L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Cantare il contemporaneo

di Gina Guandalini

Il debutto di Roberto Scandiuzzi è avvenuto in un’opera contemporanea del compositore torinese Lorenzo Ferrero. Il basso veneziano è uno degli ultimi grandi cantanti che l’Italia ha prodotto; e si tende a collegare la sua voce e la sua presenza scenica ai grandi ruoli di Verdi, a Oroveso, a Enrico VIII, a Mefistofele. Tuttavia nel suo variegato itinerario figurano alcune interessanti prime mondiali. Nell’affrontare in questi mesi il personaggi musorgskijano di Pimen (a Toulouse e prossimamente a Parigi) Scandiuzzi è impegnato anche in parti contemporanee. Di questa fetta del suo repertorio, che mette in primo piano la sua preparazione musicale e la sua presenza scenica, ha accettato di parlare con me.

Che posto assegneresti al repertorio contemporaneo nella tua carriera: sfida alle tue capacità di attore o contributo alla storia dell'opera?

Accettare di eseguire anche un repertorio contemporaneo ti mette a confronto con i gusti o con le evoluzioni musicali che esistono anche nell'opera. Un pianoforte rimane tale sia che lo si suoni per eseguire Bach oppure i Pooh, l'importante è farlo suonare rispettandone la qualità timbrica che magari abbellisce l’uno e aiuta gli altri.

Tu hai calcato le scene per la prima volta nella Figlia del mago, un "giocodramma melodioso," opera per ragazzi in due atti composta da Lorenzo Ferrero; l’ispirazione nasceva dal classico studio di Mario Lavagetto Quei più modesti romanzi: il libretto nel melodramma di Verdi. Ti ricordi come avvenne che il tuo debutto sia stato con “prima” contemporanea?

All'epoca Lorenzo cercava un basso per questa parodia dell’opera verdiana per ragazzi; io frequentavo l‘Istituto Musicale Manzato di Treviso. Lui si rivolse alla direttrice Enza Ferrari, perché gli indicasse “un giovin di belle qualitá”. Così Montepulciano col suo festival divenne il mio primo banco di prova in assoluto. L’ intesa con Ferrero fu facile ed immediata, siamo quasi coetanei, lui voleva scrivere per le voci  in modo "possibile" quindi l'interscambio fu fulmineo anche se quella partitura era giá posta in essere: il ruolo del Mago era già delineato quando sono arrivato. Io e lui ne ricalibrammo insieme alcuni punti ed anch'io imparai cosa significasse."scrivere per una voce ben precisa", cosa che mi tornó utile nelle esperienze successive!

Hai avuto dubbi?

Dubbi? Ora non saprei dire, credo di non essermene nemmeno posti.

Vuoi ricordare altri titoli di Ferrero nelle stagioni seguenti?

Nell’85 ho cantato il filosofo imbroglione Vinerblut in Mare nostro, un’opera buffa, ispirata alla commedia di Vittorio Alfieri del 1804 L'antidoto. Siamo andati in scena a Benevento e ad Alessandria. L’anno dopo ho cantato in Salvatore Giuliano all’Opera di Roma e in Germania. Il celebre bandito era Martinucci, io ero il capo della forza speciale per la repressione del banditismo, Più o meno nello stesso periodo ho partecipato a una composizione oratoriale di Lorenzo, in diretta radio negli studi del Foro Italico di Roma: La fuga di Foscolo per quattro voci, narratore, e piccola orchestra. Era il racconto di una fuga d’amore del grande poeta – che lui progettò ma non ricordo se la portò a termine.

Io ho presente il tuo Marat nella Charlotte Corday sempre di Lorenzo Ferrero, nell’89, tra un Verdi e l’altro. Eri un attore imponente.

Fu un’esperienza interessante, sulla confusione e sulla violenza della rivoluzione francese. Ma le richieste del grande repertorio, soprattutto verdiano, in quelle stagioni si fecero pressanti.

Con Lorenzo vi sentite ancora?

Certo che ci sentiamo, magari nelle feste comandate… ma il rapporto é rimasto vivo, l’esperienza di una prima mondiale a vent’anni crea legami che portano lo spirito dei compagni di università.

Il tuo rapporto con la creazione di un ruolo contemporaneo salta al 2015, con Le Braci di Marco Tutino. Questo è dovuto appunto al prevalere del grande repertorio ottocentesco nella tua carriera?

Esattamente, la mia agenda non rendeva possibile altre occasioni di prime mondiali. Con Tutino ci si conosce direi da sempre, almeno da quando abbiamo cominciato i rispettivi percorsi nel mondo del teatro parecchi anni fa. Ci sono state diverse collaborazioni quando lui era nelle direzioni artistiche, quindi lui conosce molto bene la mia voce e questo è uno dei motivi per cui ha chiesto la mia partecipazione ad alcune delle sue composizioni.Le Braci è un atto unico tratto dall’omonimo romanzo di Sándor Márai, lo abbiamo presentato al Festival di Martina Franca del 2015 e poi a Firenze.

La critica ha scritto di una grande prova di recitazione.

