca di organizzare sedute di registrazione parallele o posteriori alle recite di novembre al Covent Garden, ma la cosa si rivela impossibile per la protagonista, per di più impegnata nelle prove dell’inaugurazione scaligera con Macbeth.

In una lettera al suo boss Bicknell del 4 luglio 1952 Legge attenua la leggenda metropolitana secondo cui avrebbe inseguito la Diva con lettere, telegrammi e omaggi floreali per due anni e mezzo: ”Corre voce che la Callas abbia firmato un contratto con la Cetra o con la Decca. C’è forse per noi una possibilità di averla se le facciamo un’offerta molto allettante, a breve scadenza. Se si eccettua eventualmente la De Los Angeles, la Callas è senz’ombra di dubbio l’interprete suprema per il repertorio italiano, e il carattere sensazionale della sua arte è tale che supererà quello di qualunque altra cantante. La Decca va avanti la settimana prossima con Tosca e .Aida. Bicknell crede che l’unico titolo di questo repertorio per cui ha bisogno della Callas sia Norma. Ma la Callas è artista troppo importante per noi perché la lasciamo alla concorrenza per questa sola ragione. Io suggerisco di offrirle una garanzia di tre opere all’interno di un contratto di esclusività”.

Il tono di Legge è di urgenza, se non di preoccupazione: la Decca sta adoperando la Tebaldi a pieno ritmo. Dopo le due opere pucciniane nel ’51, la Tosca e l’Aida menzionate da Legge sono ugualmente assemblate intorno a lei. Le trattative con i Meneghini si intensificano. Legge, di suo pugno, promette di realizzare con lei Turco in Italia, Armida, Norma, Puritani, Lucia, Nabucco, Ernani, Trovatore, Traviata, Aida. Almeno sulla carta, ha ben chiaro lo spazio musicologico di questa artista. Si tratta forse di specchietti per l’illustre allodola? O Legge vuole dare più spazio al primo Ottocento italiano di quanto si dica sempre? Non è da escludere che sia la mentalità commerciale dei Meneghini Callas a mettere un carico da undici sulla scelta delle registrazioni, premendo per lanciare sul mercato titoli quali Cavalleria, Pagliacci, Butterfly, Bohème, Manon Lescaut.

Quanto alla EMI, offre l’esclusiva per tre anni con quattro opere, ma evita accuratamente di precisare i titoli, per poter aggirare le clausole di uscita dal contratto Cetra, che è tutto tranne che preciso. Anche alla EMI la Callas ha avanzato la richiesta di registrare Traviata e Puritani, ma l’onore e l’ònere di mettere in microsolco l’opera belliniana – così poco commerciale – non attira la ditta britannica.

Il 21 luglio 1952 Maria Meneghini Callas firma finalmente il contratto con la EMI. Resta il fatto che è il risultato di più mesi di negoziazioni, come pure di svariati weekend di pourparlers, giorno e notte, con Callas e consorte. La prima cosa che Meneghini fa sapere è che sua moglie è impegnatissima per tutta la seconda metà del ’52 e che nessuna registrazione potrà cominciare prima del ’53. Quando l’incisione di Norma a Londra si rivela impossibile, Bicknell suggerisce –invano - “Mira o Norma” con la Stignani e brani singoli da Puritani, Lucia, Ernani e Trovatore. Legge è contrario ad antologizzare queste opere, vuole conservarle per una serie di integrali. Per un recital-Callas avanza la seguente proposta: aria classica non precisata, “Divinités du Styx” da Alceste, aria da Turco in Italia, “Una voce poco fa”, le variazioni di Armida, “Bel raggio lusinghier”, “Selva opaca”, “Ombra leggera”, le Variazioni di Proch, “Io son Titania” e l’aria delle campanelle da Lakmé. E’ certo che ha studiato bene il curriculum di questa singolarissima cantante. Questo album del ’53 , sotto il cui repertorio ogni fan metterebbe la firma, non si realizza. E si è sempre detto che è Serafin a ridicolizzare la scelta delle variazioni di Proch – per cui è presumibile che il direttore prescelto sia lui. Poco prima di morire la Callas riceverà il nastro del Proch, sfocato e incompleto, da un fan italiano.

Intanto Dario Soria, che ha un notevolissimo fiuto commercial-culturale, progetta di fondare una filiale americana per distribuire negli Stati Uniti i dischi classici della britannica EMI; se il progetto va in porto, pensa, è bene assicurare la distribuzione globale della Meneghini Callas. E’ dunque vero che è lo stesso Soria a convincere la Callas a passare alla EMI. La Cetra minaccia azione legale contro la “parte terza” (Soria) che fa rompere alla Callas le sue obbligazioni contrattuali con loro; intorno a lei la rivalità Cetra-EMI durerà fino agli anni Ottanta. Soria ha anche l’idea di procurarsi l’egida del Teatro alla Scala, utilizzando l’orchestra e la sala stessa del mitico teatro milanese per realizzare le registrazioni e poi farne la sigla visuale sulle copertine degli scatoloni quadrati che hanno inventato lui e la moglie. Infatti la presentazione di opere intere a 33 giri in un bel cofanetto con all’interno un inserto esplicativo e il libretto dell’opera è idea di Dario e Dorle.

Con Gioconda diretta da Antonino Votto e registratatra il 6 e il 10 ottobre ’52 (non in settembre, come si scrive spesso) partono le scarse ma importantissime realizzazioni contrattuali Callas-Cetra.

La figlia di una cugina della Callas da parte di madre, in Florida, custodisce con orgoglio vari cimeli della Divina, tra cui, scrive un cronista, “un album sbrindellato di LP a 78 giri [sic] della prima incisione operistica della Callas, La Gioconda”. Ma non risulta che la Cetra al momento della pubblicazione di Gioconda nel ’53 sia ancora ferma ai 78 giri.

