L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La solitudine dell'esilio

di Alberto Ponti

Il pubblico dell'auditorium Toscanini accoglie sempre calorosamente ogni ritorno di Juraj Valčuha, questa volta in coppia con Yulianna Avdeeva per un programma dedicato quasi per intero a Rachmaninov.

TORINO, 16 marzo 2023 - In seguito alla partenza dalla Russia nel 1917 Sergej Rachmaninov non diede alla luce che una manciata di opere. Dopo le Danze Sinfoniche ascoltate di recente sotto la bacchetta di Stanislav Kochanovksy, giovedì 16 marzo è Juraj Valčuha a salire in cattedra con altri due lavori appartenenti all'ultima fase creativa del compositore. In queste pagine il suo stile si raffina e si asciuga in direzione di un suono più secco e pungente memore, pur senza rinnegare il passato tardoromantico e l'impianto tonale, delle nuove musiche nate nei primi decenni del Novecento a cui un autore attento e cosmopolita non poteva restare indifferente. Le grandi arcate melodiche ereditate dalla tradizione tendono a concentrarsi, senza però rinunciare a un'espansività di stampo quasi cinematografico, e l'elaborazione dei temi acquista, attraverso una ricercata eccentricità, sottigliezze che esaltano la freschezza e l'attualità di pezzi che, equamente distanti dall'avanguardismo radicale così come dalla ripetizione fuori tempo massimo di vecchi stilemi, si apprestano a compiere il secolo di vita.

L'ultima esecuzione Rai della Rapsodia su un tema di Paganini op. 43 (1934) nel 2018 fu una rivelazione resa possibile da Myung-Whun Chung affiancato alla tastiera da Alexander Malofeev, talento allora nemmeno ventenne di estremo interesse.

Yulianna Avdeeva, classe 1985, appartiene alla generazione precedente di pianisti russi e, tra le tante affermazioni di una carriera internazionale, può vantare la vittoria al concorso Chopin di Varsavia nel 2010. Il suo approccio al brano è all'insegna di un tocco deciso ma soffice e sensuale. Le crome isolate che contrappuntano in veloci guizzi la prima esposizione del celebre tema dell'ultimo capriccio paganiniano fanno per un attimo dimenticare che il pianoforte sia uno strumento a percussione. Non mancano i passaggi virtuosistici fatti apposta per evidenziare la bravura dell'interprete ma anche qui prevale da parte della Avdeeva un approccio intimamente musicale alla materia sonora, come nelle variazioni ottava, undicesima (dove la tastiera dialoga con gli arpeggi e i glissati dell'arpa), diciottesima (con i grandi accordi in ottava della parte centrale sul canto degli archi), ventiduesima (dalla travolgente irrequietezza ritmica). Grazie alla sagace direzione di Valčuha, del tutto a suo agio in una partitura dalla massima integrazione tra orchestra e solista capace di riservare momenti di puro edonismo sinfonico culminanti nella diabolica apparizione fine del motivo del dies irae così caro all'autore, la lettura di Yulianna Avdeeva si arricchisce di sfumature affascinanti, ora leggiadre ora ombrose, corroborate da parte sua da un pianismo di alta classe, efficace sintesi di tecnica impeccabile e squisita sensibilità. L'impressione è confermata dalla splendida resa dell'incessante gioco di semicrome del preludio in do minore op. 23 n.7, sempre di Rachmaninov, proposto al termine delle meritate ovazioni.
La terza sinfonia in la minore op. 44 (1935-36) è forse l'opera più paradigmatica, e meno eseguita, dell'ultimo Rachmaninov. A Torino mancava dal 2011, quando a presentarla fu sempre Valčuha, tra i pochi ad osare percorrere le strade di un repertorio importante, ma di non facile esecuzione e quindi poco battuto. Composta nel solitario ritiro di Villa Senar sul lago di Lucerna, la pagina riflette la ricerca e la conquista di un linguaggio personale assai lontano da quello della seconda sinfonia, di quasi trent'anni precedente. E' vero che sopravvive, nel primo movimento, una tradizionale forma classica ma le due idee principali, di sapore non men che cajkovskiano, sono amalgamate in un complesso e imprevedibile sviluppo. Lo stesso secondo tempo, che fonde insieme un Adagio ma non troppo e un brillante Allegro vivace in modo di scherzo, non è, dai tempi della Sinfonia di Franck, un'idea così originale. Sotto la penna del musicista russo si tinge tuttavia di un colore rapsodico che già anticipa i disparati elementi convergenti nel finale, dove un linguaggio sempre in stupefacente equilibrio fra l'abbandono al piacere del racconto e la tentazione sardonica di tagliar corto non si nega nemmeno il piacere di un fugato. Juraj Valčuha accende le polveri degli ultimi fuochi della parabola creativa di Rachmaninov con pirotecnico senso teatrale, prediligendo tempi serrati per un'esecuzione sul filo del rasoio.

