L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Da Vienna a Vienna a Milano

di Roberta Pedrotti

Nella stessa giornata si apre la stagione cameristica del Teatro alla Scala e si tiene il concerto di Natale dei Pomeriggi musicali: teatri, pubblici, programmi diversi per un viaggio festoso dalla Vienna di Schubert a quella degli Strauss.

MILANO, 19 dicembre 2021 - L'aria è assai fredda alle soglie del solstizio, ma il cielo terso e il sole ristora. L'ultima domenica prima di Natale, a Milano, è tutto un richiamo di sirene teatrali. C'è la recita pomeridiana di Macbeth alla Scala, ambitissima dai melomani itineranti; c'è la riapertura del Lirico; c'è la proiezione, all'Auditorium della Verdi, del film opera Gianni Schicchi di Michieletto... Non c'è che l'imbarazzo della scelta, in questa cornucopia sotto l'albero della Galleria.

Districandoci fra una tentazione e l'altra, seguiamo la via festiva per eccellenza: quella di Vienna, eccezionalmente all'ombra della Madonnina.

I riflettori di Sant'Ambrogio non devono far dimenticare che la Scala non ha solo la stagione lirica, non solo i concerti sinfonici (aperti il 25 novembre da Christian Thielemann), i recital di canto (primo nome in cartellone, Ildar Abdrazakov il 20 dicembre) e il balletto (inaugurazione differita dal 15 al 21 dicembre). C'è anche una stagione cameristica, riportata nel suo spazio ideale del ridotto Toscanini proprio a partire dal 19 dicembre. Sono le undici del mattino e dalle tende del foyer filtrano i raggi del sole a mescolarsi con la luce bianca dei lampadari di cristallo, fra l'oro e l'avorio del salone neoclassico. Il pubblico è folto, i controlli sanitari lo mettono in evidenza con la fila ordinata che si forma all'ingresso. Varie età, varie nazionalità; stile sobrio, anche informale; tanta concentrazione, una felicità silenziosa condivisa: la musica da camera è intimità fra i musicisti e fra i musicisti e il pubblico, vive in spazi raccolti, non muove masse ma è comunque agli antipodi rispetto all'isolamento imposto da una pandemia. Tornare a sentire Schubert fianco a fianco, fra un riflesso di cristallo, un fregio d'oro e un raggio di sole è un meraviglioso regalo di Natale.

Fra i mille e uno motivi per cui una stagione di musica da camera è importante in un grande teatro – e per cui questa mattinata è un meraviglioso regalo – c'è il fatto che il valore di un'orchestra di misura e si consolida anche attraverso la sua attività in piccole formazioni, il suonare insieme in duo, trio o poco più cercando un colore e un respiro comune. Prossima a compiere i suoi primi cento anni, l'orchestra della Scala onora il traguardo in grandissima forma: Elena Faccani (violino), Matteo Amadasi (viola) e Massimiliano Tisserant (violoncello) esordiscono con il Trio per archi in si bemolle maggiore D. 471, un grazioso lavoro giovanile in cui però già si ammira l'affiatamento, il senso del canto strumentale con un colore caldo e corposo così ben misurato nella sonorità del Ridotto. A loro si uniscono poi il violinista Francesco De Angelis, Francesco Siragusa al contrabbasso, Fabrizio Meloni al clarinetto, Valentino Zucchiatti al fagotto e Danilo Stagni al corno per l'Ottetto in fa maggiore D. 803. Partitura di ben altro respiro e impegno per il sofisticato cesello timbrico, per i rapporti dialettici di un gioco strumentale scaltrito e variegato, che i professori scaligeri dipanano con naturalezza complice. La consuetudine con le voci e il teatro, l'attività intensa fianco a fianco fra palco e buca, sollecitati da diversi repertori portano i loro frutti evidenti in termini di qualità e impasto del suono, di fraseggio e affinamento dinamico.

Dopo un'ora e un quarto in cui non c'è spazio che per Schubert e per la gioia di condividerlo così come deve essere, negli spazi e nei luoghi ideali per questo repertorio, spiace solo che non ci sia tempo per festeggiare ancora con un bis. Ma la macchina organizzativa della Scala ha incastri definiti al secondo: mancano poco più di due ore alla recita di Macbeth, la sala va sanificata per l'incontro di presentazione. Via, allora, alla prossima tappa.