E’ noto che la Schwarzkopf, dopo aver ammirato la Violetta della Callas, chi dice a Parma nel dicembre 1951, chi dice all’Arena di Verona nell’estate 1952, rinuncia a tenere in repertorio La Traviata. Che senso c’è, dice, a cantare un ruolo che un’altra artista interpreta alla perfezione? A parte che, mettendo in pratica questo principio, il teatro operistico cesserebbe di esistere, a parte che una bella registrazione Schwarzkopf - Panerai del duetto Violetta-Germont padre del II atto dovrebbe essere del 1953, la dichiarazione risponde piuttosto a un criterio discografico: sembra dettata parola per parola da Legge. I “doppioni” sono chiaramente il punto dolente dei “cataloghi paralleli” Decca, EMI, RCA, HMV, Urania, ecc. Musicale, di ottima tecnica, bellissima, mozartiana di rango, Elisabeth Schwarzkopf potrebbe ancora proporre una sua credibile Violetta.

Nel 1953 la Cetra-Soria vanta il più vasto catalogo del mondo di registrazioni di opere liriche. In quell’anno Soria, come progettato, vende l’etichetta alla Capitol Record e passa a lavorare per la EMI, fondando il ramo statunitense Angel Records; un logo di fine Ottocento, un angelo che incide un disco utilizzando una piuma (chiaramente strappata da una delle sue ali) viene recuperato e aggiornato. Dorle Soria, public relation woman nata a Manhattan, cura con molta abilità il coté pubblicitario degli artisti. Creerà intorno alla Callas serate di gala in occasione dei debutti a Chicago e al Metropolitan, incoraggia un’intelligente sfruttamento della rivalità con la Tebaldi e saprà restare amica di Maria fino alla fine.

Il primissimo progetto di Legge è di sottoporre la Callas a un provino discografico “per tastare psicologicamente il terreno e vedere come reagisce alle osservazioni, e per organizzare le installazioni acustiche più favorevoli”. Ma si tratta soltanto dell’aria “Non mi dir” dal Don Giovanni, priva del recitativo, eseguita al microfono il 17 gennaio ’53, di cui sono rimaste due takes, con la voce dell’ingegnere del suono che dà, in apertura, le indicazioni tecniche. Nel 1953 la Callas dispone della totalità dei propri mezzi espressivi: le due versioni del medesimo pezzo sono utili per comprendere come in pochi minuti, nel corso di un’unica seduta di registrazione, sia in grado di mettere a segno raffinati dettagli interpretativi.Solo nel 1985 sarà possibile ascoltare questo “Non mi dir”, incluso nel massiccio cofanetto di 8 LP Les introuvables du chant mozartien. E’ un’affascinante antologia di rarità e inediti registrati tra il 1903 e il ’53. Non mancano alcune superdive come Adelina Patti. Ninon Vallin, Maria Németh. Sena Jurinac, la Schwarzkopf; ma è il canto maschile che si dispiega favoloso, da John McCormack a Ezio Pinza, da Hermann Jadlowker a Richard Tauber.

Si è letto che l’intenzione di Legge è di dimostrare alla cantante come sia assolutamente estranea al canto mozartiano – eppure deve averla ascoltata nel Ratto dal Serraglio - e liberarsi da sue eventuali pretese di cantare con la Schwarzkopf in opere del salisburghese.

La Lucia del febbraio ’53, la prima opera completa che la Callas registra per la EMI, non è prodotta da Legge (che non nasconderà mai il suo disprezzo per quest’opera), né sfoggia ancora la prestigiosa egida “Teatro alla Scala”; neanche Cavalleria cinque mesi dopo, che precede di un anno la registrazione di Pagliacci (molte biografie callasiane fino agli anni ’70 li elencano come registrati nello stesso periodo). Nel giro di pochi mesi escono altre due Lucie, della CBS con Lily Pons – ancora mitica negli Stati Uniti – e della URANIA con Dolores Wilson, all’epoca considerate serie concorrenti.

Tutte le altre opere, da I Puritani del marzo 1953 alla Norma del settembre 1960, recano il prestigioso gimmick ideato da Dario Soria, il marchio di fabbrica ” Teatro alla Scala”.

Nel numero di giugno 1953 della rivista francese Disques il critico Jacques Bourgeois pubblica il saggio “Esquisse d’une histoire de l’opéra par le disque 33 tours” e non cita ancora nessuna incisione di Maria Callas. Ma proprio in quei mesi il lavoro della Callas in studio di registrazione è di importanza storica.Il 23 febbraio ’54 Meneghini scrive a Eugenio Gara, grande critico vocale e grande amico: “Grazie ancora della tua assai gradita di ieri, dopo sentiti e risentiti i Puritani”. E’ evidente che a casa Meneghini Callas è giunta in anteprima la registrazione dell’opera di Bellini, che viene riascoltata con enorme attenzione.

Vera star della storia della produzione discografica EMI è la Tosca registrata all’interno della Scala tra il 10 e il 21 agosto ’53 con Victor De Sabata, Giuseppe Di Stefano e Tito Gobbi. Sarà un ascolto obbligatorio per Herbert von Karajan prima di ogni sua interpretazione di quest’opera. Cecilia Gobbi, figlia del grande baritono, che assiste da bambina ad alcune sedute, ricorda: “ero assolutamente affascinata dal perfezionismo di De Sabata. Ha voluto l’orchestra sul palcoscenico e con cura infinita collocava gli strumenti in diverse posizioni perché fossero distanziati tra loro. Ricordo che mio padre ci diceva che il Maestro voleva i microfoni sparsi in un certo modo, e provava momenti diversi dell’opera moltissime volte, controllando l’effetto della collocazione di strumenti e microfoni nei vari punti del palcoscenico. Non c’era stereofonia allora, e ciò che cercava era l’effetto stereo ante litteram”. Viene presa la decisione di coprire con il compensato tutti i palchi, cosa che fa impazzire il presidente della EMI.. De Sabata ha poi un’altra idea: vuole che ogni musicista della sezione archi sia posto su un piccolo podio, in modo da formare per ognuno di loro una specie di circolo di vibrazioni, rendendo il sound più vitale. A quell’epoca la Scala farebbe qualsiasi cosa per De Sabata, ed ecco perché questa Tosca è ancor oggi così autorevole e soggiogante.

