L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Questi fantasmi!

di Giuseppe Guggino

Se sotto il profilo musicale è una notevole Lucia di Lammermoor quella che Stefano Ranzani concerta al Bellini di Catania con un buon terzetto formato da Maria Grazia Schiavo, Francesco Demuro e Christian Federici, la parte visiva ascrivibile a Giandomenico Vaccari risulta a dir poco dimenticabile.

Catania, 21 aprile 2024. Non merita molte parole il nuovo allestimento di Lucia di Lammermoor che il Teatro Bellini di Catania affida alle cure di Giandomenico Vaccari. Il taglio tradizionale della parte visiva è risolto al ribasso con costumi di magazzino, le scene si riducono a qualche colonna a fascio color antracite su un fondale staticamente videoproiettato, con l’aggravante di un disegno luci dilettantesco. Si potrebbe parlare banalmente di cattiva tradizione se non fosse che, dopo il preludio, Edgardo – novello Angelotti – sbuca dal pozzo nel giardino; né la trovata si rivela isolata, bensì foriera della pressoché costante presenza in scena di alcuni fantasmi (i genitori di Lucia? Lo sposino assassinato?) con trucco-parrucco da famiglia Addams, sicché la regia scivola continuamente nel comico involontario, sugellato dalla nevicata di coriandoli bianchi su “Tu che a Dio spiegasti l'ali”.

Una Lucia che però si apprezza ad occhi chiusi per l’equilibrio della parte musicale ascrivibile in primo luogo all’esperta bacchetta di Stefano Ranzani che da Gianandrea Gavazzeni eredita la grande tradizione italiana nella direzione operistica, tagliando (assai poco) e con criterio, accompagnando con grande sensibilità, lavorando sugli impasti timbrici e sulle scelte agogiche senza particolari guizzi ma con una solidità al giorno d’oggi più che apprezzabile; l’orchestra del Teatro Bellini, sempre molto accurata nel repertorio italiano ottocentesco, e l’ottimo coro istruito da Luigi Petrozziello lo seguono con tangibile affiatamento.

Altrettanta omogeneità si riscontra nel cast – complessivamente notevole – a cominciare da Maria Grazia Schiavo che è una Lucia di estrazione leggera, dalle agilità assai accurate, a cui si coniuga una buona amministrazione dei vari registri, eccettuata qualche occasionale durezza negli acuti più estremi; notevole il successo nella sala quasi sold out al termine della grande scena della follia.

La vocalità di Francesco Demuro, forte di una grana timbrica di prim’ordine e animata da apprezzabili intenzioni interpretative, applicata all’Edgardo donizettiano è viatico per una prova memorabile, se non fosse per quell’eccessiva tendenza ad abbandonarsi ai portamenti che sporca una linea stilistica altrimenti di rilievo.

Notevole anche la bella pasta baritonale dell’Enrico di Christian Federici, già ragguardevole Riccardo nei Puritani catanesi dello scorso settembre, che pecca talvolta di una certa inerzia di fraseggio.

Tra i comprimari si segnalano l’Arturo baldanzoso di Marco Puggioni e l’apprezzabile Alisa di Claudia Ceraulo mentre George Andguladze è Raimondo piuttosto caricaturale e Nicola Pamio è un poco incisivo Normanno.

Per fortuna questi fantasmi popolano solamente il palcoscenico, poiché platea e palchi sono ben gremiti di pubblico che non lesina meritati applausi, sia a scena aperta che alla ribalta finale.


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