L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fra Mimì e Musetta

di Luigi Raso

All’indomani del grande successo di pubblico e critica riscosso come Musetta nella nuova e attesa produzione della Bohème al Teatro San Carlo, prima” delle due inaugurazioni della prossima stagione lirica, abbiamo intervistato il giovanissimo soprano Benedetta Torre.

Qui il resoconto di una piacevole chiacchierata con Benedetta Torre che ci ha parlato di questa produzione della Bohème del San Carlo, della sua formazione professionale, delle sue aspirazioni e dei sogni nel cassetto, degli interessi extramusicali e, infine, della sua personalità fuori dai palcoscenici.

Partiamo subito con una domanda sul personaggio che sta interpretando in questi giorni al San Carlo: com’è la sua Musetta?

Devo premettere che è la prima volta che interpreto Musetta; e per me, dopo aver cantato Mimì, è stata davvero una scoperta interessante. Il personaggio di Musetta, secondo me, soffre di un travisamento: viene vista come un donna troppo civettuola, un po’ frivola. Non sempre riesce ad emergere lo stacco psicologico tra la donna del II Quadro e quella del IV: l’interpretazione di Musetta è completa se si plasma un personaggio a tutto tondo, non limitato all’aspetto più frivolo della sua psicologia. Musetta è, invece, un personaggio complesso, che racchiude un ampio ventaglio delle emozioni umane.

Partendo dalle fonti del romanzo di Henri Murger, Scènes de la vie de bohème, ho provato a tratteggiare un personaggio poliedrico, complesso, affascinante. Vedo Musetta come una donna che si fa guidare dalla sua intelligenza; non la trovo assolutamente un personaggio “vuoto” ma, al contrario, complesso e intrigante. Musetta non è una soubrette: limitarsi a questo aspetto farebbe perdere il senso del personaggio, la cui personalità si completa nel IV Quadro, dove davvero si coglie la caratura della sua personalità. La sua grande umanità, che emerge nel IV Quadro, è l’altra faccia della medaglia della personalità che si nota nel II Quadro. Ammetto che questa contrapposizione tra i caratteri di Musetta la ritrovo anche in me stessa, ma non sono uterina ed esplosiva come Musetta, eh! Anche se i miei colleghi mi considerano più vicina a Musetta che a Mimì.

La Musetta di questa produzione com’è stata concepita dalla regista Emma Dante e quanto si ritrova nella sua visione?

Con la regista Emma Dante l’intesa è stata immediata! Entrambe abbiamo concordato nel non voler costruire la solita Musetta ammiccante, frivola, capricciosa. Emma Dante ha voluto dare una storia a Musetta, creando un rapporto molto realistico con il suo Marcello, eliminando tutto ciò che potesse essere finzione, tutto ciò che potesse apparire “artificioso”. La Dante, pur possedendo un forte istinto teatrale, è una regista che imposta il lavoro partendo dalle caratteristiche dei cantanti; si concentra sull’efficacia scenica, sui movimenti, ma ci lascia liberi di interpretare.

Lei hai interpretato Mimì, recentemente a Bologna lo scorso giugno (qui la recensione): quali sono le differenze tra Mimì e Musetta?

Dal punto di vista vocale, Mimì ha una linea di canto distesa, lirica; quella di Musetta, invece, scende molto nella tessitura. La linea vocale di Mimì è posata: ti porta all’acuto per gradi, mentre quella di Musetta è basata sullo slancio: dal registro basso si passa rapidamente all’acuto, è una scrittura che riflette la personalità “contorta” di Musetta. Dal punto di vista tecnico, ho dovuto lavorare maggiormente per affrontare la parte di Musetta piuttosto che quella di Mimì. Gli slanci vocali della scrittura vocale di Musetta richiedono adeguati sostegni di fiato, alcune finezze della scrittura vocale richiedono una buona dose di intelligenza tecnica. Mimì presenta notevoli difficoltà nel III Quadro, dove è richiesta una drammaticità che è solo accennata nel I Quadro.

Come si prepara ad affrontare una nuova parte?

Per prima cosa leggo le fonti letterarie dell’opera per capire com’era il personaggio, anche se spesso nella trasposizione del testo letterario in opera può cambiare molto, così come accade, ad esempio, per Mimì e Musetta nella Bohème di Puccini, personaggi alquanto diversi rispetto a quelli partoriti dalla penna di Murger. Successivamente leggo il libretto, passo alla parte musicale per impararla, la “metto in voce” e, infine, la studio con l’insegnante. Ma per costruire il personaggio mi baso sul libretto e sulla musica: quest’ultima da sola racconta molto, anche mediante leggere inflessioni, della psicologia.

Poi passo al lavoro di introspezione: scavo nelle mie caratteristiche e cerco di trovare qualche affinità tra me e il personaggio che mi appresto ad interpretare. Voglio che il personaggio abbia qualcosa anche di me. Per fortuna posseggo un po’ di naturalezza scenica che mi consente di essere spontanea sul palco! La naturalezza è la mia stella polare; non amo il teatro “macchiettistico”, eccessivamente e artificiosamente costruito.

