L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le guerre stellari della Verdi

 di Pietro Gandetto

Lo space shuttle dell'Orchestra Verdi traghetta il pubblico in un viaggio musicale attraverso la galassia di Star Wars.

MILANO, 3 settembre 2015 - I successi non arrivano mai per caso. E quando Guerre Stellari uscì nelle sale cinematografiche il 25 maggio del 1977 nessuno avrebbe potuto immaginare il trionfo di questa serie e delle sue musiche. Se è vero che l’idea del regista e produttore George Lucas era quella di una colonna sonora che richiamasse gli stilemi del lessico operistico, il compositore americano John Williams è andato ben oltre a quest’obiettivo. Eh sì, perché, ascoltando questa musica, il primo compositore che mi viene in mente è il Bernstein dei mistici Chichester Psalms. Ma poi anche Stravinsky, Bartok, Dvorak e, soprattutto, tanto Ravel. In alcuni momenti, si sente anche un’atmosfera da concerti per pianoforte e orchestra del Beethoven più romantico. È vero, non mancano quei riferimenti classici che rendono la partitura di Williams, a tratti, “derivata”, ma non manca neppure quella cifra stilistica assolutamente riconoscibile e autentica, che la rende inconfondibile.

È una musica addensante, epica, visionaria. Si dice che in Star Wars siano le immagini del film a far da colonna visiva alla musica. E non l’opposto. Non è un’assurdità, perché l’autonomia del linguaggio musicale e della narrazione sinfonica di questi brani sono tali da consentirne una fruizione immaginativa incontaminata, anche da parte di chi non ha visto Guerre Stellari. Ognuno ci vede quello che vuole, perché è una musica che viaggia da sola, in espansione, come l’universo. Ed è una musica che resta, di quelle che ti porti a casa dopo la serata, fino a quando vai a dormire.

Il programma, in scena anche stasera [6 settembre ndr], prevede una selezione di alcuni episodi della saga di Star Wars, con l’esecuzione di circa 15 brani sinfonici, alcuni accompagnati dal coro. La serata è sembrata divisa in due. Siamo sinceri: nella prima parte c’è stata po’ di confusione. Nel Main Title iniziale, soprattutto, le percussioni erano un po’ sganciate dall’orchestra e i volumi degli ottoni a tratti eccessivi, mentre altri strumenti, come il pianoforte o i fiati, quasi impercettibili. Dopo l’interminabile intervallo (forse anche più di 30 minuti?), la qualità è andata crescendo. L’orchestra è diventata più compatta e omogenea nelle dinamiche, nelle agogiche e nei colori. I ritmi e gli attacchi più a fuoco.

Altalenante la direzione del pianista Simone Pedroni, in questo singolare debutto come direttore. Accanto a momenti in cui la direzione è parsa in grado di governare la partitura, senz’altro non agevole, si è assistito a momenti meno convincenti, in cui sono mancati il giusto carattere, soprattutto nell’incalzare ritmica, e la dovuta omogeneità tra le sezioni orchestrali.

Senza infamia e senza lode il coro diretto da Erina Gambarini. L’intonazione era buona. Ma non si è avvertito quel senso epico e solenne che ci si aspettava da un repertorio di questo tipo. Soprattutto nel Duel of the Fates, dove il coro si fa portavoce della tragicità dei versi ispirati al poema gaelico, non è arrivato alcun senso di magia e sacralità.

L’impatto emotivo della serata è stato comunque importante, anche in considerazione del forte coinvolgimento del pubblico composto da grandi fan della saga cinematografica, che hanno tributato dieci minuti di applausi a fine spettacolo. Un bis, la Marcia Imperiale, con lo scenografico ingresso in sala di due gruppi di figuranti vestiti in costumi Star Wars.


 

 

 
 
 

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