L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Forse è questa la felicità

 di Michele Olivieri

Per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano, l’allestimento di successo firmato da Wayne McGregor per il Royal Ballet, racconta l’universo letterario e umano di una delle scrittrici più originali del XX secolo. La creazione è ispirata a tre romanzi di Virginia Woolf ma anche a lettere, saggi, diari. Lo spettacolo ha condotto il coreografo Wayne McGregor a vincere il Critics’ Circle Award per la migliore coreografia classica e il suo secondo Olivier Award. All’étoile internazionale Alessandra Ferri, protagonista al fianco del Principal Dancer Federico Bonelli, lo spettacolo le è valso il suo secondo Olivier Award. A dirigere la musica di Max Richter il Maestro Koen Kessels in una nuovissima collaborazione con il Balletto scaligero diretto da Frédéric Olivieri.

MILANO, 10 aprile 2019 – Questo è uno di quei spettacoli in cui si esercita una forza di attrazione particolarmente intensa, perché è impossibile allentare l’attenzione, necessita sorseggiare ogni singolo gesto, ogni sfumatura, ogni immagine creata dal coreografo sulle parole dell’evoluta scrittrice inglese. Nei tre pezzi portati in scena i pensieri, le impressioni, le riflessioni lasciate in eredità a fine spettacolo sono l’alternanza di una presa di coscienza continua, come l’incedere – con i suoi intensi protagonisti – che trascina ogni cosa. Un intreccio che si narra fino all’ultimo movimento, un qualcosa che ti riempie e ti svuota; è una lunga poesia la quale scorre nelle vene per fare a pezzi l’esistenza e ricostruirla in armoniche forme che timbrano mente e sentimento.

Alessandra Ferri riesce a tratteggiare ogni sfaccettatura di una interiorità, di un proprio vissuto, regalando una scia emotiva del pensiero woolfiano. Questa danza è una crescita perpetua, per chi la guarda e per chi la balla, l’approccio alla tecnica di McGregor non è mai scontato, soprattutto nell’uso dello spazio e del corpo, è un lento lasciarsi andare a nuovi vocabolari, è uno sbocciare con inedita energia.

Il primo dei tre atti in programma I now, I then (ispirato a Mrs Dalloway) è una pagina estremamente intima e di spessore personale. Il secondo Becomings (ispirato a Orlando) è una storia che attraversa i secoli, basata sulla follia. Il terzo Tuesday (ispirato a The Waves) è uno struggente requiem che mediante l’elemento dell’acqua purificatrice porta alla pace, a una quiete raggiunta ed eterna.

Non ci sono risposte o attese sbagliate nel lavoro di McGregor, è una totale apertura alla creatività, un artista alquanto generoso con i suoi esecutori ritrovando in loro un equilibrio tra regola, interpretazione e soprattutto interiorizzazione. La musica si riallaccia al tema letterario che gira su stesso, infondendo un sentimento euritmico, rimanendo così imprigionati dalla partitura intrinseca, ottimamente eseguita dall’Orchestra del Teatro alla Scala sotto la guida sicura del Maestro Koen Kessels. Una musica, nata dal movimento minimalista, che rivela tutta la personalità del compositore Max Richter con uno stile basato sulla riduzione graduale dei parametri del suono i quali vengono fatti decadere fino al loro annullamento per giungere a una struttura capace di concepire riflessioni filosofiche e concordanti.

Nello specifico in I now, I then è particolarmente apprezzabile il modo in cui, da una singola azione, ci si imbatte in un pensiero e da lì in una emozione del passato. La lettura di questo quadro coreografico parte dalla protagonista e spazia poi a tutte le altre figure di sostegno, senza tralasciare mai lo sfondo con le sue ombre e i suoi suoni, un’opera dove la Woolf affronta temi scottanti e al contempo legati alla sua vita. Wayne restituisce le pagine letterarie con stile asciutto, intenso, ben penetrante, sicuramente innovativo nel dare anima e respiro all’esistenza dei protagonisti, riuscendo a seguirli, spogliandoli e rivestendoli con una singolarità caratteriale, diventando perciò l’alter ego della scrittrice, sentendone appieno i limiti e le insoddisfazioni, elaborandone le scelte coreografiche che perfettamente rappresentano il teatro della vita.

La creazione intermedia Becomings è un perfetto esempio sull’arte di comporre le figure armonizzandole con la musica, dove il coreografo si diverte a provare fresche soluzioni della danza classica-accademica articolate sull’originalità della trama, utilizzando forme espressive e sistemi di diffusione alternativi rispetto a quelli usuali, caratterizzata da un atteggiamento ideologico e sperimentale nel senso di attitudine. L’aspetto che colpisce maggiormente è la capacità di McGregor nel variare il suo stile narrativo a seconda del momento storico della trattazione.