Qual è stato il suo percorso di formazione professionale?

All’età di 10 anni ho iniziato a studiare pianoforte. Più o meno a quell’età cantavo nel coro del mio paese quando sono stata notata dall’insegnante di canto che preparava il coro. Il mio professore di musica delle scuole medie mi ha trasmesso la voglia di imparare a suonare uno strumento: creò una band per eseguire musica pop che fece appassionare davvero alla musica tutta la classe! Devo dire che, grazie a questo professore, studiammo musica proprio come dovrebbero fare tutti alle scuole medie!

Tornando al coro, intorno ai 13 anni, la maestra del coro mi ha notato, come dicevo, e mi ha insegnato i primi rudimenti di canto: lei ha intuito che avevo una certa predisposizione e naturalezza nella respirazione. E così mi ha incoraggiato ad iniziare lo studio del canto lirico. Da quel momento ho studiato con vari insegnanti, fino ad arrivare alla grande Barbara Frittoli, mia attuale maestra.

Quanto ai concorsi e ai premi, intorno ai 17 anni ho vinto il “Premio giovani” al Concorso Francesco Paolo Tosti di Pescara, successivamente ho partecipato a molti concorsi arrivando sempre in finale. Al concorso Renata Tebaldi del 2018 ho vinto la stella d’argento e la menzione speciale come miglior soprano, il “Premio Daniela Dessì”.benedettatorre

Quali sono stati gli incontri che le hanno cambiato la vita professionale? Quali sono state le personalità che più l’hanno segnata?

La vera svolta della mia carriera è stata l’audizione per La bohème a Ravenna con la Signora Cristina Mazzavillani Muti. Lei ha creduto molto in me e da quel momento la mia vita professionale ha subito una svolta decisiva. Mi ha presentato al marito, il maestro Muti, che mi ha apprezzato tanto da volermi, nel 2017, come Sacerdotessa in Aida a Salisburgo, una produzione che schierava cantanti del calibro di Anna Netrebko, Francesco Meli, Ekaterina Semenchuk e Luca Salsi.

Il maestro Muti è rimasto colpito dalla mia musicalità e mi ha messo alla prova per testare la mia duttilità. Mi ha invitata a Chicago per il Requiem di Mozart: lavorando con lui, mi sono sentita molto rassicurata anche umanamente. Poco dopo è arrivato l’invito a cantare nuovamente con lui nella Missa defunctorum di Giovanni Paisiello.

Chi mi ha letteralmente insegnato come studiare è stato proprio il maestro Muti: ha cambiato il mio modo di approcciarmi alla spartito. Sono diventata “l’umile ancella del genio creatore”: ho capito cosa significhi eseguire tutto ciò che c’è scritto nello spartito, a dare il giusto peso al connubio tra parola e musica. Ho capito come non inseguire il grande effetto, l’acuto tenuto a lungo, ma ho imparato ad essere un’interprete attenta, lasciando da parte il gigionismo vocale.

Tra le personalità che più hanno influito sulla mia formazione c’è sicuramente la signora Barbara Frittoli, la quale mi ha trasmesso musicalità, mi ha insegnato il legato nel canto, lo stile, sempre finalizzato a una linea di canto pulita, sempre morbida, sul fiato, senza forzare mai. Con Barbara Frittoli ho imparato molto dal punto di vista musicale, non solo vocale, e grazie a lei ho risolto dei problemi di costrizioni muscolari che avevo. La Frittoli pretende - e giustamente! - sempre naturalezza.

E tra i registi chi le ha insegnato di più?

Dico due nomi contrapposti: il primo è Marco Gandini, che viene dalla scuola zeffirelliana. È un regista con una grande energia e che sa come valorizzare i cantanti, dà suggerimenti, costruisce il personaggio con il cantante. Con lui ho fatto una bella Bohème a Lucca. Il secondo regista è Graham Vick con il quale ho lavorato nel 2018 per Le nozze di Figaro a Roma e La bohème a Bologna, lo scorso giugno.

All’inizio Vick ci dava la sensazione di stravolgere la trame e la concezione dei personaggi, ma tutta la sua grande logica riusciva poi a spiegare la sua concezione dell’opera, in modo da creare una storia dei giorni nostri. Mi riferisco alla sua concezione di Bohème. Quando Graham Vick mi guidava mi immedesimavo completamente nel personaggio dal punto di vista emotivo, tanto da dimenticarmi delle problematiche legate al canto. Ci si affidava a lui e si diventava un personaggio reale, autentico. Definirei Graham Vick un perfezionista della verità. Ricordo che nel III Quadro della Bohème a Bologna piangevo pur senza avere il magone. Vick mi ha condotto ad una sinergia tra canto e recitazione che mi ha portato ad affrontare con spontaneità le insidie del canto; mi ha reso spontaneo perfino cantare mentre correvo in scena!

