L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sotto l’occhio dell’Inquisizione

di Antonino Trotta

Nonostante il pubblico appaia disorientato, al Teatro Fraschini di Pavia il Don Carlo del circuito OperaLombardia convince pienamente per l’affiatamento delle varie parti coinvolte nella messinscena dell’impegnativo capolavoro verdiano. Andrea Bernard, Jacopo Brusa e l’ottimo parterre vocale sono protagonisti di uno spettacolo probabilmente divisivo ma, senza dubbio, di grande qualità.

Pavia, 19 novembre 2023 – Arrivare alla fine dell’opera senza essersene accorti, specie se l’opera è un Don Carlo e specie se il Don Carlo è messo in scena senza sorvolare sui temi spigolosi e taglienti di cui è intriso il testo, è una spia da non sottovalutare affatto nelle valutazione della qualità di ciò che quattro ore prima ci si accingeva a seguire.

Al Teatro Fraschini di Pavia, dove il Don Carlo del circuito OperaLombardia ha fatto il suo debutto, lo spettacolo firmato da Andrea Bernard, con scene di Alberto Beltrame, costumi di Elena Beccaro e luci di Marco Alba, ci proietta in una dimensione orwelliana di grande impatto visivo e psicologico: sotto l’occhio dell’Inquisizione che tutto vede e tutto controlla, in una società in cui la vita politica si sviluppa esclusivamente a suon di spudorata propaganda e violenta, violentissima repressione, gli sventurati protagonisti lasciano le redini della propria vita per consegnarla nelle mani del grande oppressore, senza possibilità di riscatto. Si, è un po’ la trama di Hunger Games e alla celebre trilogia – perdonate la citazione spicciola – la messinscena sembra strizzare l’occhio – Inquisizione permettendo – in più di un momento e con più di un personaggio; tuttavia, nel Don Carlo verdianodi questo si parla e nel complesso l’idea di fondo, seppur non proprio originalissima, aderisce perfettamente, magari esasperandolo, al materiale drammaturgico su cui si fonda l’opera. Messe in chiaro le intenzioni, condivisibili o meno, si venga al nodo della questione teatrale: la realizzazione. Perché, si sa, o si dovrebbe sapere, uno spettacolo non va mai intuito dalle note di sala ma vissuto, insieme agli attori, sul palcoscenico. Qui a Pavia Bernard fa bella mostra di virtuose doti registiche perché lo spettacolo è curato in ogni minimo dettaglio: al di là dell’intelligenza con cui son gestite le masse e le grandi scene d’ammucchiata, al di là dell’espressività della recitazione che accompagna e rafforza ovunque il canto, al di là dei colpi di teatro o delle figure retoriche che impreziosiscono la narrazione e rendono questa produzione un piccolo gioiellino, è il lavoro di squadra e l’affiatata sinergia con cui il regista coinvolge le varie parti a fare, onestamente, la differenza. La prova del nove si ha con la scena della “canzone del velo”: ribaltare l’unica parentesi fru fru dell’opera nella scena più pesante, rendendola assolutamente credibile, non è affatto impresa di poco conto.

Eppure funziona alla perfezione, anche perché Laura Verrecchia attacca calandosi perfettamente nel ruolo disegnato, con un accento denso di sofferenza che trasforma quel momento di svago in un generoso e commovente espediente consolatorio. Solo questo le varrebbe un’ovazione, ma l’interprete eccezionale non è mai seconda alla cantate. Nella costruzione della sua sfaccettatissima Eboli, di fatto, Verrecchia non manca di far sfoggio di una vocalità prorompente, brillante nei variegati arabeschi della prima aria, appassionata ed esplosiva in quella del terzo atto, ben ammaestrata e omogena nei cambi di registro imposti dalla scrittura. Anche Carlo Lepore raccoglie le indicazioni della regia e propone un Filippo II spietato, freddo, cinico. E lo fa con la voce statuaria e timbratissima che tutti conosciamo, emessa sempre a regola d’arte da superbo belcantista qual è, con un fraseggio ovunque governato legato, da senso della misura e classe nella linea. Un’aura aristocratica ammanta anche l’Elisabetta di Clarissa Costanzo che conquista per la ricchezza e la beltà dello strumento nella tessitura centrale, dove la voce si spande con gli armonici e la pienezza di un autentico soprano drammatico. Certo, qualche spigolosità in acuto è ancora da limare ma non pregiudica l’ottimo cimento con un ruolo lungo e insidioso. Angelo Veccia sa dar significativa sostanza, con timbro brunito, voce solidissima e canto privo di spigoli vivi a un Rodrigo idealista, premuroso e determinato. Recita poi benissimo, e in spettacoli ben costruiti come questi non è caratteristica di secondaria importanza. S’impone poi, per baldanza e generosità di mezzi, il Don Carlo angosciato e depresso di Paride Cataldo: la rassicurante organizzazione tecnica, l’acuto facile e franco, il timbro luminoso e solare all’italiana, lo squillo vibrante, il porgere fragrante e schietto ne fanno un cantante da non perdere di vista. Solido, anche negli abissi della vocalità, il Grande Inquisitore di Mattia Denti, ottimo per morbidezza e colore il frate di Graziano Dallavalle. Completano correttamente il cast Sabrina Sanza (Tebaldo), Erika Tanaka (Voce dal cielo) e Raffaele Feo (Il conte di Lerma/Un araldo). Molto valida anche la prova del Coro di OperaLombardia istruito da Massimo Fiocchi Malaspina.

Alla guida dell’orchestra I Pomeriggi Musicale, Jacopo Brusa impone una concertazione corrusca nelle tinte, scattante nelle agogiche, infuocata nell’espressione, che ben si sposa col taglio dello spettacolo, garantendo massima attenzione e libertà al palcoscenico, oltre ad ammirevole prontezza di riflessi in qualche isolato momento di scollamento.

A fine recita, il pubblico leggermente disorientato non manca di tributare agli artisti calorose manifestazioni di apprezzamento. Gran bella serata e gran bel punto per OperaLombardia.


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