Il maestro slovacco si fa apprezzare oltre che per la precisione degli attacchi in una scrittura che prevede accostamenti anche arditi fra timbri distanti nella tavolozza orchestrale , per il vivissimo senso ritmico che riesce a trasmettere a un OSN in grande spolvero, per l'alternarsi di tensione narrativa e abbandono lirico nei momenti d'insieme e quando le prime parti vengono allo scoperto, con i memorabili assoli del violino nel movimento centrale e del flauto nel finale, poco prima della coda.

Successo indiscusso è tributato dalla sala pure al breve brano contemporaneo proposto in apertura, Turbulence op. 11 (1999-2000, revisionato nel 2007) della compositrice Ľubica Čekovská, che dimostra soprattutto capacità e cura dell'orchestrazione in una pagina dalla struttura abbastanza semplice che si fa apprezzare per il piacere di fare e ascoltare musica in ambito contemporaneo, senza troppi condizionamenti e compiacimenti ideologici e intellettuali.

<p><strong>La solitudine dell'esilio </strong></span></p>

<p>Il pubblico dell'auditorium Toscanini accoglie sempre calorosamente ogni ritorno di Juraj Valč</span>uha, questa volta in coppia con Yulianna Avdeeva per un programma dedicato quasi per intero a Rachmaninov</span></p>

<p>In seguito alla partenza dalla Russia nel 1917 Sergej Rachmaninov non diede alla luce che una manciata di opere. Dopo le <em>Danze Sinfoniche </em>ascoltate di recente sotto la bacchetta di Stanislav Kochanovksy, giovedì 16 marzo è Juraj Valč</span>uha a salire in cattedra con altri due lavori appartenenti all'ultima fase creativa del compositore. In queste pagine il suo stile si raffina e si asciuga in direzione di un suono più secco e pungente memore, pur senza rinnegare il passato tardoromantico e l'impianto tonale, delle nuove musiche nate nei primi decenni del Novecento a cui un autore attento e cosmopolita non poteva restare indifferente. Le grandi arcate melodiche ereditate dalla tradizione tendono a concentrarsi, senza però rinunciare a un'espansività di stampo quasi cinematografico, e l'elaborazione dei temi acquista, attraverso una ricercata eccentricità, sottigliezze che esaltano la freschezza e l'attualità di pezzi che, equamente distanti dall'avanguardismo radicale così come dalla ripetizione fuori tempo massimo di vecchi stilemi, si apprestano a compiere il secolo di vita. </span></p>

<p>L'ultima esecuzione Rai della <em>Rapsodia su un tema di Paganini</em> op. 43 (1934) nel 2018 fu una rivelazione resa possibile da Myung-Whun Chung affiancato alla tastiera da Alexander Malofeev, talento allora nemmeno ventenne di estremo interesse.</span></p>