All’ingresso di Floria Tosca Legge e Maria lavorano di fino sui tre imperiosi “Mario!”; ottengono un effetto di avvicinamento crescente verso il microfono ad ogni richiamo e tutta la gelosia accaparratrice di questa primadonna è in impressionante evidenza. Vedremo che cosa ne farà un tecnico americano al momento di riversare l’opera in CD.

Anni dopo Tito Gobbi ha detto al critico Mike Ashman del Gramophone che i cantanti erano spinti al limite delle forze: “Continuavamo a ripetere il finale dell’atto I a partire dal ritorno di Tosca in chiesa. Quello che ci faceva infuriare era che sapevamo che la “presa” nr. 9 era quella definitiva – e alla fine proprio quella fu recuperata”.

Della Callas il violinista Franco Fantini afferma: ”oltre ad essere una grande cantante era una grande attrice, una personalità. Era una donna di palcoscenico, non solo una cantante. Quando interpretava vedevi il personaggio trasfuso nella scena; cantava Tosca ed era una gran dama dell’aristocrazia romana”. In ogni caso, il vincitore è Puccini, come scrive John Ardoin; per le sue opere si annuncia una nuova era di rispetto e ammirazione.

Appena terminata la Tosca comincia la registrazione del Requiem di Verdi sempre sotto la bacchetta di De Sabata e con Di Stefano; ma il soprano è la Schwarzkopf, alla Callas è destinato il ruolo di mezzosoprano. Sembra proprio che disdica quasi all’ultimo momento, e il suo posto è preso da Oralia Dominguez.

La Traviata che la Callas lascia in disco per l’etichetta Cetra tra il 9 e il 15 settembre 1953 è, a parere di chi scrive, la più riuscita e travolgente della sua carriera. Celletti pubblicherà un saggio entusiastico su questa Violetta in una recensione di DISCOTECA HI-FI, poi riassunta ne Il teatro d’opera in disco 1950-1987. Ma prevale fin da subito, ancora prima della edizione scaligera con Visconti e Giulini del maggio ‘55, il concetto che il contesto del box Cetra sia tanto mediocre e indegno della Divina da rendere assolutamente necessario un remake “degno di lei”. Ma se Santini è indubbiamente di scarsa autorevolezza, l’Afredo di Albanese e il Germont di Savarese non si collocano a una così abissale differenza da Di Stefano e Bastianini; e sono da aggiungere all’attivo della Cetra ’53 gli eccellenti Mariano Caruso (Gastone) e Mario Zorgniotti (il Dr. Grenvil). La mancata realizzazione di una seconda Traviata EMI in studio diventerà una saga, un mito nel mito.

Nel gennaio 1954 i Meneghini chiedono una riformulazione del contratto di due anni prima.

Da Milano la sezione italiana della EMI scrive “La Callas si considera il più grande soprano del mondo e chiede una percentuale di royalties più alta di chiunque altro”. Dalla sede londinese viene l’idea di aumentare, più che le retribuzioni, la libertà di scelta dell’artista, proponendole per il biennio seguente dei recitals di arie singole e le integrali di Sonnambula, Trovatore, Macbeth, Ballo in Maschera, Forza del destino e Turandot. I negoziati con lei, scrivono da Londra, “dovrebbero avere priorità su ogni altro progetto di registrazione in Italia”. Ecco che un nuovo contratto stipula che, tra l’aprile ’54 e il 31 luglio ’57, saranno realizzati con la Callas Norma, Pagliacci, Forza del destino (come da tempo stabilito) più sette integrali: Macbeth, Trovatore, Manon Lescaut, Andrea Chenier, Turandot con altri due titoli da stabilire. Il progetto dei recitals prevede un primo album con arie da Vestale, Medea, Otello di Rossini, Armida, Semiramide, Gazza Ladra, Guglielmo Tell; infine La Sonnambula. Nei suggerimenti del secondo album si delinea quello che sarà il “Lyric-Coloratura” del settembre ’54: Ratto dal Serraglio, Dinorah, Variazioni di Proch, Lakmé da un lato, e Mefistofele, due arie dal Sansone e Dalila e Adriana Lecouvreur. Poi un terzo album tutto verdiano. Ancora una volta è Legge a rivelarsi il più interessato alla autentica rappresentatività della discografia callasiana; è indubbio che nulla e nessuno potrebbe obbligare la Divina a registrare Pagliacci e Bohème se non ne vedesse l’utilità commerciale.

Legge nota la crisi vocale dell’estate 1954, quando La forza del destino mette a dura prova la voce della Callas magrissima. Dopo molti riascolti le spiega crudelmente che se mettono in disco questi acuti ballanti dovranno accludere una pastiglia contro il mal di mare in ogni cofanetto. Certo la Divina consulta la Schwarzkopf – anche se forse non proprio in un ristorante affollato come racconta Legge - ed è pensabile che l’allarme vocale sia preso sul serio. L’orecchio fine di Rodolfo Celletti sentirà nel disco verdiano carenza di luminosità e fonazione faticosa; solo un mese prima, in Norma, nessuno ha lamentele da fare. Con qualche eccezione: il Sovrintendente del Teatro de las Bellas Artes di Città del Mexico, che con amici e ammiratori messicani accoglie “con tristezza Norma e le altre registrazioni del ’55”. In Norma, Forza del destino e Aida loro sì che possono dire di essere stati testimoni della Callas vocalmente somma. Questa convinzione contrasta con quanto Legge dirà di avere sentito dalla Callas: “Non ascoltare le mie registrazioni messicane! Cantavo come una gatta selvatica”.

