L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Le origini della parola musicale

Per esprimere i propri sentimenti in maniera dilettevole e sopraffina, l’essere umano, parallelamente al parlato, si è da sempre interessato alla sfera delle melodie, arrivando a formalizzare veri e propri linguaggi di tipo musicale, caratterizzati da forte eterogenia temporale e geografico-culturale, pertanto non si può individuare un’unica radice generatrice e nemmeno dare nette delimitazioni (tale ricerca ci obbliga a indagare periodi assai remoti, che per questa ragione sfuggono ad ogni possibile verifica attuale). È, però, possibile affermare che l’uomo primitivo abbia conosciuto la musica vocale ancor prima di quella strumentale, e ne è riprova il fatto che alcune società tribali tutt’oggi non conoscono l’uso di strumenti. L’innatismo della voce non presuppone, come invece gli strumenti musicali, le abilità artigianali tipiche di società perfettamente organizzate, indubbiamente antiche, ma non primitive. Difatti, solo nel tardo paleolitico nascono strumenti musicali in qualità di prolungamento di quello che la natura aveva già concesso agli esseri umani: sorte di tubi costituiscono i primissimi strumenti a fiato, la percussione di pezzi di legno o metallo sostituisce il battito delle mani e del corpo, infine, pizzicando gli archi da caccia, nascono i cordofoni.

Rousseau è uno dei primi pensatori a evidenziare un ulte­riore tratto rilevante del cantato: nel suo saggio sull’origine delle lingue segnala che esso imita gli accenti del discorso non intonato, parte da esso per superarlo, risultando anche maggiormente incisivo ri­spetto a quest’ultimo. Il vantaggio del canto sta nel non essere dipendente o originato dal parlato, oltre che dalla possibilità di emancipazione da sussidi fisici. Funge da punto di contatto prosodicamente assoluto fra musica e comunicazione parlata. Anzi, è una sintesi di questi due universi, ma, storicamente, da cosa scaturisce? La parola musicale formalizzata nasce in seno alle funzioni religiose delle comunità antiche: il canto tocca i cuori, contribuendo a un avvicinamento tra il fedele e il divino mediante un profondo simbolismo (comparabile, in ambito cristiano, alle parabole; volendo andare ancor più indietro nel tempo, possiamo paragonare la carica allegorica del canto ai messaggi dei miti greci e latini). Diffondere una morale ricorrendo a metafore la rende accessibile a tutti, allo stesso modo opera la parola cantata. Le credenze primitive sono impregnate di esoterismo e la musica connessa ai riti ne assorbe conseguentemente la potenzialità magica; due sono le tipologie di rituale: manuale e orale, basato esclusivamente sull’istinto e innatismo vocale. Mentre nel primo caso sono presupposte abilità artigianali pari a quelle necessarie alla costruzione di strumenti musicali, la voce è messa a disposizione dell’uomo dalla natura e per farla funzionare è sufficiente l’istinto: per questa ragione, i riti orali sono i più antichi e radicati, e per orali intendiamo cantati. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, prima del parlato abbiamo il cantato. Le formule magiche furono dapprima cantate, solo successivamente si introdusse la recitazione e l’iscrizione su amuleti. Naturalmente il canto magico primitivo è ancora slegato da un rigoroso sistema musicale (per ragioni di contestualizzazione, sbaglieremmo se volessimo ingabbiarlo nelle odierne teorie musicali; non cadremmo solo nell’anacronismo, ne depaupereremmo l’essenza), anche se, in quanto attività inscindibile dalla vita comunitaria, è comunque subordinato a regolamentazioni proprie: ripetitività, ritmicità, dinamiche che distinguono suoni forti da altri più deboli, erano i principi costanti e basilari. Lo scopo era favorire la memorizzazione di testi spesso inintelligibili: l’importante non era la parola in sé quanto la sua teatralizzazione. Il senso del testo doveva giungere alla divinità e non essere compreso dai recitanti, che dovevano concentrarsi esclusivamente sulla carica emotiva e sulla ritualità. Inizialmente, quindi, il ruolo del canto magico era utilitaristico, non dilettevole: affinché il rito fosse efficace, andava eseguito con minuziosa attenzione e precisione, senza errori di intonazione o ritmo. Anche se non possiamo ancora parlare di professionalità, è innegabile la cura con cui sciamani e adepti vi si dedicavano: l’assenza di determinate codifiche e il filtro dei nostri occhi moderni non devono portarci a ignorare l’importanza di codesti fenomeni primigeni, poiché in essi scorgiamo sentimenti e intenzioni già fortemente avanzati, preludi a futuri sviluppi.

La voce dell’unicità
La corporeità vocale
 
Dal canto magico all’arte

Bibliografia

 

 

 
 
 

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