L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

I tre controtenori

 di Stefano Ceccarelli

Avendo a disposizione, nella medesima produzione del Giulio Cesare di Händel, tre controtenori, perché non impiegarli in un recital? Ecco il motivo del concerto I tre controtenori, che chiude il cartellone concertistico del Teatro dell’Opera di Roma. Aryeh Nussbaum Cohen, Raffaele Pe e Carlo Vistoli, diretti da Rinaldo Alessandrini, eseguono un’antologia di arie di Vivaldi, Händel, Vinci, Porpora, Broschi, Gluck e Rossini, incontrando il successo del pubblico.

ROMA, 20 ottobre 2023 – Oramai può dirsi consolidato il fenomeno della Baroque renaissance. Un po’ in tutto il mondo che apprezza e coltiva la musica classica occidentale si trovano, nei cartelloni dei vari teatri, festival e stagioni concertistiche, appuntamenti dedicati parzialmente o interamente alla musica barocca. Non fa eccezione il Costanzi, che chiude la stagione riportando sulle scene Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel, nel cast della quale opera figurano tre controtenori: Aryeh Nussbaum Cohen, Raffaele Pe e Carlo Vistoli.

Perché, dunque, non proporre una serata in cui questi tre controtenori si esibiscano a turno in un ‘rodeo’ di arie barocche? Perché non rinverdire la tradizione di un trio di (contro)tenori in scena (i più famosi: Pavarotti, Domingo e Carreras)? Il senso del concerto odierno è proprio quello di mostrare le abilità dei tre interpreti attraverso un congruo numero di arie, talune molto celebri, che vengono eseguite a turno.

Gli elementi dell’orchestra del Costanzi sono diretti da Rinaldo Alessandrini (che è il medesimo del Giulio Cesare). Alessandrini sceglie tempi abbastanza comodi, affinché i cantanti abbiano l’agio di mostrare le loro doti più virtuosistiche. Il concerto si apre proprio con un pezzo per sola orchestra: il Concerto ripieno per archi in do maggiore RV 115 di Antonio Vivaldi, unico momento dove Alessandrini si concede un’agogica più spigliata.

In ordine rigorosamente alfabetico, iniziamo dalle esibizioni di Aryeh Nussbaum Cohen. La caratteristica che stupisce maggiormente è la floridezza armonica della voce, acuta, squillante, unita ad una potenza inusuale per la corda di un controtenore. Certamente, Cohen è un controtenore giovane, dagli ampi margini di miglioramento: uno sarà probabilmente un lavoro più minuzioso sulla dizione e sui tempi naturali del fraseggio, che miglioreranno, certamente, la resa delle frasi musicali. Per il momento, il risultato è notevole ed il pubblico mostra di apprezzare assolutamente l’interprete. Cohen interpreta tre arie: “Stille amare” da Tolomeo re d’Egitto di Händel, “Vivi, tiranno” dalla Rodelinda del medesimo autore e “Che farò senza Euridice” dall’Orfeo ed Euridice di Christopher Willibald Gluck. Nella prima aria händeliana (“Stille amare”), dal carattere più lamentoso, triste, Cohen dà certamente prova di padroneggiare il mezzo vocale, dosando le intensità, legando e producendosi in soffusi filati; nella seconda (“Vivi, tiranno”), dal carattere energico, furioso, l’interprete ha occasione di dimostrare al pubblico di padroneggiare quella tipologia d’aria barocca che prevede un’infiorata di variazioni puntellate da acuti energici e potenti. Chiude il trittico una buona esecuzione della celeberrima “Che farò senza Euridice”, dove Cohen, ammirevole, al solito, per la linea vocale chiara, tersa, mostra qualche limite nel rendere il giusto colore di taluni passaggi del fraseggio.

Raffaele Pe, blasonato interprete di un vasto repertorio barocco, della cui riscoperta e diffusione si occupa con successo di pubblico, è dotato di un mezzo vocale decisamente meno generoso di quello di Cohen; se il timbro, brunito e contraltile, risulta gradevole in qualche passaggio, il problema è nella resa generale di alcune arie che necessitano di una potenza vocale maggiore, come pure nella tecnica esecutiva dei passaggi di registro. Mi spiego meglio: Pe, per il mezzo vocale di cui è dotato, rende certamente meglio in arie in cui ha un’orchestra soffusa ad accompagnarlo, magari in cui può muoversi in passaggi legati nella sola tessitura centrale; i problemi esecutivi sorgono quando deve svettare in acuto, passare di registro e, soprattutto, quando deve ‘spingere’ – il che, come ho già avuto modo di specificare, è già di per sé complesso per la tecnica controtenorile. Questi limiti emergono tutti (anzi, soprattutto) nella prima aria eseguita, “Or la tromba” dal Rinaldo di Händel, brano dal carattere guerresco, squillante (indimenticabile, a più riprese, il rutilare delle trombe), che sovente svetta con energia all’acuto: Pe, infatti, si trova in evidenti ambasce nel conferire potenza alla linea vocale, riuscendo a farlo solo con alcune note slegate. Meglio nelle altre due arie, “Ombra fedele anch’io” dall’Idaspe di Riccardo Broschi e “Con l’ali di costanza” dall’Ariodante di Händel. La prima aria fu scritta, peraltro, per il celebre Farinelli e valorizza le doti di una linea vocale eminentemente lirica: qui Pe riesce (sempre palesando un volume contenuto) a mostrare una certa musicalità.

Cantante straordinario, dotato di un fraseggio sensibile, di una voce piena, duttile, come pure di una musicalità invidiabile, Carlo Vistoli, nel corso della serata, dà prova delle sue migliori doti, aprendo il concerto con l’aria “Nel profondo cieco mondo” dall’Orlando furioso di Antonio Vivaldi – agilità, variazioni, fioriture: tutto brilla per tecnica e interpretazione. Si prosegue con “Tu spietato non farai” dall’Ifigenia in Aulide di Nicola Porpora, le cui energiche frasi, sotto le sferzate degli archi, mettono in risalto la duttile agilità di Vistoli; magnifica, poi, l’esecuzione di uno dei più celebri momenti del Tancredi di Gioachino Rossini, “Di tanti palpiti”, dove Vistoli gioca sensibilmente con tutta la gamma dei colori, delle frasi rossiniane, come pure delle fioriture nella cabaletta.

I tre controtenori, inoltre, intervallano questa sequela di arie con duetti e, infine, tre terzetti consecutivi. In generale, l’armonia fra i tre è buona e, conseguentemente, piacevole la resa. Pe e Vistoli cantano assieme “Tu vuoi ch’io viva”, dall’Artaserse di Leonardo Vinci; Cohen, sempre assieme a Pe, esegue “In braccio de’ contenti” da La Gloria e Imeneo di Antonio Vivaldi; infine, Cohen e Vistoli cantano “Ah mia cara, se tu resti” dal Floridante di Händel. Il concerto si chiude con il terzetto “S’egli è ver che la sua rota” dalla Fida ninfa di Vivaldi. Il pubblico, che applaude fragorosamente, richiama più volte gli interpreti sul palco; i tre regalano, in chiusura, altri due terzetti: “Il destino, la sorte e il fato” da La Senna festeggiante di Vivaldi e Sound the trumpet di Henry Purcell.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.