Anche Gianandrea Gavazzeni, nel suo diario Il sipario rosso, durante la registrazione del Turco in Italia agli inizi di settembre ’54, dichiara di non trovare più il colore vocale indimenticabile posseduto dalla Callas sovrappeso quattro anni prima. Francis Dillnutt, ingegnere del suono del Turco, ricorda come è di nuovo complicato ristrutturare il teatro alla Scala in studio di registrazione senza echi e riverberi. Il mixage viene fatto durante la presa di suono, con economia di mezzi.

Alla fine del ’54 la Cetra si arrende al passaggio della star greco-americana all’etichetta Emi senza minacciare conseguenze legali. La Emi le consentirebbe di registrare ancora Madama Butterfly per la sua prima etichetta; ma la Callas sostiene che la qualità di Gioconda e Traviata è debole e le vendite sono scarse.

“Oggi è chiaramente arduo immaginare che la Callas, durante gli anni ’50, fosse tanto difficile da vendere”, dichiara Soria alla morte della Divina. “Da parte nostra, avevamo la sensazione e la convinzione che sarebbe diventata una grande star. Ma tanta gente non la apprezzava, e molti critici la scansavano del tutto. Imporre la Callas fu un’autentica battaglia”.

Alla fine della formidabile stagione scaligera ’54-’55 la Callas registra arie di Medea. Vestale e Sonnambula; conferma del fatto che la EMI e Legge non trovano opportune e redditizie le registrazioni complete. Per Puritani e Turco in Italia la ditta ha rischiato, ma non lo farà praticamente più. Comunque, lei rifiuta il permesso di pubblicare le due scene di Sonnambula, cosicchè i nastri delle sedute scaligere di quel giugno resteranno in frigorifero per molti anni. Il catalogo di integrali Callas si arricchisce così di titoli che poco hanno a che vedere con la sua straordinaria carriera teatrale. Il catalogo di integrali Callas si arricchisce così di titoli che poco hanno a che vedere con la sua straordinaria carriera teatrale.

A proposito dell’incisione di Aida dell’agosto ’55, nelle memorie della vedova di Richard Tucker leggiamo che quando suo marito è chiuso in studio con l’orchestra e Serafin per registrare “Sacerdote, io resto a te!”, la Callas passeggerebbe su e giù fuori della porta ermetica battendo i tacchi a spillo; ne nascerebbe un disturbo acustico che costringerebbe Tucker a ripetere più volte l’ardua frase. La reazione del tenore sarebbe “Crede di riuscire a stancarmi? Sono in grado di ricantarlo cento volte”. Ora, le gelosie di palcoscenico sono comuni e la Callas non ne è certo immune. Ma qui siamo nel contesto di un prodotto collettivo, che è interesse di tutti portare a termine in condizioni smaglianti. Senza contare che Serafin e Legge interverrebbero con energia a bloccare un così sciocco sabotaggio da parte della Divina.

Quanto al Rigoletto del settembre seguente, Cecilia Gobbi dice: “Il rapporto tra mio padre e Maria c’era fin dall’inizio perché erano, come dire?, due animali da palcoscenico. Quando hai un cantante attore da un lato e un altro cantante attore dall’altro, il risultato non è ‘uno più uno uguale due’. E’ di più, perché loto interagiscono e nasce qualcosa di speciale. La cosa speciale che avevano Maria e mio padre è che trasmettevano questo attraverso il disco. Li ascoltavi e li vedevi”.

Nel settembre 1955 la EMI registra alla Scala una Traviata con protagonista Antonietta Stella, la direzione di Tullio Serafin e con Giuseppe Di Stefano e Tito Gobbi (1956 è l’anno di pubblicazione del disco, non, come spesso si legge, della registrazione). Il teatro riverbera ancora del trionfo, nel maggio precedente, della Violetta callasiana nella innovativa messinscena di Visconti. Il contratto stipulato con la Cetra nel 1951 impone alla Divina di aspettare cinque anni prima di ri-registrare un certo titolo; per cui la Traviata del settembre ’53 la vincola ad attendere ancora tre anni. Chi si chiede perché Legge non può aspettare che si renda libera la più carismatica Violetta dell’epoca non fa i conti con le ferree leggi di mercato, che impongono di avere presto nel catalogo EMI il capolavoro di Verdi e soprattutto di presentarlo in edizione stereofonica. Si rifletta che la Decca ha già sopravanzato, e di molto, la EMI, pubblicando in stereofonia La forza del destino Tebaldi-Del Monaco nel 1955. Il ragionamento di Legge sarà antiteatrale ma è commerciale: c’è bisogno di una Traviata stereo in catalogo: non di un ossequio alla Diva. Inoltre, con il valore commerciale della Meneghini Callas ormai salito alle stelle, per la EMI sarebbe un suicidio realizzare una seconda Traviata Callas pagando la penale alla Cetra, per quanto sarebbe certamente un best-seller.

Quali siano le ragioni dell’esclusione, la Divina la prende molto male. Soffia sul fuoco Luchino Visconti, dichiarandosi “assolutamente esterrefatto per il tiro mancino della Voce del Padrone, certamente sollecitata da qualcuno” e accusa la Scala di “coglioneria”. “La porcheria”, prosegue, “mi sembra lampante, irriguardosa, ingenerosa, ingrata (e chi più ne ha più metta) E’, probabilmente, un tiro meschino e subdolo di Di Stefano. Che Ghiringhelli poi non ne sappia proprio niente niente, mi pare assurdo. Da questo episodio scaturisce un’impressione di ostilità prestabilita, organizzata contro Maria. E contro tutta la Traviata di maggio…”

La Callas minaccia di troncare ogni rapporto con la EMI e con il Teatro alla Scala, come ricorda nel suo libro Peter Andry, dirigente della Decca e dal ’55 della His Master’s Voice. Alla fine fa ricadere il suo risentimento su Serafin. Il maestro veneto guida la stellare compagnia di canto italiano che invade la Lyric Opera di Chicago nell’ottobre ’55. La Callas lo estromette dalle opere in cui canta lei, e obbliga un imbarazzato Rescigno a sostituirlo. A dirigerla nei trionfali Puritani di apertura Serafin avrebbe pure qualche diritto. La storica collaborazione si ricomporrà solo nel giugno ’57 alla RAI di Roma.