Una passeggiata in centro, un pranzetto in compagnia, viene presto il momento di costeggiare il Castello Sforzesco e dirigersi verso il Teatro Dal Verme, sede principale dei concerti dei Pomeriggi Musicali. L'orchestra milanese, attivissima e per questo insignita anche del premio Abbiati lo scorso anno, torna al tradizionale concerto delle feste, natalizio del nome, ma ispirato al capodanno viennese nel programma. Due turni in una sola giornata (alle 16 e alle 19) non sono uno scherzo, tanto più che queste due date nella stagione ufficiale sono circondate da una serie di appuntamenti fuori sede. Un vero tour de force, ché se all'ascolto le musiche della famiglia Strauss si tendono ad associare al disimpegno, nella pratica la questione è ben diversa, e per le esigenze tecniche, e per lo spirito peculiare di un repertorio che non può esser preso sottogamba. Per fortuna, a vestire i panni di un Willi Boskovsky del lombardo-veneto c'è, per il terzo anno consecutivo, Alessandro Bonato, oltre che direttore dalle virtù ormai note, appassionato cultore delle danze viennesi. Innanzitutto, si mette in gioco in quella componente ludica e teatrale che in questi casi è sostanza e non accessorio, ma deve essere realizzata con la giusta misura (nello specifico, attrezzi da capotreno e cornetta suonata durante la polka schnell Vergnügungszug, Treno dei divertimenti). E siccome senza regole non si può giocare, si avverte un controllo implacato di un'orchestra che, a ranghi ridotti e distanziata, non ha sempre facilità nel trovare e mantenere pienezza e agilità. La polka deve essere ed è diversa dalla polka schnell e dalla polka française, i walzer hanno la loro anima, l'ouverture dalla Fledermaus la sua, ogni pezzo ha il suo carattere e non si dica che “le musiche degli Strauss sono tutte uguali”, perché, sì, si basano sugli schemi preordinati delle danze, ma li sviluppano con uno spirito cangiante e ineffabile, per chi lo sa apprezzare. E, a dispetto magari di un primo oboe un po' recalcitrante, lo spirito c'è, sia nell'agile ironia, sia nel senso del rubato “con garbo e a tempo” nel Kaiserwalzer e in An der schönen blauen Donau, sottratti all'idea della routine.

Che, poi, questo repertorio non sia da sottovalutare lo si ribadisce ad un pubblico attentissimo nel brindisi che segue il primo turno pomeridiano. Fra un calice di prosecco e una fetta di panettone scopriamo una delle più belle iniziative dei Pomeriggi musicali, incontri fra un gruppo di studenti universitari under30 ormai affiatati frequentatori dei concerti, i direttori ed eventuali solisti. I ragazzi ascoltano, fanno domande spontanee e non proprio scontate, si trovano perfino a improvvisare una lezione di walzer e minuetto, con il maestro Bonato che spiega l'evoluzione delle danze nella società con la comunicativa coinvolgente di chi è sì un coetaneo per molti versi alla apri degli interlocutori, ma è anche un musicista con tutta l'autorevolezza della competenza.

Vuotati ben bene i calici come avrebbe prescritto il principe Orlofsky, si torna in sala per il bis. Cambio di pubblico, con un avvicendamento generazionale, qualche bambino ma meno giovani, per il concerto delle diciannove, in cui l'orchestra sembra più calda ed energica e i tempi consentono anche due bis. La Radetzky-Marsch si era già ascoltata nel pomeriggio (e dalla conversazione con gli studenti si apprende che nelle varie tappe collaterali del concerto c'è stato chi ha ancora mostrato meneghino rancore verso il repressore delle Cinque giornate, riversandolo anche sull'incolpevole lavoro festivo di papà Strauss), ma ora c'è spazio per quella meraviglia che è la Maskenball-Quadrille di Johann Strauss figlio. Questa davvero, alla sua prima esecuzione milanese, fece infuriare melomani permalosi che si sentirono presi in giro, ma non Verdi, che anzi, pare, apprezzò. D'altra parte, Un ballo in maschera è intessuto di temi di danza, le fantasie operistiche hanno una lunga e florida tradizione, l'indiavolato inseguirsi di melodie verdiane trasformate in ritmi viennesi è un omaggio irresistibile. Per chi lo sappia cogliere, naturalmente, e comprendere l'invenzione sempre fedele a sé stessa della famiglia Strauss.

Intanto, è scesa la sera, il Castello Sforzesco è illuminato, è ora di partire. Forse è presto per dire “Prosit Neujahr”, però, dopo questa giornata viennese a Milano, da Schubert a Strauss, lo diciamo lo stesso.

 

 

 
 
 

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