L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Barbiere a libro

di Antonino Trotta

Al Teatro Coccia di Novara va in scena un nuovo allestimento di Il Barbiere di Siviglia: il cast ottimamente assortito in cui svetta l’eccellente Rosina di Aya Wakizono, la bella concertazione di Christopher Franklin e il godibilissimo spettacolo pensato dal terzetto Jona-Capobianco-Lumes concorrono a una serata di meritato successo.

Novara, 12 maggio 2023 – Diciamolo subito, il nuovo Barbiere di Siviglia interamente prodotto dal Teatro Coccia di Novara è un Barbiere di tradizione: di tradizione sono i taglietti e i taglioni alla partitura, compresa l’aria di Almaviva sottratta a un tenore con le carte in regola per cantarla; di tradizione è tutto sommato la regia, afferente all’idea del Rossini iridescente, del Rossini ad orologeria dei magnifici allestimenti di Ponnelle; di tradizione è pure il taglio della lettura musicale e dei personaggi, marionette di un teatro comico senza pari. Tradizione, però, non significa automaticamente né male né bene. Dipende, si scopre l’acqua calda, da come si è lavorato. E qui a Novara s’è lavorato, ad avviso di chi scrive, molto molto bene.

Lo spettacolo confezionato da Alberto Jona trova innanzitutto negli sgargianti costumi di Silvia Lumes e nella bellissima scenografia creata da Matteo Capobianco innegabili punti di forza: posta su di un girevole, la casa di Bartolo che si apre a libro per rivelare interni costruiti dallo scenografo con grande classe, diventa il perno di una narrazione stralunata sì ma comunque sorvegliata dal buon gusto. Jona, di fatto, ben si guarda dall’imbottire il racconto con fesserie e gag da cinepanettone – piaga del Rossini da battaglia – e imprime allo spettacolo un elegante senso della misura: elegante, ad esempio, è la scelta di affidare Ambrogio all’attore Edoardo Sgariglia Moresi che con aggraziate movenze da danzatore dona al ruolo un peso tutt’altro che trascurabile nell’economia della messinscena; garbato, ancora, è l’utilizzo sapiente dei mimi, ora ingranaggi fondamentali della macchina scenica stessa, ora attori impegnati in momenti, come quelli del temporale, montati con pregevole maestria.

Pregevole maestria si ravvisa pure in buca, dove Christopher Franklin dirige i complessi dell’Orchestra Filarmonica Italiana con pulizia e nitidezza. Pur optando per i tempi svelti che ben sposano l’idea del Rossini esplosivo, Franklin sa assicurare al palcoscenico un ottimo sostegno e al pubblico un’ampia varietà di colori e accenti che permette di godersi la scrittura rossiniana non solo nella sua scarica energizzante ma anche nella sua sublime raffinatezza. Ottima, poi, è la prova del Coro As.Li.Co istruito dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina.

Il cast è la ciliegina sulla torta. Aya Wakizono è una rossiniana di vaglia e canta una Rosina di vaglia. Ammiccante, vispa, spigliata, Wakizono domina il ruolo sfoggiando un timbro morbidissimo, una tecnica agguerrita, agilità impertinenti e una notevole sensibilità musicale: fraseggia a regola d’arte, varia il variabile, interpreta e infine incanta. Al suo fianco, Emmanuel Franco è chiamato al cimento nei panni del protagonista: irresistibile sulla scena e scoppiettante nel canto, forte di uno strumento brillante e ben adoprato, dà vita a un Figaro che è un’autentica rock star. Non è da meno Chuan Wang che al conte d’Almaviva non dona solo acuti e agilità, ma anche una linea sfumata, elastica, appoggiata, e un porgere decisamente fragrante che è balsamo per le orecchie: peccato gli sia stata tagliata l’aria, ne avremmo sentito delle belle. Michele Govi è un Don Bartolo di esperienza evidente, tanto nella risoluzione scenica quanto in quella vocale del perfido tutore. Abramo Rosalen è un Don Basilio dalla voce autorevole, Giovanna Donadini una Berta accattivante. Molto valido, infine, Matteo Mollica nel duplice ruolo di Fiorello/Ufficiale.

La serata è un successo. E il successo è meritato.


 

 

 
 
 

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