Non è chiaro perché, appena il contratto Cetra lo consente, non venga registrata in studio nessuna Traviata-Callas. E’ da notare che nell’autunno ’59 Serafin ne dirigerà un’altra per la HMV, questa volta a Roma con la De Los Angeles.

Un servizio fotografico in cui la Callas posa nel suo appartamento milanese in una vestaglia di lana pesante, che è da collocare nel marzo ’56 all’incirca, contiene tre foto in cui finge di cantare nel microfono di un grosso registratore a bobina posato accanto alla sua poltrona. Non si legge la marca, anche se uno storico della registrazione lo identificherebbe subito. Né sono mai emersi vocalizzi, ripasso di Lucia, frasi di Fedora nell’immenso materiale conservato da Meneghini. Probabilmente era solo un momento scherzoso a beneficio del reporter

Nel ’56 la Tebaldi e la Callas incidono entrambe Il Trovatore e il caso vuole che sia di quell’anno anche la Leonora di Zinka Milanov, per la RCA. La guerra di primedonne diventa così una Trimurti. Ed ecco che Herbert Weinstock, musicologo americano e pioniere di studi donizettiani, nell’aprile 1957 pubblica sulla prestigiosa Saturday Review il saggio “Maria, Renata, Zinka and…Leonora”. Di rado la critica discografica è così autorevole, le considerazioni di Weinstock sono nuove ed importanti. L’esecuzione musicalmente perfetta e l’interpretazione aristocratica della Callas, spiegate punto per punto, riportano, secondo Weinstock, la totale vittoria sulle due rivali. Sembra che in origine il Manrico del Trovatore EMI debba essere Tucker; il quale però, ebreo osservante, rifiuta di lavorare con Karajan, notoriamente iscritto al partito nazista. E’ prescelto quindi Di Srefano. Rolando Panerai, conte di Luna, nel 2013 dirà di essere chiamato all’ultimo minuto a sostituire un altro baritono, che ha già registrato tutta la parte ma che risulta costantemente calante. Strano che Karajan e Legge non se accorgano dopo una sola seduta.

Per quanto riguarda La Bohème, affidata al disco tra il 20 agosto e il 4 settembre ’56 con l’interruzione di una vacanza al Danieli di Venezia, c’è la testimonianza del pittore americano di origine austriaca Henry Koerner. E’ incaricato di fare il ritratto della Divina per la copertina di Time di New York (proprio il numero con l’articolo pieno di malignità che presenterà la Callas al pubblico del Metropolitan) e assiste alla seduta di registrazione di “Mi chiamano Mimì”. E’ affascinato dalla volontà di questa interprete, che si riascolta all’infinito fino a dopo mezzanotte, e dalla concentrazione del suo viso all’ascolto di “Ma quando vien lo sgelo”.

La EMI/Angel ristampa più volte i suoi dischi Callas a 33 giri. Nella fase monofonica, almeno fino al ’57, il sound viene a ogni ristampa adattato a ciò che il pubblico mostra di gradire all’epoca; il colore e qualche volta persino l’altezza dei suoni vengono per così dire “editati”, quasi sempre in modo diverso tra le due sponde dell’Atlantico. Intorno al 1956 l’originale plastica rigida è stata sostituita dal vinile. Da allora i dischi-Callas sono stampati quasi esclusivamente negli Stati Uniti.

E’ rimasto pressochè segreto, ma è clamoroso nella carriera della Callas quanto accade a Londra alla fine del ’56. Le critiche del debutto newyorkese (Norma, Tosca e Lucia al Metropolitan tra il 29 ottobre e il 19 dicembre) sono così negative sullo stato vocale della Divina da allarmare la EMI e provocare una riunione segreta al vertice. Legge scrive a Bicknell che il terzo contratto è tutto da rivedere. Alla scadenza, il 31 luglio 1957, Dario Soria alla Callas imporrà la drastica riduzione a 3 del numero di opere nuove da realizzare con lei entro il 31 luglio ’60. Nei fatti l’attività della Callas in studio in quel triennio si ridurrà ulteriormente: niente Medea, due soli recitals, e due sole opere nel ’59. Il grave stop posto alle registrazioni callasiane dai suoi discografici è l’ennesima prova che il declino vocale della grande interprete non è mai stato fisima o malignità di fanatici, ma tragico dato di fatto, ben chiaro a chi con quella grande voce lavorava fin dal 1949.

Nel febbraio 1957 dopo Norma al Covent Garden è previsto Il barbiere di Siviglia in sala d’incisione. Pare che la Callas non possa volare a Londra a causa del solito problema dell’ingresso dei cani nel Regno Unito. Legge scrive ai Soria “Niente sarebbe diplomaticamente più sgradevole, procurando infelicità a tutti noi, che registrare l’opera senza Maria”. Pensa forse alle conseguenze di quella Traviata con la Stella? Ma il piccolo Toy resta a Milano e la Callas registra in studio un’autorevolissima Rosina. Alan Sievewright assiste di nascosto a una seduta e mi racconta che la vede sempre concentratissima sullo spartito, con gli occhiali sulla punta del naso.

Ci sono anche i ricordi del contrabbassista inglese Robert Meyer, che suona nella Philharmonia Orchestra. “Tutto andò bene fino alla difficile aria ‘Una voce poco fa’. Facemmo alcune takes ma nessuna era interamente accettabile. La Callas diventava sempre più nervosa, poi fu colta da singulti ed ebbe una crisi di lacrime. Walter Legge si precipitò fuori dalla cabina di regia, le mise un braccio intorno alle spalle, e pacatamente la prese con sé in cabina, insieme ad Alceo Galliera. Aspettammo un quarto d’ora, e poi lei tornò, molto calma, cantò l’aria perfettamente e dopo potemmo tornare tutti a casa. Registrò anche canzoni [sic] con la Philharmonia diretta da Tullio Serafin alla Watford Town Hall nel Hertfordshire [nel settembre di tre anni prima]…Lui era molto sicuro, pieno di esperienza e sembrava instillare sicurezza alla Callas…Non una volta lei versò una lacrima e credo che per questo fatto molto del credito vada a Serafin”. Neanche Meyer percepisce il decadimento della voce della Callas tra il ’54 e il ’57 ed attribuisce la sua serenità al direttore d’orchestra e all’entourage artistico.

