L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ciak, si canta

di Antonino Trotta

Non lascia segni particolari, nonostante l’assenza di criticità insormontabili, La fanciulla del West in scena al Teatro Regio di Torino: il Coro fa un gran ben lavoro mentre sul palco, tra prese dirette e dietro le quinte, non sempre tornano i conti.

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Torino, 28 marzo 2024 – La vocazione cinematografica della produzione pucciniana è arcinota: direttori, registi, persino cantanti/attori, nell’avvicinarsi al magnifico mondo della poetica del genio lucchese molto spesso individuano nell’universo del grande schermo, tanto per i primi piani di cui si avvale la scrittura musicale quanto per la franchezza o l’immediatezza con cui si dipana il testo, forti similitudini nel linguaggio e nella grammatica adoperati che rafforzano l’idea di un Puccini per certi aspetti avanguardista. La fanciulla del West, ad esempio, ne è prova lampante: l’ambientazione western, l’abbandono dell’involo melodico in favore di un interminabile canto di conversazione che raccoglie e proietta, senza distinzione, i pensieri più disparati dei protagonisti, persino il finale lieto che in Puccini è l’autentico colpo di scena, denotato all’attenzione rivolta a quel genere che lì a poco detronizzerà l’opera nell’intrattenimento di massa.

Con queste premesse, l’idea – non nuovissima, a essere onesti – di Valentina Carrasco di traslare la vicenda di Fanciulla in un set cinematografico, con tanto di prese dirette, maxischermo, quinte, catering e sala trucco, potrebbe avere suo perché e di fatto, specie quando la narrazione stringe l’inquadratura sui protagonisti, quel gioco metateatrale, anzi metacinematografico su cui verte la regia riesce a confezionare momenti di innegabile fascino, anche grazie all’ottimo lavoro di costumisti (Silvia Aymonino) e scenografi (Carles Berga e Peter van Praet). Tuttavia, non tutto l’intreccio drammaturgico appare risolto con agio (le scene di massa) e quando la troupe si allontana per banchettare o far pausa, risulta più complicato decifrare ciò che effettivamente si sta guardando. Va sottolineato, però, che lo spettacolo è costruito dalla Carrasco con assoluta proprietà di mezzi e contezza di mestiere e pur con un taglio che può destare perplessità, la bontà della realizzazione della messinscena in sé rimane assolutamente fuori discussione.

Anche Francesco Ivan Ciampa, alla guida dell’eccellente Orchestra del Teatro Regio di Torino, in buca procede più con mestiere che con autentica ispirazione. Una partitura che traccia l’elettrocardiogramma dell’opera meriterebbe qualche nuance timbrica in più, qualche dinamica più teatralmente articolata; Ciampa, invece, tende a muoversi tra il mezzo forte e il fortissimo, sovrastando spesso le voci in scena.

Voci che, a onor del vero, si fanno ammirare più per professionalità che per eccezionalità della prova. L’americana Jennifer Rowley, ad esempio, viene discretamente a capo di una parte che esigerebbe volume ed estensione, senza avere né l’uno né l’altro. Al netto del registro grave fioco e di quello acuto talvolta problematico, la Rowley sa creare una Minnie tutto sommato convincente, volitiva e ardimentosa nel fraseggio, sensuale delle screziature pastose del timbro. Molto valido, invece, è parso Roberto Aronica nei panni di Dick Johnson, che affronta la parte con un canto gagliardo e sicuro che qui e là sopperisce all’interpretazione un po' generica del discutibile galantuomo. Gabriele Viviani, con timbro statuario e volume ragguardevole, disegna uno sceriffo assai arcigno, forse un po' unilaterale nell’aggressività con cui impersona Jack Rance. Tra gli assidui frequentatori della Polka, poi, si fanno notare il Jake Wallace di Gustavo Castillo e il Sonora di Filippo Morace. Completano correttamente il cast Francesco Pittari (Nick), Paolo Battaglia (Ashby), Cristiano Olivieri (Trin), Eduardo Martínez (Sid), Alessio Verna (Bello e Harry), Enrico Maria Piazza (Joe), Giuseppe Esposito (Happy), Tyler Zimmerman (Larkens), Ksenia Chubunova (Wowkle), Adriano Gramigni (José Castro) e Alejandro Escobar (Un postiglione). Ottima la prova del Coro, autentico e finissimo protagonista, istruito dal maestro Ulisse Trabacchin.

Serata non particolarmente gremita, ma applausi scroscianti per tutti.

 

 

 
 
 

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