L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'indigesto minestrone

 di Andrea R. G. Pedrotti

Con palesi mende tecniche, carenze organizzative e artistiche, non funziona quasi nulla nella serata dal vivo Lo spettacolo sta per iniziare, prodotta da Canale 5 per presentare la stagione estiva dell'Arena di Verona. Si spera solo, in vista della trasmissione del 3 giugno, che regia e montaggio possano trasformare l'indigesto minestrone d'ingredienti mal assortiti, di diversi generi e qualità, in uno spettacolo televisivo almeno sensato.

VERONA, 1 giugno 2015 - Tutta la serata del primo giugno all'Arena di Verona ha dato l'idea di essere stata preparata male, o comunque molto di fretta. Possiamo ritirare l'accredito all'interno del solito cancello e siamo e saremo sempre grati alla professionalità e alla solerzia dell'ufficio stampa areniano, ma i problemi si sono visti già da lì e non per colpa del nostro prezioso punto di riferimento. Sul biglietto era stampato un numero di cancello errato e ci hanno fatto entrare dall'ingresso 13, anziché dall'8, come accade ogni volta, mandandoci verso le gallerie. Meglio sarebbe andata se le maschere fossero state di più e di maggior esperienza - infatti mancavano tutti i volti noti del Filarmonico -: noi e altri non saremmo stati quasi abbandonati alla ricerca del nostro posto. Fossimo stati una cinquantina di presenti, non ci sarebbero stati problemi, ma quando le persone diventano circa dodicimila, qualche difficoltà comincia a crearsi.

L'idea della produzione, e non tanto della Fondazione, era quella di mostrare al pubblico reale e mediatico i punti di contatto fra la musica lirica e i generi più moderni. Ci spiace dire che, almeno in Arena, l'operazione è fallita. Come dichiarato dallo stesso Paolo Bonolis, che conduceva la serata, c'è stata la possibilità di provare uno spettacolo piuttosto lungo e impegnativo solamente quattro ore, perciò è stato un continuo “lo rifacciamo”, “non va bene”, nervosismi fra i tecnici e pause interminabili fra un brano e l'altro. La scaletta originale, annunciata in conferenza stampa, non è stata rispettata nell'ordine e, sinceramente, abbiamo avuto l'idea di trovarci davanti un minestrone mal riuscito, piuttosto che un Gala di presentazione della stagione operistica. Tra l'altro, se si vuole trasmettere il senso di magia dell'Anfiteatro bisogna far in modo che questo venga tradotto nel linguaggio televisivo, che di per sé rischia sempre di svilire l'atmosfera di leggenda di qualsiasi evento, dalla gara di Formula 1, al Concerto di Capodanno di Vienna.

Vincitore della serata è senz'altro Paolo Bonolis, che riesce a non far vuotare la cavea, servendosi di tutto il suo istrionismo e capacità comunicativa. Dovrebbe far riflettere il fatto che abbia dovuto lui stesso dare dei consigli tecnici, ma, comunque, è riuscito, di fronte a quel miscuglio stranamente, e malamente, assortito, a tenere in mano dodicimila persone. Di lui ci sentiamo di lodare il fatto che abbia palesato una discreta preparazione (anche se in un paio di occasioni ha dovuto domandare di sistemare il gobbo), senza commettere errori particolari e, laddove non conoscesse qualcosa, si scusava della mancanza, prima di esprimere un commento. Discorso diametralmente opposto per le due imbarazzanti vallette: Belen Rodriguez non è spigliata, non ha fascino e, permettetecelo, non è nemmeno una bellezza strepitosa come dicono molti. Fatica platealmente ad articolare un costrutto sintattico compiuto, anche quando dovrebbe semplicemente leggerlo, sbaglia sistematicamente la posizione sul palco e nei momenti a telecamere spente, ma pur sempre davanti a un pubblico numeroso, pareva avvinta da un attacco di labirintite, ed esprimeva i soli concetti “che cosa devo fare”, o “non so niente”. Avrebbe potuto almeno togliersi prima il piercing dalla lingua - come consigliato dalla produzione -, visto il fastidioso effetto per la dizione. La sua collega, Elena Santarelli, risulta non pervenuta sulla scena, come in locandina. Intendiamoci, era presente, ma la sua assenza non avrebbe mutato in nessun modo l'andamento dello spettacolo.