Il Barbiere Galliera-Gobbi-Callas non rientra nella serie “Teatro alla Scala”. Il tecnico Robert Gouch rivelerà che l’installazione di base è mono. Si registra in una tendone allestito all’interno della Kingsway Hall, che sorprende i giornalisti intervenuti a scattare foto. La ripresa stereo è effettuata in una cabina a parte da tecnici impiegati allo scopo. E’ allora, segnala Gouch, che si scoprono esigenze diverse nei due sistemi: nella ripresa mono è necessario evidenziare alcuni strumenti dell’orchestra, problema che gli “stereofonici” ancora non si pongono. E’ possibile che a Milano la EMI non sia giudicata ancora all’altezza di questo progresso tecnologico. Un dettaglio interessante: nella serenata di Almaviva la chitarra è affidata all’illustre chitarrista e liutista inglese Julian Bream.

Entra per la tangente, nella discografia della Callas, la Carmen diretta da Sir Thomas Beecham. Direttore mitizzato in Inghilterra, molto meno da noi, lavora per anni, a pezzi e bocconi, al capolavoro di Bizet. In questo anticipa le registrazioni patchwork che prevarranno quarant’anni dopo (nell’edizione finale il personaggio di Mercedes sarà cantata da due soprani diversi perché il primo è nel frattempo deceduto!). Nel ’56 comincia con il contralto svedese Kerstin Meyer; poi pensa di chiedere la Callas alla EMI. Le allusioni, le offerte, anche tramite Legge, partono nell’aprile ’57 e vanno avanti per più di due anni. Cantare da mezzosoprano preoccupa Maria, che teme che tutto il mondo dica che è in crisi vocale; soprattutto le è estraneo il personaggio, così cinico e “moderno”. Rifiuta sistematicamente gli inviti di Beecham, il quale ripiega su quella che è la sua Mimì ideale, la De Los Angeles. Il soprano catalano è consapevole di essere “terza scelta” e nell’autunno ’59 l’incisione sarà travagliata da crisi e scenate.

Nel maggio 1957, Elsa Maxwell è ospite della Callas a Milano per diversi giorni, come i rotocalchi non mancano di illustrare. Si scrive allora che tra le idee di intrattenimento della prestigiosa society woman da parte dei coniugi Meneghini c’è l’ascolto del finale della recente trionfale Anna Bolena. E’l’unico accenno in quegli anni – dopo l’Aida messicana del ’50 - al fatto che i fans riforniscano la loro Divina di registrazioni private dal vivo.

La Manon di Puccini, fissata nella seconda metà di luglio 1957 in anacronistica monofonia, lascia la Callas – a ragione – molto scontenta. La voce è stanca, quasi irriconoscibile, anche se il personaggio è come al solito pienamente centrato; l’uscita del disco viene bloccata fino al ’59.

E veniamo al primo vero tradimento della Divina nei confronti della EMI – reso necessario dal fatto che la casa non dimostra interesse a inserire la Medea di Cherubini in catalogo. In Italia l’iniziativa di registrare integralmente la poco conosciuta opera nell’interpretazione di Maria Callas è attribuita a “Nanni” (Giovanni Carlo Emanuele) Ricordi, classe 1932; giovanissimo, dunque. Discendente di Giovanni Ricordi, fondatore della storica Casa omonima, Nanni viene dalla musica leggera; ha già esperienze nella Ricordi Radio Record, diretta da Mariano Rapetti ( padre del paroliere Mogol) e a New York come produttore della RCA Victor. Tornato a Milano, crea un’azienda autonoma, la Dischi Ricordi S.p.A, che appoggerà cantautori debuttanti come Giorgio Gaber e Gino Paoli, ma comincia con sei opere liriche. La prima è Medea di Cherubini. Qualcuno deve soffiargli l’informazione che è possibile assicurarsi Maria Callas nella più travolgente interpretazione operistica del decennio e questo al di fuori del suo contratto di ferro con l’onnipotente EMI. Negli Stati Uniti quell’iniziativa culturale è attribuita a Wilma Cozart (1927 - 2009), intraprendente produttrice discografica, moglie di Robert Fine (1922–1982), un vero e proprio luminare della tecnologia discografica. Insieme producono negli anni ’50 e ’60 la serie Living Presence della Mercury, dischi che sono a tutt’oggi nella storia della registrazione per la qualità e l’eccellenza del suono.

Nel 1982 il mensile francese L’Avant-Scène pubblicherà un numero di tributo alla Callas, che includerebbe il contratto originale tra la Ricordi e la Callas. Non è così. La proposta è già stata formulata il 26 giugno 1957 e la Callas ha accettato di registrare Medea a metà luglio. La lettera divulgata nell’82, rivolta alla Callas dagli amministratori Guido Valcarenghi (compagno della regista Margherita Wallmann) ed Eugenio Clausetti, è scritta in ottobre, a incisione effettuata, e specifica le sontuose clausole economiche del contratto: quote vendite, rimborsi spese, un anticipo di nove milioni. Nelle sue memorie Meneghini, nell’intento di esonerare la ex consorte dall’accusa di avidità, non fa date, nomi o titoli, ma ricorda un esempio della classica strategia del mondo dello spettacolo per evitare un impegno e far fuggire il proponente: “A Milano venne il rappresentante di una casa discografica, chiedendo di voler fare un disco con Maria…gli sparai una cifra che pensavo non avrebbe potuto pagare…Ghiringhelli mi chiese se ero matto…’L’ho chiesta di proposito, per togliermelo dai piedi’, gli dissi.’ ‘Maria non ha tempo per fare un disco ora’. Quel signore tornò e disse: ‘Accettiamo la vostra richiesta. Vogliamo Maria’”. Si tratta certamente della Medea non-EMI del settembre ’57. Ma è ovvio che la Callas tiene moltissimo a un’incisione completa di quel suo cavallo di battaglia ed è risentita del disinteresse della casa discografica a cui è legata in esclusiva dal ’53.