Come definirebbe la sua voce? Quale pensa sia il suo repertorio d’elezione attualmente e verso quali strade in futuro potrà dirigersi la sua carriera? Qual è il suo sogno nel cassetto?

Penso di avere un suono morbido, una buona musicalità, timbro ambrato, un po’ elegiaco. Mi definirei soprano lirico leggero tendente al lirico puro, in fondo sono ancora giovane. Per il momento adoro cantare Mozart, il mio compositore d’elezione. Con Mozart non si rischia di bruciare le tappe.

Più in là nel tempo mi piacerebbe affrontare il Rossini serio: penso di avere buone agilità, un registro centrale e grave abbastanza corposo. Un giorno vorrei arrivare a cantare Desdemona nell’Otello di Rossini. Ma il mio sogno nel cassetto è un’altra Desdemona, quella verdiana: molto più in là vorrei arrivarci! Della Desdemona di Verdi adoro la scrittura vocale e la sua psicologia. Sono affascinata dall’incomunicabilità, innescata dalla gelosia, che si viene a creare nel rapporto tra Otello e Desdemona.

Ma il sogno non si limita a Desdemona! Mi piacerebbe riaffrontare, con nuova e maggiore consapevolezza artistica, Amelia del Simon Boccanegra e Alice del Falstaff, parti che ho cantato proprio all’inizio della mia carriera, rispettivamente al Teatro Carlo Felice di Genova e all’Italian Opera Academy con il maestro Muti. Un’altra parte che mi incuriosisce è quella di Medora del Corsaro di Verdi. Insomma, vorrei percorrere il repertorio della mia insegnate Frittoli.

E poi, chissà se un giorno riuscirò ad interpretare un’altra parte che adoro, Elisabetta di Valois del Don Carlo, magari affrontandola con un direttore che mi aiuti, sostenendomi con l’orchestra!

Quali sono state le produzioni della sua carriera che reputa finora più significative?

Sicuramente l’Aida a Salisburgo diretta da Muti nel 2017, nella quale interpretavo la Sacerdotessa, posta in scena dalla regista Shirin Neshat: non mi aspettavo che mi chiamassero per le prove di regia, perché in genere la sacerdotessa è fuori scena. 

Poi ricordo con particolare affetto Le nozze di Figaro andate in scena a Roma nel 2018, perché quella produzione è stata una vera e propria lezione di teatro, l’occasione per scoprire delle capacità che non pensavo di avere: sono emersi degli aspetti della mia gioventù da portare in scena. E, poi, La bohème a Bologna, sempre con la regia di Graham Vick, anche se non è una produzione nata con me: mi ha consentito di costruire un’interpretazione di Mimì.

Quali saranno i prossimi impegni?

Sarò Bettina in Lo sposo di tre e marito di nessuna di Cherubini a Firenze a fine gennaio 2022: sarà una parte molto “alla Despina”. L’opera sarà diretta da Diego Fasolis: sono molto contenta di lavorare con lui e sono convinta che sarà un’operazione culturale molto interessante. A Bruxelles, al Théâtre de la Monnaie, affronterò tre parti del Trittico di Puccini (Lauretta in Gianni Schicchi, l’Amante nel Tabarro e Suor Genovieffa in Suor Angelica).

Cosa ha provato qui al San Carlo nel vedere il teatro finalmente pieno?

È stata una emozione incredibile! Gli applausi dopo la prima rappresentazione mi hanno emozionato e mi sono venute le lacrime agli occhi. Ho detto tra me: “Finalmente il teatro è di nuovo pieno, si riascolta il boato degli applausi”. Ho percepito la tanta voglia del pubblico di tornare a teatro! E questa è una cosa bellissima, non del tutto scontata, dopo ciò che è successo..

Un’ultima domanda: chi è Benedetta Torre al di fuori delle scene?

Sono una persona molto sincera, schietta, spontanea. Sono una ragazza che ascolta anche altri generi musicali, che non si limita assolutamente alla lirica. Può sembrare strano, ma ascolto anche l’hard rock, l’heavy metal e un po’ di rap. Quando posso, vado anche a concerti rock!

Per il resto, amo molto la filosofia, mi piace leggere molti libri nelle pause tra una produzione e l’altra. E poi sono molto attratta dalla psicologia. Mi piacciono tantissimo gli animali, adoro la natura, coltivo rapporti veri, vado spesso al cinema, guardo serie tv. Insomma, sono una ragazza di 27 anni come tutte!

La ringraziamo per la disponibilità per questa chiacchierata e non ci resta che farle gli in bocca al lupo per i suoi prossimi impegni e, in particolare, per la sua carriera!

Crepi il lupo! E grazie a voi della rivista L’ape musicale per l’intervista!


 

 

 
 
 

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