Il terzo pezzo The waves è commovente, di struggente bellezza. Ogni passaggio è un piccolo capolavoro di cesello. L’essenza di Virginia Woolf si racconta con un afflato e una profondità sorprendenti che toccano e scuotono quel principio vitale dell’uomo di cui si costituisce la parte immateriale. La comprensione dell’intera produzione è impegnativa, però McGregor non abbandona mai il suo pubblico, gli fornisce le chiavi utili alla lettura, motivando i danzatori all’interpretazione idonea.

Alessandra Ferri e Federico Bonelli non si limitano a usare gli stessi colori, grazie a McGregor scoprono nuovi temi e nuove tinte. I ruoli richiedono toni cupi e malinconici, e in altri casi ironici e leggeri: elementi difficili da combinare insieme, elementi che necessitano mestiere per chi li concepisce ma altrettanto mestiere per chi li esegue. In coppia sanno restituire il proprio essere artisti con un’analisi del dettaglio ed uno spaccato del proprio vissuto, suscitando l’immagine dello scorrere. La Ferri, tecnicamente precisa nel dare forma lirica alla composizione, cattura con una mirante ed estrema essenzialità. Federico Bonelli risoluto e prestante, dona un virtuosismo raffinato con pregevole gusto per le linee ben definite.

Ogni personaggio è un suono inizialmente puro, con una sola frequenza, che, via via che la narrazione scorre, si arricchisce di simmetrie sempre più estese. Woolf Works è il più sperimentale e affascinante lavoro di McGregor - produzione non a caso pluripremiata - il suo esperimento più rischioso ma al contempo il più meditativo. Il coreografo di Stockport coinvolge lo spettatore permettendo a lui un accesso originale ad una dimensione temporale, dove tutto si perde e dove esistono solo i pensieri burrascosi dei protagonisti, ordinati e proposti con fragile dolcezza.

Nella sua totalità la produzione nata per il Royal Ballet delinea il tempo, un tempo che passa e che scorre via, trascinandosi chi ci lascia e chi ci abbandona. C’è tanta poesia e assoluta modernità nell’azione scenica, visiva, estetica. Al corpo di ballo scaligero è affidato il compito di esprimere, e contraddire, il concetto di individualità della forma che si plasma ad un contatto continuo con gli altri esecutori: tutti, in modo diverso, incarnano tale consapevolezza, ogni azione si eleva sulle altre e si fa mezzo principale diventando un flusso.

Sorprende la moltitudine di temi che si possono trovare, uno spettacolo sugli affetti, sulla bellezza, sulla giovinezza, sulla perdita delle illusioni, sulla morte e sulla precarietà degli esseri umani; uno spettacolo che è riflessione sulla vita, sul suo adattamento alla vita stessa. Wayne McGregor inserisce tutti questi temi semplicemente sfiorandoli con delicatezza; così se all’apparenza lo scaturire può sembrare l’unico modo per entrare nella mente dei personaggi, una visione più attenta permette di osservare il piccolo - seppur mirabile - affresco della vita.

Una nota di merito è indirizzata a Christian Fagetti, Mick Zeni, Martina Arduino, Nicoletta Manni, Virna Toppi, Claudio Coviello, Timofej Andrijashenko, Gabriele Corrado, Nicola Del Freo, Valerio Lunadei, Marco Agostino, Caterina Bianchi, Agnese Di Clemente, Maria Celeste Losa, danzatori di ottimo temperamento in cui predomina il valore lirico, inteso come pura soggettività rilevando al contempo una complicità. Senza dimenticare il Maestro Frédéric Olivieri che ha permesso di esplorare inaspettate vie alla formazione coreutica d’insieme da lui diretta, in cui i pieni e i vuoti della produzione letteraria di Virginia Woolf restituiscono inesauribili vibrazioni.

Da sottolineare il lavoro del team tecnico, a partire da quello scenografico di Ciguë, We Not I, Wayne McGregor, a quello costumistico di Moritz Junge, alle luci di Lucy Carter, al film design di Ravi Deepres, al sound design di Chris Ekers, al make-up design di Kabuki, e alla drammaturgia firmata da Uzma Hameed, per aver saputo suggerire immagini visive, sonore ed estetiche con estrosa evocazione, una suggestione operata sulla memoria, sulla fantasia, sulla consapevolezza ma anche su elementi alla moda appartenenti al nostro tempo.

In conclusione Woolf Works prende le sembianze di un album segreto da scoprire e da sfogliare con cura; la gestualità costruisce una sinfonia, dove la danza si tramuta in una via di fuga dall’instabile natura emotiva, seppur anche per un solo attimo di vita.

foto Brescia Amisano


 

 

 
 
 

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