<p>Yulianna Avdeeva, classe 1985, appartiene alla generazione precedente di pianisti russi e, tra le tante affermazioni di una carriera internazionale, può vantare la vittoria al concorso Chopin di Varsavia nel 2010. Il suo approccio al brano è all'insegna di un tocco deciso ma soffice e sensuale. Le crome isolate che contrappuntano in veloci guizzi la prima esposizione del celebre tema dell'ultimo capriccio paganiniano fanno per un attimo dimenticare che il pianoforte sia uno strumento a percussione. Non mancano i passaggi virtuosistici fatti apposta per evidenziare la bravura dell'interprete ma anche qui prevale da parte della Avdeeva un approccio intimamente musicale alla materia sonora, come nelle variazioni ottava, undicesima (dove la tastiera dialoga con gli arpeggi e i glissati dell'arpa), diciottesima (con i grandi accordi in ottava della parte centrale sul canto degli archi), ventiduesima (dalla travolgente irrequietezza ritmica). Grazie alla sagace direzione di Valč</span>uha, del tutto a suo agio in una partitura dalla massima integrazione tra orchestra e solista capace di riservare momenti di puro edonismo sinfonico culminanti nella diabolica apparizione fine del motivo del <em>dies irae </em>così caro all'autore, la lettura di Yulianna Avdeeva si arricchisce di sfumature affascinanti, ora leggiadre ora ombrose, corroborate da parte sua da un pianismo di alta classe, efficace sintesi di tecnica impeccabile e squisita sensibilità. L'impressione è confermata dalla splendida resa dell'incessante gioco di semicrome del preludio in do minore op. 23 n.7, sempre di Rachmaninov, proposto al termine delle meritate ovazioni. <br />La terza sinfonia in la minore op. 44 (1935-36) è forse l'opera più paradigmatica, e meno eseguita, dell'ultimo Rachmaninov. A Torino mancava dal 2011, quando a presentarla fu sempre Valč</span>uha, tra i pochi ad osare percorrere le strade di un repertorio importante, ma di non facile esecuzione e quindi poco battuto. Composta nel solitario ritiro di Villa Senar sul lago di Lucerna, la pagina riflette la ricerca e la conquista di un linguaggio personale assai lontano da quello della seconda sinfonia, di quasi trent'anni precedente. E' vero che sopravvive, nel primo movimento, una tradizionale forma classica ma le due idee principali, di sapore non men che cajkovskiano, sono amalgamate in un complesso e imprevedibile sviluppo. Lo stesso secondo tempo, che fonde insieme un Adagio ma non troppo e un brillante Allegro vivace in modo di scherzo, non è, dai tempi della Sinfonia di Franck, un'idea così originale. Sotto la penna del musicista russo si tinge tuttavia di un colore rapsodico che già anticipa i disparati elementi convergenti nel finale, dove un linguaggio sempre in stupefacente equilibrio fra l'abbandono al piacere del racconto e la tentazione sardonica di tagliar corto non si nega nemmeno il piacere di un fugato. Juraj Valč</span>uha accende le polveri degli ultimi fuochi della parabola creativa di Rachmaninov con pirotecnico senso teatrale, prediligendo tempi serrati per un'esecuzione sul filo del rasoio.</span></p>

<p>Il maestro slovacco si fa apprezzare oltre che per la precisione degli attacchi in una scrittura che prevede accostamenti anche arditi fra timbri distanti nella tavolozza orchestrale , per il vivissimo senso ritmico che riesce a trasmettere a un OSN in grande spolvero, per l'alternarsi di tensione narrativa e abbandono lirico nei momenti d'insieme e quando le prime parti vengono allo scoperto, con i memorabili assoli del violino nel movimento centrale e del flauto nel finale, poco prima della coda. </span></p>

<p>Successo indiscusso è tributato dalla sala pure al breve brano contemporaneo proposto in apertura, <em>Turbulence</em> op. 11 (1999-2000, revisionato nel 2007) della compositrice Ľ</span>ubica Č</span>ekovská</span>, che dimostra soprattutto capacità e cura dell'orchestrazione in una pagina dalla struttura abbastanza semplice che si fa apprezzare per il piacere di fare e ascoltare musica in ambito contemporaneo, senza troppi condizionamenti e compiacimenti ideologici e intellettuali. </span></p>


 

 

 
 
 

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