L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'utopia del Cantiere

 di Roberta Pedrotti

Si perpetua, nel ricordo del fondatore, l'affascinante progetto del Cantiere internazionale d'arte di Montepulciano, immerso in un'atmosfera unica, nella terra del Vino Nobile e di inesauribili tesori artistici.

MONTEPULCIANO (SI) 13-15 luglio 2018 - Arroccata su un ripido cucuzzolo a seicento metri sul livello del mare – non pochi rispetto al territorio circostante – Montepulciano guarda i declivi di Val d'Orcia e Val di Chiana, i filari del Vino Nobile. Fra le mura si ripete, intanto, l'utopia di Hans Werner Henze, che quarantatré anni fa trovò nel borgo il nido ideale per una comunione perfetta fra il luogo, gli abitanti, artisti più o meno giovani, in formazione o consacrati.

Il tempo passa, Henze ormai ci ha lasciati, ma rimane il suo ricordo. C'è ancora chi ti racconta i beni tempi in cui il maestro affettava pane e salame per il pubblico, o la signora che, chiacchierando con l'amica, lascia emergere nitido solo il nome del compositore in un profluvio di suadenti fonemi toscanizzati. Soprattutto, resta un senso di accoglienza, di comunità, di scambio artistico, come un vero e proprio cantiere in cui si costruisce insieme qualcosa per il puro piacere di creare insieme, di condividere.

Lo si avverte appena messo piede nel borgo e soprattutto nelle occasioni conviviali della mensa del Cantiere. Aperta a tutti coloro che ruotano attorno alla manifestazione (artisti, dirigenti, collaboratori, tecnici, giornalisti...), nella sala spartana di un istituto scolastico ci accoglie un'atmosfera semplice  e amichevole. Ci serviamo dalle teglie preparate da cuoche abili e gentilissime, capaci di ricordarsi come l'anno prima il padre di un cantante avesse particolarmente apprezzato la trippa alla toscana e quindi di riservargli una porzione speciale al suo ritorno; nelle tavolate non si bada ai ruoli, si pranza insieme in compagnia senza formalità, senza preoccuparci di chi ci troviamo accanto. Se, poi, all'opera o al concerto riscopriremo il nostro commensale sul palco, in buca o in platea, lo sapremo a tempo debito, con la naturalezza della più piacevole comunione umana e artistica.

Un forte principio ideale anima tutta la programmazione, sicché l'utopia artistica di Henze si perpetua in un intento d'impegno costante. Lo si avverte nella destrutturazione drammaturgica dell'opera di Cimarosa L'impresario in angustie, nella quale la regista Caterina Panti Liberovici esprime tutto il disagio irrisolto e forse irrisolvibile del teatro nella contemporaneità, fra necessità e principi, narcisismo, opportunità, idea [Approfondisci]. Lo si avverte nel percorso dislocato negli spazi aperti del castello di Sarteano Le scarpe di Giufà, in cui la fiaba, l'aneddoto arguto che passa di bocca in bocca e si ripete con ingenuo, infantile piacere giunge a lambire i temi drammatici del viaggio, della fuga, dell'emigrazione e della rivoluzione [Approfondisci].

Nel proliferare dei concerti si esplorano diversi spazi cittadini, si mescolano giovanissimi e artisti esperti, si affinano programmi interessanti, come nel caso del ciclo Bach+, in cui due concerti bachiani per doppia tastiera, nell'ambientazione suggestiva e originale dell'ex tribunale, sono interpretati da archi e pianisti poco più (o poco meno) che adolescenti, mentre il chitarrista Alessio Nebiolo propone la prima esecuzione italiana del Preludio e Fuga di Lorenzo Turchi Floris e resta nella contemporaneità anche nel gradito bis. A mezzanotte, poi, dopo gli spettacoli principali, ci si può fermare in piazza e ascoltare il gruppo Blow Up Percussion impegnato in pezzi, anche in prima assoluta, di autori nati nel secondo Novecento. Oppure, nella calura del mezzogiorno, trovare ristoro nel Duomo e ascoltare un bellissimo programma organistico suonato da Massimiliano Grassi. E, la domenica sera, tornare a sedersi nella piacevole brezza di Piazza Grande per ascoltare i ragazzi – tecnicamente assai ben preparati – della Cambridge University Orchestra in Rossini, Dvořák e Čajkovskij [Approfondisci i concerti del Cantiere].

foto Irene Trancossi

Naturalmente, fra uno spettacolo e l'altro, fra una chiacchierata conviviale e l'altra, c'è spazio per una degustazione di prodotti locali (non solo il Vino Nobile), per una visita alle cantine storiche o ai musei e ai monumenti del borgo. La Fortezza, circondata da un delizioso parco dove sedersi beatamente nel verde con un buon libro, ospita, con il consorzio enologico, spazi espositivi in cui in questi giorni è possibile curiosare fra i modellini di macchine leonardesche: ingranaggi, viti, ruote dentate, cuscinetti a sfera, pulegge, ma anche stupefacenti scenografie teatrali. Nel museo civico è in corso una mostra dedicata all'estetica del Grand Tour fra Roma e Montepulciano. Disegni, schizzi, dipinti, taccuini, ma anche attrezzature da viaggio più o meno curiose, kit da disegno, binocoli pieghevoli, testimonianze della storia del turismo d'arte nel nostro paese. C'è poi la collezione stabile, che è di rilievo anche al di là del suo pezzo più pregiato, un ritratto virile riconosciuto da qualche anno come opera di Caravaggio. Con le opere di rinomati maestri del senese come il Sodoma e il Beccafumi e la curiosità di una serie di non mediocri paesaggi dipinti da Pietro Calamandrei, troviamo, infatti, un interesse raro anche nelle raccolte di ritrattistica che sovente occupano pareti delle nostre pinacoteche senza particolari pregi. Non che in questo caso si tratti di capolavori, tuttavia questo repertorio vivace di visi non belli ma espressivi lascia il segno, come l'arcigna robusta matrona, signore dal gran naso e dagli occhi tristi o, viceversa dai tratti etruschi ravvivati da un guizzo arguto nello sguardo. Sembra, quindi, proprio una buona idea esporre, nel piano interrato, omaggi fotografici contemporanei ad alcune delle più significative opere della pinacoteca, omaggi che, comunque, più che nello spirito dei volti colpiscono nei casi più felici per lo studio delle luci dal pennello all'obbiettivo.

Per fare, infine, due passi fuori dalle mura, niente di meglio che visitare il tempio di San Biagio, capolavoro dell'architettura rinascimentale riscaldato dall'uso di un marmo ambrato particolarmente suggestivo nella consistenza e nel colore. L'equilibrio geometrico dei volumi è impreziosito dal gioco di luci e ombre fra finestre e superfici, nell'incantevole paesaggio che circonda il prato dove troneggia il tempio. A tale trionfo dell'architettura umanista, direttamente ispirata a Vitruvio, fra da curioso contraltare il retroterra popolare che vuole nel sito, antica sede di un santuario mariano di cui si conserva un'immagine ritenuta miracolosa, il teatro di prodigi d'ogni sorta, anche a tinte particolarmente forti e fosche. E nella sagrestia le leggende anche truci, come quella della donna incinta sventrata dal marito geloso e salvata dalla Vergine, si mescolano all'esposizione di volumi d'ispirazione razionale e umanistica.

foto Roberta Pedrotti

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