L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Panismo musicale

di Stefano Ceccarelli

Lionel Bringuier dirige un concerto ‘panico’ che si divide fra Francis Poulenc, Concerto in re minore per due pianoforti e orchestra , e Maurice Ravel, Daphnis et Chloé . Istrionici esecutori del concerto di Poulenc sono i pianisti Hyung-ki Joo e Stefano Bollani, che ottengono assieme al direttore un trionfale successo personale.

ROMA, 4 giugno 2023 – Penultimo concerto in cartellone, quello diretto da Lionel Bringuier è un programma che spagina un ‘panico’ dittico: Poulenc e Ravel. Panico, certamente, per l’estetica e l’argomento del celeberrimo Daphnis et Chloé di Ravel, ma anche per l’esuberanza, il turgore melodico del Concerto in re minore per due pianoforti e orchestra di Francis Poulenc, che apre la serata.

Bringuier, che palesa un ottimo feeling con l’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dirige con senso del ritmo, ma anche cantabile tatto, una partitura proteiforme che ha nell’avvicendarsi rapsodico di passaggi ben caratterizzati la sua maggiore ispirazione. L’Allegro non troppo è l’emblema di questo carattere: Hyung-ki Joo e Stefano Bollani dialogano virtuosisticamente, passando da momenti a dir poco elettrici, speditamente virtuosistici, gershwiniani, a passaggi più delicati, come l’ultimo che prelude al Larghetto . Gli interpreti sono straordinari, due veri e propri istrioni del palcoscenico: difatti, è un concerto anche da guardare, godendosi le movenze esuberanti di Bollani contrapposte alle pose ironiche di Hyung-ki Joo. Per ambedue, c’è da notare il controllo perfetto dello strumento, delle dinamiche, come pure dei virtuosismi più arditi, che decollano in aeree verticalità. Il Larghetto è un neoclassico omaggio alla scrittura mozartiana, toccato con delicatezza dai due interpreti e diretto con soffice agogica da Bringuier: ottima la gestione dei vellutati passaggi in dissonanza, che ricordano al pubblico di non trovarsi davanti ad un autore del tardo Settecento. Il mimetismo musicale di Poulenc è, infatti, una sirena talmente efficace da far viaggiare gli ascoltatori fra diverse epoche. Il concerto si chiude con l’altrettanto proteiforme Allegro molto . Anche qui Hyung-ki Joo e Bollani danno vita ad un rutilante rodeo di fantasie percussive, puro virtuosismo, che conduce ad un’oasi centrale, sospesa e delicata, sublime, cui segue una fulminea coda. Il pubblico è in delirio. Inizia, ora, la seconda parte del primo tempo, non dichiarata nel programma. Mi riferisco ai tre bis dei due pianisti. Con irresistibile verve comica da showman , Hyung-ki Joo racconta che il pezzo da lui proposto l’ha scritto per far addormentare l’amato figlioletto: un’acquatica ninna nanna, con una fugace citazione brahmsiana. È la volta, poi, di Bollani, che propone, anche lui, un brano di sua composizione: Ho perduto il mio pappagallino , brano volatile ed aereo, che gioca sull’evocazione della fuga di un pappagallino da una gabbia verso l’azzurro della libertà. Infine, i due si congedano con un pezzo per due pianoforti, la Scaramouche (Brasileira) Op.165b di Darius Milhaud.

Il secondo tempo è interamente dedicato all’esecuzione delle musiche di scena di Daphnis et Chloé composte da Ravel. Balletto quanto mai sofferto a livello di gestazione, Daphnis et Chloé è un ricchissimo, turgido tripudio ad un panismo orchestrale di rara raffinatezza, come solo Ravel sapeva scrivere. I momenti più belli sono proprio l’atto I e III, dove la musica evoca all’inizio il progressivo innamoramento fra i due pastorelli e, alla fine, dopo mille peripezie, il loro dolce ricongiungimento. L’uso atmosferico del coro (magnifica l’esecuzione delle maestranze ceciliane) aumenta il grado di emozionalità dei vari passaggi, talvolta arricchiti da interventi solistici di vari strumenti. Indimenticabile (e reso celebre dalla Suite da esso ricavata) è l’atto III, il cui incipit è una fantasia acquatica di legni, trapunta da archi, che riporta gli spettatori all’atmosfera naturale, bucolica, del I atto. Va dato merito a Bringuier di aver saputo dirigere con perizia, senso dell’agogica e valorizzazione dell’intera tavolozza dei colori una partitura che presenta non poche insidie, prima fra tutte il cristallino equilibrio fra tutti i passaggi, che devono respirare di ritmi propri per essere credibili. Si pensi all’atto II, forse il meno accattivante, ma comunque tutto folate di vento, onde marine, con tanto di apparizione divina (proprio il dio Pan): l’atto dei pirati che rapiscono la fanciulla (tema consueto nel romanzo ellenistico), che dovrà poi ritornare dal suo amato Daphnis. Alla fine, il pubblico applaude calorosamente, decretando il successo della serata.


 

 

 
 
 

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