L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Dar voce alle Voci

L'opera di Verdi non era sconosciuta in terra russa, se, almeno Cajkovskij ebbe occasione di leggerne la partitura e di decretarla “mediocre”, salvo poi comporre per la sua Orleanskaja Deva un preludio tripartito il cui tema principale è un ranz de vaches affatto simile, per ispirazione e strumentazione, al pastorale verdiano e si contrappone a una sezione, questa volta centrale, tempestosa e battagliera. Non solo, diede anche voce concreta alle apparizioni angeliche che in Schiller sono solo citate. Fatto non di poco conto, ché anche nei libretti di Rossi e Barbieri per le opere di Vaccaj e Pacini sulla Pulzella le “voci” non sono chiamate a intervenire direttamente, relegate nei sogni e nell'ispirazione di un'eroina decisamente più secolare che spirituale, come appare – indirettamente – anche nel racconto presente nell'introduzione della Gemma di Vergy donizettiana:

CORO
Qua, Rolando, e narra a noi
l'alte imprese degli eroi:
de' francesi, e degl'inglesi
le battaglie, ed il valor.

ROLANDO
Vidi cose, che ridire
la mia lingua a voi non basta:
de' francesi fremon l'ire:
ma non brando, ma non asta
frena il torbido britanno,
d'ogni danno apportator.
Solo d'Orléans la donzella
argin pone al suo furor.

CORO
Qual prodigio! Una donzella
argin pone al suo furor?
Narra, narra, e di' com'ella
pervenisse a tanto onor!

ROLANDO
Ella è senno, è brando, è duce
per cittadi e per castella;
strage e morte all'anglo adduce:
è cometa che flagella
coll'infausto suo splendor.
Dei francesi ell'è la stella.
Scudo immenso, e difensor.

CORO
Viva d'Orléans la donzella,
nostra speme, e nostro amor.

Nella cantata rossiniana del 1832, l'ispirazione divina è ben presente, determinante, ma ancora una volta non si manifesta direttamente, bensì nel racconto e nella riflessione di Giovanna e – quel che forse più conta – ancora una volta senza il contraddittorio di un dubbio, di una tentazione.

[…]
L'Onnipossente dal gregge suscitò la pastorella.
[...] Ah! repente
qual luce balenò nell'oriente,
non è il sole che s'alza,
sei la mia vision, io ti conosco.
Più grande che non suole
empie il ciel fulminando e mi fa segno.
Angiol di morte, tu mi chiamo chiami, io vegno.
Ah, la fiamma che t'esce dal guardo
già m'ha tocca, m'investe, già m'arde.
[...]
Ah! vinse la vergine che in Dio sperò.
[...]

La lacerazione della Giovanna verdiana, che vede e sente fisicamente gli ammonimenti degli spiriti eletti e le seduzioni degli spiriti malvagi interagire in maniera costante, commentare, influenzare le sue scelte e i suoi comportamenti, non trova un equivalente nelle altre trattazioni musicali del soggetto, nemmeno nella Jeanne d'Arc au bucher di Honegger, nel quale il dubbio della Pulzella di fronte alla condanna per eresia, fugato dall'intervento di San Domenico, è di natura razionale e umana. Viceversa, Giovanna d'Arco, come la dipingono Verdi e Solera, si trova sempre sul crinale fra due realtà, con una percezione distorta, o ampliata del mondo sensibile che la porta a confrontarsi con una dimensione ignota a chi la circonda, quale che sia la sua natura. In questo, dunque, più che alle sue omonime omologhe, è più vicina alla novecentesca Renata di Prokof'ev, che come la Giovanna storica e operistica viene vista come santa o strega, folle o veggente. Entrambe sono figure carismatiche, in grado di esercitare una potente influenza, di arrogarsi attributi virili, o condizionando l'agire dello stesso sovrano e ponendosi a capo dell'esercito, o asservendo totalmente un avventuriero razionale e spregiudicato come Ruprecht. Nel caso di Renata, invece di appropriarsi di un ruolo sociale maschile e di un attributo chiaramente fallico come la spada, il travalicare i confini stabiliti per le donne del suo tempo consiste nel dedicarsi agli studi esoterici, nel non darsi alla stregoneria comune, ma nel cercare di dominare il mondo spirituale che la circonda impadronendosi della scienza magica superiore di Agrippa, di Faust, dei grandi filosofi neoplatonici rinascimentali. La sua pericolosa irregolarità, qual è quella di Giovanna guerriera e capace di tener testa agli interrogatori dei teologi, è nella ricerca del potere della conoscenza, lo stesso che nella Grecia classica fa guardare con sospetto alla sapiente Medea, donna forte trapiantata in un contesto di sottomissione femminile.

L'eccezionalità della loro condizione, della loro indipendenza si esprime, trova sfogo nervoso anche nella lacerazione visionaria della psiche, nell'esternare il conflitto proiettando lo spirito in una dimensione sensibile, o nel possedere e saper vedere ciò che agli altri è precluso. Per entrambe lo stress formidabile trova un'unica soluzione: consegnarsi alla regola, alla disciplina e al potere religioso. Giovanna non ribatte alle accuse del padre, sentendosi colpevole di aver nutrito per “un solo istante” un sentimento proibitole dalle voci angeliche, e si consegna volontariamente al rogo purificatore; Renata si ritira in un convento. Tuttavia, se nel primo caso la discesa metaforica agli inferi del carcere le consentirà di liberarsi da dubbi e rimorsi, di essere infine creduta dal padre, di compiere la sua missione e morire serenamente, nell'opera di Prokof'ev la clausura è solo causa di ulteriori tormenti, le visioni non si placano e le traversie di Renata sono brutalmente troncate, al culmine di un'orgia parossistica, dalla condanna al rogo da parte dell'Inquisitore. [segue]


 

 

 
 
 

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