L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Il testo e la censura

Se l'opera sembra affermare la buona fede di Giovanna mantenendo l'ambiguità sulla natura delle “voci”, altri elementi religiosi restano determinanti nel testo, tant'è vero che l'edizione critica ha dovuto ripristinare più passi compromessi dalla censura. In particolare si tratta del recitativo che precede la cavatina “Sempre all'alba ed alla sera”, chiuso nella versione corrente con

E d'una spada, e d'un cimiero forse
a me fia grave il pondo?..
Tanto richiedo a te, Speme del mondo.

Mentre l'originale risulta molto più esplicito

E d'una spada, e d'un cimiero il pondo
Forse a me grave fia?
Tanto richiedo a te, vergin Maria.

Anche sulle labbra di Carlo le parole Iddio e Maria dovettero mutarsi in Cielo e la Pia, ed “Ecco mi prostro a te, madre di Dio” in “Ecco mi prostro, riverente e pio”, ma soprattutto fu l'associazione fra la Vergine e Giovanna a subire gli interventi degli occhiuti censori, sia nel primo coro degli spiriti eletti, il cui incipit dell'autografo “Sorgi, o diletta vergine, | Maria, Maria ti chiama” fu mutato in “Sorgi, i Celesti accolsero, | la generosa brama”, sia soprattutto nell'interrogatorio subito da parte del padre:

Testo originale

 

CARLO

(a Giovanna)

Ti discolpa!

CORO

Imbianca e tace!

CARLO

Le tue prove, o veglio audace?

GIACOMO

(prende per mano la figlia)

Dimmi, in nome della Francia,

pura e vergine sei tu?

(silenzio generale)

CORO

Né favella!... Il capo asconde!

CARLO

(a Giovanna)

Solo un detto e ognun ti crede

 

GIACOMO

Dimmi, in nome della fede,

 

pura e vergine, sei tu?

(silenzio come sopra)

CORO

(con raccapriccio)

Non risponde!... Non risponde!...

CARLO

(con passione)

Parla, parla, oh che mai fia?

 

GIACOMO

Dimmi, in nome di Maria,

 

pura e vergine se tu?

Testo censurato

 

CARLO

(a Giovanna)

Ti discolpa!

CORO

Imbianca e tace!

CARLO

Le tue prove, o veglio audace?

GIACOMO

(prende per mano la figlia)

Dimmi, in nome del dio vindice,

non sacrilega sei tu?

(silenzio generale)

CORO

Né favella!... Il capo asconde!

CARLO

(a Giovanna)

Parla, e tutti avrai credenti.

GIACOMO

Di', per l'alme dei parenti,

non sacrilega sei tu?

(silenzio come sopra)

CORO

(con raccapriccio)

Non risponde!... Non risponde!...

CARLO

(con passione)

Solo un detto!... (Oh cieco padre!)

GIACOMO

Di' per l'alma di tua madre

non sacrilega sei tu?...

Il valore, e la pericolosità, dei riferimenti alla Madonna si muovono sul doppio binario di una consacrazione religiosa, attraverso l'identificazione fra la vergine Maria e la vergine Giovanna, dell'azione politica, massime in questo caso di liberazione della patria da una dominazione straniera, e di un'accentuazione dell'aspetto sessuale – o, meglio, di negazione della sessualità – delle vicende della Pulzella. La quale, storicamente, subì almeno due ispezioni che ne certificassero lo stato di virgo intacta, una in sede di processo, ma la prima come condizione preliminare al suo incontro con il Re, a garanzia che non di strega, e in quanto tale avvezza ai più turpi consessi carnali, si trattasse, ma di una potenziale autentica veggente. Nell'ambiente superstizioso della corte di Carlo VII, pare appassionato di scienze occulte, e in un momento di crisi nella contesa con gli Inglesi non sembra poi così stravagante che si prestasse orecchio anche a profeti o sedicenti tali, ma anche che si prendessero tutte le precauzioni suggerite dalle credenze dell'epoca onde evitare impostori, o peggio.

Condizione principale su cui basare la propria credibilità e la propria autorità, viatico della propria affermazione, è naturale che il tema della verginità divenga centrale nella maggior parte delle trattazioni del mito di Giovanna, non senza un pizzico di morbosità che arrivò a teorizzazioni fantasiose come quella (basta sulla testimonianza di un mancato mestruo della Pulzella) che si trattasse in realtà di un uomo! Si tramanda, inoltre, di un tentativo di stupro ai suoi danni da parte dei carcerieri inglesi, e del fatto che indossasse abiti maschili (su indicazione delle “voci” prima che, durante la prigionia, le fossero sottratte le vesti femminili) anche per difendersi da aggressioni sessuali. In Schiller, la sua ascesa e la sua autoaffermazione ha inizio con il rifiuto del matrimonio impostole dal padre, la sua caduta e la sua crisi quando ai nuovi sentimenti di pietà verso i nemici uccisi si somma quello ignoto d'amore per l'inglese Lionel.

Nell'opera di Verdi e Solera, Giovanna si presenta animata solo da pensieri d'azione, la sua femminilità è totalmente negata, tant'è vero che nel primo duetto con Carlo irrompe irruente come una creatura angelica, asessuata (“vinto son io da palpito | sinora ignoto a me” canta il sovrano, ma più che amore terreno si tratta per ora di celeste ispirazione rispetto alla sua inanità bellica) che si rivolge al tenore chiamandolo “mortale”, quasi fosse posseduta e identificata con un messo celeste. Solo le “voci” che nel sonno hanno parlato alla sua anima tradiscono un conflitto inconscio e represso, quale emergerà poi nei due atti successivi. L'iperbole della lode “a Satàna” degli spiriti malvagi per un'ammissione di amore subito pudicamente ritrattata è davvero eclatante se rapportata a un'evoluzione del dramma in cui ogni elemento sembra proclamare l'innocenza di Giovanna e la cecità dell'errore intransigente di Giacomo e in cui pure la protagonista s'immerge volontaria in un'espiazione oggettivamente sproporzionata. Sproporzionata ai fatti ma non alla percezione che lei ne ha e che le voci “malvagie” dichiarano, evidente emanazione della sua psiche. [segue]


 

 

 
 
 

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