L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Giordano con l’arcidivo Kaufmann

di Francesco Lora

Nelle ultime due recite di Andrea Chénier al Teatro alla Scala, Jonas Kaufmann prende il posto di Yusif Eyvazov accanto ad Amartuvshin Enkhbat e Sonya Yoncheva, con un trionfo tuttavia sbilanciato a favore del baritono.

MILANO, 27 maggio 2023 – Per Umberto Giordano, al Teatro alla Scala, sembra essersi via via stabilizzata una locandina fissa: La cena delle beffe nel 2016, Andrea Chénier nel 2017-18 [Milano, Andrea Chénier, 07/12/2017 e Milano, Andrea Chénier, 02/01/2018] e Fedora nel 2022 [Milano, Fedora, 21/10/2022] hanno avuto lo stesso regista, Mario Martone, la stessa scenografa, Margherita Palli, e la stessa costumista, Ursula Patzak, mentre lo stesso direttore, Marco Armiliato, e la stessa primadonna, Sonya Yoncheva, hanno figurato in Fedora e nella ripresa – teatralmente cristallizzata – di Andrea Chénier. Quest’ultima ha avuto sette recite dal 3 al 27 maggio, due o tre interpreti di vaglia per le tre parti principali, una manodopera musicale quasi tutta rinnovata e un’interpretazione speculare rispetto a cinque anni fa. A determinarne la differente impostazione è soprattutto il passaggio dalla direzione di Riccardo Chailly a quella di Armiliato. La prima era fondata sull’analisi studiosissima, più che trentennale ed eruditissima della partitura, sul preziosistico calcolo sinfonico di pesi, colori e dinamiche, e sul porre la bacchetta gerarchicamente davanti ai cantanti, compresi Anna Netrebko e Luca Salsi; la seconda, al contrario, è viscerale, istintiva, tradizionale, entusiastica nell’amore non cerebrale verso la partitura, nel generoso sfogo di un’orchestra fatta di seta e fiamme, nella gioiosa esibizione del miglior coro del mondo e nel cedere il passo al canto e ai cantanti.

«L’ape musicale» ha già dato conto della terza recita, ove le tre parti principali erano sostenute da Yusif Eyvazov, Ambrogio Maestri e Chiara Isotton [Milano, Andrea Chénier, 11/05/2023]. Il primo era stato protagonista già nel 2017-18, quando le malelingue lo dicevano piazzato lì dal nulla, a inaugurare la stagione delle Scala, solo per essere il marito della Netrebko: allora era poco conosciuto – questo è vero – ma fece la sua bella figura e da lì a oggi ne ha fatte di sempre migliori e anzi di gratamente ottime; se poi, cinque anni fa, Martone lo obbligò a tagliarsi la barba prima di andare in scena, questa volta la barba è rimasta al suo posto, dimostrando il conseguito ribaltamento di autorità. L’11 maggio, inoltre, Maestri rientrava dopo essere stato sostituito nelle prime due recite da Salsi, e la Isotton coglieva un trionfo nella prima delle due a lei assegnate. Si recensisce ora l’ultima alzata di sipario, nella quale, come anche nella penultima, le tre parti principali sono state distribuite tra artisti differenti rispetto al primo resoconto. Protagonista, l’arcidivo Jonas Kaufmann; anch’egli barbuto. Il teatro stracolmo è soprattutto per lui, anche se la lunga parte di Chénier affatica, più del recente, sovrano Siegmund nella Walküre al San Carlo di Napoli, il suo canto che va perdendo tempra, smalto e volume. Rimane il musicista che preferisce la via giusta a quella comoda, e rimane l’attore seducente, disinvolto, simpatico. Non è poco.

Tra le ovazioni di un loggione scatenato come non avveniva da tempo, il trionfatore della serata è però Amartuvshin Enkhbat, alla cui sbalorditiva sovraddotazione vocale e tecnica – sembra di godere in lui una restituzione maggiorata di Renato Bruson – corrisponde viepiù la sensibilità del fraseggiatore naturalizzato all’italiana: quel suo accento preferito, di volta in volta arrogante, orgoglioso, autoritario, ben si attaglia alla parte di Carlo Gérard graniticamente declinata. Se Enkhbat costituisce per Kaufmann, senza volere, una pietra di paragone pericolosa, la Yoncheva, come Maddalena di Coigny, è invece sostegno ideale al suo tenore: alla calda complicità espressiva e al coprire gli sfocati acuti di lui – più pietosamente che altro – si aggiungono un calibro schiettamente lirico ma capace di rinforzarsi verso il drammatico nel procedere della recita, un’emissione luminosa e incisiva, nonché una recitazione internazionalmente routinaria eppure efficace. La sua insidia sarà allora lo sferzante carisma retorico e l’inossidabilità canora di Elena Zilio, ultraottantenne, la cui Madelon tramanda su di sé una titanicità stilistica oggi irriproducibile per i più giovani: assurda, dunque, la sua uscita al proscenio tra gli ultimi comprimari. Solita menzione d’onore per Carlo Bosi, come “Incredibile”, che dei comprimari, anzi dei caratteristi è il principe. Lussuosi José Maria Lo Monaco e Giulio Mastrototaro come Contessa di Coigny e Mathieu.


 

 

 
 
 

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