La registrazione si svolge alla Scala dal 14 al 20 settembre ’57. In un’intervista di tre anni dopo Meneghini accenna al fatto che un primo tenore scelto per il ruolo di Giasone “ebbe appena il tempo di aprire bocca. Dalle prime note Maria capì che non era all’altezza, interruppe l’incisione e pose l’aut-aut: o via il tenore o via lei. Da notare che dirigeva il maestro Serafin e che il tenore prescelto era un allievo del fratello”. Aneddoto interessante ma da verificare.

Harold Lawrence, direttore musicale della Mercury, ha un impressionante ricordo della registrazione della supplica di Medea a Creonte affinchè lui le conceda un altro giorno prima di cacciarla in esilio. “Era in forma e cantò in modo struggente. Quando entrò per riascoltarsi in sala controllo la accogliemmo con entusiastici ‘Brava!’. Il riascolto fu ancora più soddisfacente. Ma la Callas aveva qualche riserva. ‘E’ cantato molto bene ed è una supplica commovente. Ma manca qualcosa. Vedete, qui Medea sa già che utilizzerà quell’unico giorno per compiere la sua vendetta sanguinosa. Sta pensando a tutt’altro che a implorare e la musica deve esprimere questo sottinteso terrificante. Devo rifarla’ Così è tornata al leggìo e ha rifatto la scena con la stessa bravura. Però questa volta ha messo nel suo canto un sottinteso quasi impercettibile ma chiaramente minaccioso. E’ stata un’esperienza da brividi”. La Callas complimenta Lawrence per la nudità e semplicità delle apparecchiature di registrazione: “Ma come, solo tre microfoni per registrare l’orchestra, il coro e i solisti ! Come è possibile? La EMI dà a ciascuno di noi il proprio microfono”. Un riascolto dell’intera opera appena completata ha luogo in presenza di Valcarenghi e di Ghiringhelli (Serafin è negli Stati Uniti). Che ci sia Ghiringhelli è molto interessante; in quel settembre post-Edimburgo si parla sempre di grande gelo della Scala nei confronti della primadonna che ha abbandonato le recite di Sonnambula in Scozia per volare a Venezia. Invece c’è la foto del Sovrintendente assorto davanti alle note di Cherubini, a una poltrona di distanza dalla Divina.

All’epoca di questa registrazione, i brani incisi dalla Callas con Serafin nel ’55, tra cui “Dei tuoi figli la madre”, sono ancora inediti. L’aria cherubiniana e le tre arie di Vestale - non, come si è detto, quelle di Sonnambula - escono all’inizio del ’58, completate da brani dei Puritani integrali ‘53 e della Sonnambula integrale ’57; prima della Medea Ricordi-Mercury, che vede la luce nel giugno ’58 negli Stati Uniti e nel febbraio ’59 in Inghilterra. A Milano la Medea viene presentata a pubblico e critici il 2 ottobre 1958, un anno dopo la registrazione, in presenza di Nanni Ricordi, della protagonista e di Serafin. Il disco lancia per un quinquennio l’attività discografica classica della Ricordi. Ecco che, orgogliosa del successo di Medea, nel marzo 1959 l’etichetta milanese proporrà alla Callas di registrare Traviata. Ma se dell’opera di Cherubini i dirigenti EMI non sono gelosi, di Violetta sì, e il progetto non otterrà liberatoria.

Il 19 novembre 1957 le prove di un concerto tenuto dalla Callas a Dallas nel Texas vengono registrate con un apparecchio presente in sala. E’ quasi certamente la prima volta che una sua esecuzione viene ripresa senza passare attraverso la radiotrasmissione.

Nel dicembre ‘57 la Cetra, fondendosi con laFonit (Fonodisco Italiano Trevisan) divent Fonit Cetra. Alla fine di quell’anno Dario e Dorle Soria si dimettono dalla Angel. Legge deplora la loro partenza (“siete gli ultimi dei mohicani, dopo di noi il diluvio”) ed elogia l’astuzia e la classe con cui Dorle ha saputo reclamizzare la grande carriera callasiana. I Soria ci tengono a segnalare che al momento delle loro dimissioni la Tosca De Sabata-Callas ha venduto l’incredibile cifra di quasi 43 000 confezioni, mentre l’album Le eroine di Puccini – con tanti saluti alle riscoperte di Cherubini, Rossini e Donizetti – è arrivato a vendere 49 000 copie, come il Coro dell’Armata Rossa o le cornamuse delle Guardie Scozzesi.

E’ dell’autunno 1958 una curiosa anticipazione di agenzia: “Maria Callas ha compiuto diverse registrazioni per la Columbia. Un LP di Verdi include scene dal Macbeth, mentre un altro LP si intitola Great Creations and Variations e include variazioni sul Carnevale di Venezia di Benedict.”. Sul titolo “Creazioni e variazioni” scherza la stessa Callas in una lettera coeva ad amici americani. The Carnival of Venice dell’inglese Julius Benedict (amico e accompagnatore della Malibran, di Jenny Lind, della Patti) è soltanto un esempio delle molte parafrasi e variazioni.- in primis di Paganini - di questo motivo popolare veneziano. E’ interessante che la Callas – o la EMI per lei -accarezzi questo progetto diciamo così “veneto”, poi abbandonato come qualche anno prima quello delle Variazioni di Proch. Anche il titolo dell’album, pubblicato nel dicembre ’58, cambierà, ripiegando su “Pazzie celebri”. Ma quale celebrità? Chi conosce all’epoca Anna Bolena, Il Pirata e Hamlet di Thomas? (Questa interpretazione della follìa di Ofelia è la prima registrazione su disco della Callas in lingua diversa dall’italiano). Nei paesi di lingua inglese il titolo è più semplicemente Mad Scenes. Attribuire alla Callas “creazioni e variazioni” fa pensare a un tentativo di diversa valutazione come musicista da parte della casa discografica, a una dimostrazione di quel “genio creativo di prim’ordine” di cui parla Teodoro Celli. O forse soltanto a una lusinga da parte di Legge, per renderle più accettabile il ridimensionamento dei suoi impegni discografici.