Non per essere considerati snob, ma semplicemente perché non ci è stato consegnato alcun elenco degli ospiti (era responsabilità degli organizzatori, esterni alla Fondazione Arena), non ci sentiamo di nominare tutti i presenti, a eccezione dei cantanti lirici, che conoscevamo bene - e che la Fondazione ha comunicato a differenza di Canale 5, che li ha sistematicament eignorati nella promozione - e di qualche elemento di spicco. Seppur nel mezzo della presentazione d'una stagione d'opera, ampio spazio è stato dato all'ospite straniero Brian May. Un ritorno dopo più di dieci anni all'esecuzione di alcuni brani dei Queen. Sinceramente, forse per motivi generazionali, abbiamo trovato i la sua esibizione poco emozionante. Conoscevamo già tutti i pezzi, ma non avendo vissuto gli anni d'oro della sua creatività, non avevamo ricordi particolarmente commuoventi. Questo è stato un punto a vantaggio dell'opera, poiché nessuno può rammentare, direttamente o tramite racconti di prima mano, il tempo in cui furono scritti molti melodrammi, ma l'emozione permane anche oggi negli appassionati.

Tutte le esibizioni sono state accompagnate da una ingiudicabile orchestra dell'Arena. Diciamo ingiudicabile perché vistosamente amplificata con un fastidioso fruscio, così come i cantanti. Sul podio si sono alternati Andrea Battistoni e Peppe Vessicchio nei rispettivi generi di competenza, ma anche su loro non possiamo esprimere un giudizio compiuto. Il coro, in ottima forma, era quello dell'Arena, diretto da Salvo Sgrò, come in occasione della Lucia di Lammermmor dello scorso 13 dicembre.

Il corpo di ballo, purtroppo, è stato impegnato solo nella scena del trionfo dell'Aida. Spiace che nella serata sia stato completamente scordato di ricordare che, nel corso del festival estivo, avremo anche l'esecuzione dell'Uccello di fuoco e della Sagra della primavera di Igor Stravinskij, con luci, coreografie e costumi affidati a Renato Zanella. L'invito è quello di accorrere numerosi all'appuntamento del 14 agosto, per sostenere non solo il melodramma, ma anche la danza di qualità.

Protagonista vocale è stato il tenore Vittorio Grigolo, che è stato chiamato dai presenti “vitellozzo” - con deformazione mentale pura ammettiamo di aver pensato “Oloferno?”, riferendoci al personaggio della Lucrezia Borgia di Donizetti. Il tenore aretino, ma trapiantato a Roma, è stato estremamente generoso, tanto da dover chiedere una pausa, a seguito di un eccessivo sforzo alle corde vocali, che, effettivamente, hanno risentito della sua spavalderia. Quando ha preso fra le braccia Belen per portarla fuori dal teatro, tuttavia, ci è tornata alla memoria la “fuga verso l'arcobaleno” del Roméo et Juliette dello scorso settembre, accompagnata dall'immancabile velo di commozione [leggi la recensione]. Solo un velo, perché la situazione era diversa, si trattava solo di rimembranza e preferiamo decisamente Lana Kos a Belen Rodriguez.

I cantanti d'opera che si sono succeduti sul palco sono stati, inoltre, Marco Vratogna, Cristian Senn, Vittorio Grigolo, Jessica Nuccio, Maria José Siri, Cristian Ricci, Raffaele Abete, Nicolò Ceriani e Romano dal Zovo. Sono state eseguite alcune arie e scene d'assieme, che poco o nulla rammentavano degli spettacoli normalmente rappresentati in Arena, sempre a cagione dell'amplificazione e di ingombranti piantane. Realmente gettato al vento è stato ”O Fortuna” dai Carmina Burana, ineseguibile nella cornice di una registrazione televisiva non dedicata.

Non ci sentiamo di esprimere altri giudizi su un lavoro, palesemente non terminato e che andrà sicuramente sistemato in sala di registrazione e montaggio. Dal vivo è andata male, molto male. Ci si augura che i mezzi tecnici riescano a salvare il salvabile, a recuperare un filo conduttore e rendere plausibili dei collegamenti palesemente forzati fra brani molto diversi. Ora rimandiamo alla visione televisiva.


 

 

 
 
 

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