L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Don Giovanni da Leone

di Alberto Spano

Sorprende e spazza via tutte le possibili perplessità preventive il Don Giovanni ambientato in un circo e con un cast di giovanissimi andato in scena a Ferrara con la guida catalizzante di Leone Magiera.

FERRARA, 1 e 3 luglio 2022 – Bisogna ammetterlo: rincuora l’animo vedere il Teatro Comunale “Claudio Abbado” di Ferrara letteralmente gremito di pubblico alle due uniche recite di Don Giovanni di Mozart un venerdì e una domenica di luglio infuocati di caldo: giungere a teatro e vedere la lunga fila di gente che aspetta diligentemente il suo turno in teatro, un pubblico nuovo, desideroso di ascoltare forse per la prima volta un’opera lirica non certo facile di quasi duecentocinquanta anni prima, oppure per chi è avvezzo, rinchiudersi in un teatro per vedere l’ennesimo riallestimento di un testo che si conosce a memoria nelle edizioni più prestigiose e blasonate, con un cast di esordienti e nessun nome di richiamo in locandina, rinunciando a un weekend in spiaggia a pochi chilometri dal centro, in una giornata di sole baciata da dio. Sono i piccoli miracoli dell’opera, di chi la sa fare e la sa mettere in scena. Come è il caso di questa nuova produzione del Don Giovanni di Mozart in collaborazione con la Korea Foundation Daegu Opera House, nella quale tuttavia un nome famoso, quasi leggendario, a dire il vero spicca: quello di Leone Magiera, l’ottantottenne pianista, direttore, didatta e scrittore, stavolta nei panni ufficiali di “direttore musicale”. Il che significa che l’intera operazione è nata attorno alla sua poliedrica figura artistica, facendosi egli carico in toto della scelta dei cantanti attraverso apposite audizioni, del direttore (l’australiano Daniel Smith), poi di un intenso lavoro di preparazione durato un mese intero, nella più bella e invidiata tradizione della “bottega musicale”, nella quale un grande artista si mette a completa disposizione per la buona riuscita di un’opera. Ovunque, a cominciare dalla lettura al piano dell’opera, dalla cura dei dettagli del lavoro di sala, dalla supervisione generale di un progetto in cui ogni responsabile di settore è come avvolto dalla sua grande ala protettrice. Una specie di luce, vorremmo dire, che tutto illumina, mette a fuoco, migliora e galvanizza. Anche la regia, le scene i costumi, le coreografie e il progetto drammaturgico. Che in questo caso sulla carta poteva e, anzi, aveva già fatto storcere il naso: l’idea di un Don Giovanni di Mozart ambientato in un circo, in cui il protagonista è il domatore gigione che ci prova con tutte le rappresentanti di sesso femminile, dalla fenomenale contorsionista (Angela Francavilla) che durante l’Ouverture si esibisce senza rete in un numero di alta acrobazia alla corda, alla fine del quale rifiuta il seduttore, alla figlia dell’impresario del circo (rispettivamente Donna Anna e il Commendatore), alla cavallerizza (Donna Elvira), alla semplice operaia della compagnia (Zerlina). Lette le anticipazioni sui giornali e le intenzioni registiche d’autore - un vero e proprio clown di professione, cioè l’eclettico Adrian Schvarzstein, che immagina l’arrivo di un circo di giro nella Ferrara di primo Novecento - spontanea sorgeva la domanda: che c’azzecca il circo col Don Giovanni di Mozart? Leporello è il clown della compagnia, Don Ottavio il cassiere e contabile del gruppo con ridicole mezze maniche nere, Masetto un operaio, il direttore d’orchestra e gli orchestrali sono artisti di strada anche loro. Insomma, si temeva un gran caravanserraglio senza capo né coda. Tuttavia, come raramente ormai capita, bisogna ammetterlo: dubbi e perplessità all’entrata, sorrisi e grande soddisfazione all’uscita. Sì, perché questa produzione di Don Giovanni a conti fatti risulta un autentico gioiello, un piccolo miracolo produttivo di altissimo livello che merita di circolare in tutti i teatri italiani, grandi e piccoli, e nei più blasonati festival europei.