La EMI fa le cose in grande con la scena finale di Anna Bolena, procurando i comprimari nella scena del patibolo; per i ruoli di Smeton, Percy, Rochefort e Hervey, vengono ingaggiati artisti attivi a Londra: Monica Sinclair, John Lanigan, Joseph Rouleau e Duncan Robertson. Ma lo stesso non accade per il Sonnambulismo di Lady Macbeth, che risente in parte dell’assenza del Medico e della Dama. Perché questa economia rispetto alla scena donizettiana? L’interprete di Hervey nel finale della Bolena, il basso canadese Rouleau, ricorda: “Mi ha colpito il professionismo di quella donna. Ha cantato la cadenza finale della grande aria almeno 15 o 16 volte. Dopo ogni ripresa andavamo nella cabina di controllo. Non era mai soddisfatta, non le andava mai abbastanza bene. La voce all’epoca cominciava ad avere un vibrato notevole, lei ne era consapevole. Tornava in studio, si aggrappava con le due mani al leggio e dava tutto, continuamente. Cercava la perfezione. Fisicamente era una cosa spossante, ma lei era ostinata”. All’opposto, la cavatina di Elvira dell’Ernani sembra sia realizzata in un’unica ripresa: Rescigno stacca un tempo rapido, Maria spalanca gli occhi per la preoccupazione ma gli tiene testa. Legge accoglie l’esecuzione con entusiasmo: “Che tempo fantastico! Perfetto! Dopo tutto, Elvira è giovane e l’aria è uno slancio di speranza”. Dopo queste parole, non si parla di ri-registrare.

Pochi mesi dopo le sedute londinesi, nel gennaio ’59, la grande Lady Macbeth parla dei problemi del disco con l’illustre cronista Edward Murrow (raccontato nel film Goodnight and Good Luck per la regia di George Clooney) e con il musicista e attore comico Victor Borge, rivelando che una prima take del Sonnambulismo è ben cantata ma, a suo giudizio, non sufficientemente espressiva; lei chiede di conservarla per sicurezza, ma poi la rifà.

Curiosi, e per chi scrive abbastanza pleonastici, i due remakes che la Emi offre alla sua Diva numero uno nel ‘59: Lucia di Lammermoor e Gioconda. Nonostante la prima preservi per i posteri una associazione tra la Divina con Ferruccio Tagliavini, che però lei non sembra apprezzi molto; negli anni ’70 avrebbe detto per telefono a un ammiratore veneto “Quello non cantava: parlava”. Quanto a Gioconda, è un vero peccato che, nonostante Franco Corelli sia sotto contratto con la EMI dal 7 agosto 1959, non si pensi ad affiancarlo a questa cantatrice errante come Enzo Grimaldo. Eppure la Callas e Votto sanno benissimo quanto vale il tenore anconetano, e quanto la sua presenza potrebbe apportare all’incisione. Si aggiunga che Ghiringhelli non vuole più concedere la sigla “Teatro alla Scala” ai dischi di colei che ha praticamente cacciato nel maggio ’58; solo nel caso di Gioconda si viene a un riappacificamento, forse anche per l’uscita di scena di Battista Meneghini dalle trattative.

Si è detto che la Ricordi propone alla Callas di registrare per loro la sua Violetta nel marzo ’59. In quei giorni Bicknell chiede a Legge di fare da intermediario affinchè la Traviata HMV con Serafin, prevista per la De Los Angeles, sia registrata invece dalla Callas, spostando Victoria su un altro progetto. Nello stesso periodo il direttore artistico dell’Opera di Chicago, Larry Kelly, progetta di filmare Traviata, e forse Carmen, con la sua Divina. Giunge anche un’offerta da Dario Soria per la RCA. Nell’aprile ’59 la Callas annulla le sedute di registrazione di Traviata previste alla Kingsway Hall di Londra con De Sabata.. E’ stanca, accetta suo malgrado una tournée in Germania e Medea al Covent Garden: vuole e deve riposarsi. Il mondo vedrà poi come. Legge, per non sprecare l’organizzazione londinese, convoca la consorte e le fa incidere arie di Verdi e Puccini alquanto superflue. Segno di confusione nel catalogo EMI-HMV-Columbia, che continua ad accumulare doppioni di opere Callas-De Los Angeles- Stella.

Il musicista e critico René Leibowitz pubblica sul numero di luglio 1959 il saggio Le secret de la Callas, che è tuttora la prima analisi musical-sociologica del fenomeno. Leibowitz afferma: “i dischi della Callas sono i soli dischi di musica cosiddetta seria le cui cifre di vendita possano rivaleggiare con quelle delle grandi vedettes della musica leggera”. Ma è vero? Sembra invece che non solo la supermegastar Karajan possa vantare vendite anche superiori, ma che il flautista Jean.Pierre Rampal, il baritono Dietrich Fischer Dieskau, per non parlare di Lenny Bernstein, siano su quei vertici commerciali.

Il 23 settembre seguente l’organizzatore musicale e vociomane britannico Michael Scott entra al grande concerto Callas alla Royal Festival Hall con un registratore più ingombrante che “transistor” e riesce a farlo funzionare solo per la scena del sonnambulismo del Macbeth e per il recitativo del Pirata. Suono distorto ma documento pionieristico delle registrazioni amatoriali che predomineranno nei due decenni seguenti.


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