L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

Mimesis poetica

Accostandosi a Giovanna d'Arco, l'attenzione è subito catalizzata dalle apparizioni delle voci che parlano “alla sola anima di Giovanna”. Le pagine più discusse e più criticate dell'opera, a riprova di una centralità drammaturgica ineludibile.

ATTO I, scena quinta

Carlo depone l'elmo e la spada, s'inginocchia e prega. Intanto alla sola anima di Giovanna parla in sogno il seguente

CORO DI SPIRITI MALVAGI

Tu sei bella
tu sei bella!
Pazzerella,
che fai tu?
Se d'amore
perdi 'l fiore,
presto muore,
non vien più.
Sorgi, e mira,
te sospira
la delira
gioventù.
Non è brutto
qual per tutto
vien costrutto
Belzebù!
Quando agli anta
l'ora canta
pur ti vanta
di virtù.
Tu sei bella
tu sei bella!
Pazzerella,
che fai tu?

I nembi si diradano ad un tratto, e la foresta viene rischiarata vivamente dalla luna. Succede un

CORO DI SPIRITI ELETTI

Sorgi, o diletta vergine,
Maria, Maria ti chiama!...
Francia per te fia libera,
ecco cimiero e lama.
Lévati, o spirto eletto,
sii nunzio del signor...
Guai se terreno affetto
accoglierai nel cor! ~

ATTO II, scena sesta

L'anima di Giovanna è assalita dal seguente

CORO DI SPIRITI MALVAGI

Vittoria, vittoria!... Plaudiamo a Satàna,
e ammorzino i gridi l'eterna sventura...
vedete stoltezza di questa villana
che nunzia è del cielo, che dicesi pura!
Ma d'Eva, o superba, non eri tu schiatta?...
Già nostra sei fatta, già nostra sei fatta!
Lasciamo le tane, sprezziamo l'esiglio,
lanciamoci in alto con urla di scherno;
ai cembali, ai sistri stendiamo l'artiglio,
danziamo, danziamo la ridda d'inferno...
Non tosto Satàna si move alla giostra
la femmina è nostra, la femmina è nostra!

ATTO IV, scena ultima

CORO DI SPIRITI ELETTI

Torna, torna, esulante sorella,
sopra i vanni dell'angelo al ciel!
È il signore, il signor che ti appella,
e ti cinge inconsutile vel.

CORO DI SPIRITI MALVAGI

Più del fuoco che n'arde e ne scuoia,
più che il buio di notte crudel,
n'è tormento d'un'alma la gioia,
n'è supplizio il trionfo del ciel.

I versi di Solera sono, indubitabilmente, brutti, maldestro incunabolo della ventura moda satanica cavalcata da Carducci e portata ai massimi esiti da Boito, oltre, che, naturalmente, estrema conseguenza di quel romanticismo lombardo ghiotto di onomatopee e atmosfere nordiche così ben sintetizzato dalla traduzione del Berchet del Cacciatore feroce di Bürger: “Olá, compagni! addosso addosso, dálli dálli! To to, qui qui, ciuee ciuee ciuee!”

Tuttavia, come sempre nei libretti d'opera, non è il valore intrinseco dei versi a contare, quanto la loro funzionalità al trattamento da parte del compositore. E, in questo caso, da un lato il goffo demoniaco di Solera sembra preconizzare la galleria del grottesco e dell'orrore che Piave imbandirà (suscitando non meno sdegno critico fra i contemporanei) per le streghe del Macbeth o l'elaborazione ambiziosamente iper letteraria di Maffei per i Masnadieri (libretto non brutto, quanto piuttosto coerente con la poetica anticlassica dell'autore e troppo denso lessicalmente e sintatticamente per il canto), dall'altro offre a Verdi l'occasione impagabile di rappresentare le “voci di dentro” di Giovanna.

La Pulzella, pur riabilitata da un successivo processo post mortem nel 1456, salirà agli onori degli altari solo nel 1907 come beata, tredici anni dopo come santa. Le precauzioni nei confronti della censura religiosa – che interverrà in più punti – non saranno mai troppe, ma pure il personaggio non canonizzato offre minori preoccupazioni. Più che mai, Verdi sembra libero di non credere nelle visioni di Giovanna, pur rappresentandole, cosa che non fa, per esempio Schiller, il quale porta sulla scena una sola, enigmatica, apparizione – il Cavaliere Nero – presaga di sventura, ma non le “voci” intese dalla Pulzella, il cui dramma consiste nell'insinuarsi di dubbi e incertezze in una visione di sé e della propria missione politica dapprima granitica.

Solera imbastisce per gli spiriti malvagi quinari, dodecasillabi e decasillabi: versi decisamente poco nobili, nella tradizione italiana, tanto più in quel proliferare martellante di chiuse tronche, di rime baciate o, al massimo alternate. Verdi li prende alla lettera come l'immagine che una pastorella, i cui orizzonti non si erano mai spinti oltre il podere paterno, il villaggio e la “fatidica foresta”, poteva avere dell'inferno; e quale peccato poteva mai immaginare la pia adolescente semianalfabeta fuori di qualche festino danzereccio paesano, dove le ragazze più disinibite potevano mescolarsi ai giovanotti? E come avrebbero potuto parlarle i demoni tentatori? Non certo con i limpidi ottonari con cui le odalische lusingano Anna nel Maometto Secondo rossiniano:

Quando poi fia bianco il crine
cangerem, cangiando aspetto.
Posto il Cielo ha quel confine
fra il diletto e la virtù

Bensì con un proverbio molto più spiccio

Quando agli anta
l'ora canta
pur ti vanta
di virtù.

Ecco allora che il ritmo ternario del valzer, una strumentazione studiata proprio per restituire una certa qual insidiosa grevità popolaresca, il suono accidentato e saltellante di un organetto o di una banda paesana, un po' come sarà l'effetto del violino “scordato” nella Quarta di Mahler. Sembra di vederla, così, Giovanna, osservare con sdegno le finestre illuminate di un'osteria da cui provengono musica e risate, mentre una parte di lei, segretamente, è incuriosita, attratta, e si trasforma inconsciamente nell'insidia demoniaca da combattere.

Per contro, il canto degli spiriti eletti si esprime in un registro linguistico molto più elevato e i versi sono, oltre che decasillabi, più aulici settenari; non si trovano rime baciate, ma lo schema è di semplice alternanza, le uscite tronche servono solo a suggellare la strofa. Verdi usa, ancora una volta un linguaggio familiare a una giovane contadina di poche esperienze, un canto chiesastico sillabico, unisono, accompagnato da arpeggi celestiali. Il coro è santo e più alto nello stile, ma sempre nell'ambito del mondo contadino della Pulzella.

Com'è evidente, Verdi realizza una mimesis perfetta nell'orizzonte musicale di Giovanna (ovviamente in senso lato e non filologico medievale) e fa apparire chiaramente le “voci” come possibile frutto del suo inconscio plasmato sulle sue esperienze. Se poi si vorrà credere alla reale divina ispirazione della Pulzella, si ricorderà la storica diatriba processuale sulla lingua nella quale i santi le si sarebbero rivolti (in francese) e il dono pentecostale della glossolalia, che non rende inverosimile per la teologia cristiana l'espressione del verbo divino nelle forme familiari all'interlocutore. [segue]


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.