Cosa si vede in scena? Il classico tendone da circo al centro, due carrozzoni semoventi ai lati e due praticabili più esterni. Tutto si svolge in questo semplice e immutabile perimetro, e tutti i movimenti sono circoscritti dentro e fuori. Fuori anche parecchio, poiché l’espediente dei cantanti e figuranti in platea e fra i palchi qui è molto usato, ma assai bene e senza abuso. Fin dalla prima scena dell’uccisione del Commendatore (strozzato col frustino da domatore), il tutto viene penetrato in un felice e ineluttabile vortice drammaturgico-narrativo: di colpo si entra, cioè, in una specie di virtuosa rappresentazione da commedia dell’arte, in cui scene, movimenti coreografici, costumi, gag e trovate registiche estemporanee si fondono in un incontenibile ritmo generale, senza mai un attimo di sosta o di stanchezza. Cantanti e figuranti si muovono benissimo, come in un rodato spettacolo di prosa (nella produzione c’è – e si vede – la collaborazione di un consumato uomo di teatro quale è Moni Ovadia e di un'ottima aiuto regista quale Jurate Sirvyte Rukstele, attiva anche come coreografa). Una continua girandola visiva che ipnotizza lo spettatore, una gioia, una frenesia motoria generale che tutto coinvolge e riempie, con un ritmo serrato che toglie il respiro. E che contagia o addirittura integra il discorso musicale, altrettanto incalzante, della eccellente bacchetta di Daniel Smith, che opta per tempi rapidi e stringenti, addirittura rapinosi nel primo atto alla Prima, con un sicuro riferimento alle sintetiche letture di Harding e di alcuni recenti maestri barocchisti. Il che si sposa a meraviglia con la giocosa regia, anzi ne è una naturale emanazione, disponendo di cantanti giovani, aitanti e ipercinetici di loro stessa natura. In primis l’eccellente Giulio Riccò, un Leporello vocalmente intelligente e ideale scenicamente, nei panni di un incontenibile clown del circo, di volta in volta complice e vittima di Don Giovanni. Un Leporello che giganteggia in quanto ad azione scenica, un polo attrattivo eccezionale che tutto governa e attrae. Al suo fianco un Don Giovanni altrettanto ideale nella guitteria sia con Guido Dazzini (1 luglio) che con Giovanni Luca Failla (3 luglio), entrambi sicuri e baldanzosi, ma assai diversi vocalmente: Dazzini un cantante-attore nato, nel quale recitazione e canto sembrano non avere confini, scolpitore della parola, dell’accento nobile della buona vecchia scuola, quasi un doppio di Leporello; Failla decisamente più lirico, con possibilità canore ancora in evoluzione, ma ricche di frange sonore le più varie e dalle risonanze basse affascinanti. C’è poi una Yulia Merkudinova estremamente convincente nel suo progresso vocale durante tutta l’opera che la porta ad un personale trionfo, la quale delinea una Donna Anna dolente, affranta e quasi incerta all’inizio, poi fiera e infallibile belcantista nel prosieguo. Al suo fianco due Don Ottavio, Younggi Moses Do (1 luglio) perfetto ed equilibratissimo nella linea vocale mozartiana, ma perfettibile nella pronuncia, poi Lorenzo Martelli (3 luglio) di voce chiara, rotonda e dizione perfetta, con qualche incertezza nella prima aria “Dalla sua pace”, poi risolta in perfetta cantabilità in “Il mio tesoro intanto”, in cui sfodera un timbro all’italiana di prim’ordine. Eccellenti prove canore e interpretative donano Marta Lazzaro e Valerio Morelli: la prima è una Donna Elvira matura e intensa, dai mezzi canori notevoli e di autentica forza espressiva (ma un bel quattro a chi le ha disegnato un avvilente costume da cavallerizza). Un Masetto ben cantato e recitato il secondo, a suo agio vocale e scenico in qualsiasi situazione, attore nato anch’egli. Due giovani soprani si alternano come Zerlina: Gesua Gallifoco crea un personaggio credibile, gustoso e birichino, esibendo una bellissima voce nonostante qua e là qualche problema di intonazione, mentre Silvia Caliò risulta più solida vocalmente anche se meno fascinosa nel timbro. Autorevole, efficiente, puntuale Alessandro Agostinacchio nei panni del Commendatore: un basso non profondo ma dalla musicalità innata. Altrettanto efficiente e puntuale il piccolo Coro Teatro Comunale di Ferrara diretto da Francesco Pinamonti, ottima l’Orchestra Città di Ferrara che si dimostra duttile e pronta a soddisfare pienamente i numerosi rubati imposti dalla fantasiosa bacchetta di Daniel Smith. Eccellente nei recitativi Marija Jovanovic. Un plauso particolare infine alla prova, maiuscola, del mandolinista in scena nella celebre scena della Canzonetta di Don Giovanni (“Deh! vieni alla finestra”): un Carlo Aonzo di superlativa bravura e carisma.

Del Don Giovanni di Mozart è stata scelta l'opzione romantica, depurata cioè dell’ultima scena col fervorino finale (“Questo è il fin di chi fa il male”), come talvolta si fa: superato lo choc iniziale per il terribile taglio, se ne è apprezzata la coerenza con la seppur discutibile scelta registica, che non punisce agli inferi il seduttore, ma quasi gli impone l’ennesima automatica prestazione sessuale con la contorsionista che lo aveva rifiutato durante l’Ouverture.


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