Sono un vecchio ufficiale dell’esercito austriaco nel 1940. Attende l’arrivo di un carissimo amico di gioventù con cui quarant’anni prima ha rotto i ponti. Questo amico aveva tentato di ucciderlo per fuggire con sua moglie. I ricordi del vecchio si fanno confusi e gli appare ancora piena di vita la moglie, da tempo morta. Arriva l’amico traditore Konrad e tutti i misteri, dell’odio e del tentato omicidio, si chiariscono in modo sconcertante: la vecchia badante dell’ufficiale canta “Siamo tutti morti, e tu ora lo sai. Accetta il tuo destino”. La musica di quest’opera è di scuola italiana; che non si vergogna di esserlo e che sembrava estinta con Giancarlo Menotti e Nino Rota. Un linguaggio che ricorda lo Stravinskij della Sagra, mixture di stili e linguaggi vari, dall’atonale al neotonale, dal classico al neoclassico con canto di conversazione, arie, valzer macabri e nel finale un pezzo concertato di stampo mozartiano

Altri titoli di Marco Tutino nel tuo repertorio?

Non ho potuto partecipare al suo Miseria e nobiltá per problemi di calendario, e poi mi ha cercato per altre sue cose, e mi è dispiaciuto parecchio. Però nel ’17 ho ripreso La ciociara, che chiaramente è tratta dal romanzo omonimo di Alberto Moravia. La prima esecuzione è stata all’Opera di San Francisco, la prima volta che gli Stati Uniti commissionavano un’opera a un italiano dai tempi di Puccini. Io ho preso parte alla prima esecuzione europea a Cagliari. Nelle due edizioni era protagonista Anna Caterina Antonacci, io ero il feldmaresciallo Fedor Von Bock.

Un cameo di fondamentale importanza, il profondo e allusivo Roberto Scandiuzzi ne ha tratto ogni sfumatura”, ha scritto un recensore…

È banale dirlo, ma non ci sono ruoli “piccoli”. Tutto può essere imbottito di significati e sottintesi.

Di recente hai affrontato un altro ruolo contemporaneo impegnativo, il giudice nell’opera Falcone – Il tempo sospeso del volo di Nicola Sani. Ci parli di questo compositore?

È un ferrarese attivissimo,molto curioso nei confronti delle nuove tecnologie sonore: siè specializzato con Stockhausen. Adesso è anche direttore artistico dell'Accademia Chigiana. Falcone l’ho interpretato, appunto nel ruolo del giudice, nel trentennale dell’attentato di Capaci, due anni fa. L’opera è un lavoro del 2007 che è stato totalmente revisionato. Eravamo a Trento, ho lavorato con Stefano Simone Pintor per la regìa. Sani ha portato in scena proprio le interviste relative, il maxi processo; e in concreto lo svincolo autostradale sventrato dall'esplosione, i rottami delle auto saltate in aria, i documenti del magistrato. Come stile compositivo è il recitar cantando dei nostri tempi, alternato a dialoghi in prosa. Il prologo è in musica elettronica. Io ho avuto, come tu sai, recensioni molto positive, anche come attore.

Tu come ti sei sentito a interpretare il personaggio?

Amo il teatro di prosa, fondere canto, declamazione e recitazione mi mette a mio agio. Il testo poi è basato sulla documentazione processuale, c’era bisogno di una declamazione molto chiara delle parole, quindi, pur rimanendo dentro una guida armonica, la cosa si risolve con una recitazione e uno speech su guida musicale; è una fusione tra musica in orchestra e musica elettronica, fatte salve delle frasi "cantabili" .

Come spiegheresti questo sottotitolo del “tempo sospeso”?

Il tempo sospeso vuole concentrarsi sulle possibili riflessioni di Falcone in quei brevi istanti in cui si svolge l’esplosione... voglio dire che in pochi frammenti di secondi gli è passata davanti la sua vita di magistrato e si trattava di descrivere questi momenti.

C'è un progetto di riprendere quest'opera?

Sì, esiste un progetto di ripresa a Bologna… ma non so quanto questo possa avere efficacia una volta passato l’anniversario. Rimane comunque un tema utile alla memoria della nostra storia.

Dopo Falcone ho preso parte al Requiem per le vittime della mafia al Massimo di Palermo, con Desirée Rancatore. Era stato composto nel ‘93 da sette musicisti contemporanei su testo di Vincenzo Consolo.Io ho cantato i brani dove c’è la voce di basso, il Dies Irae di Carlo Galante e il Sanctus di Matteo D’Amico. Gli altri contributi erano di Lorenzo Ferrero, Paolo Arcà, Giovanni Sollima, Marco Betta e Marco Tutino. Il mio modo di essere contro le mafie!

Tu stai per cantare l’opera di un altro compositore di oggi, Cristian Carrara. Come è nato il contatto?

Eravamo insieme in giuria al concorso Toti dal Monte di Treviso nel ’22. Cristian è nato a Pordenone, abbiamo fatto amicizia. Non so se potrò partecipare per questioni di salute, ma breve, a Metz e a Modena – è una coproduzione - dovrei cantare il ruolo principale nella sua opera Voci da Hebron. È Carrara che mi ha cercato, sempre in virtù di una certa attinenza vocale e personale al ruolo. Il libretto è di Sandro Cappelletto, si tratta di una storia di amore tra un “vecchio” e la giovane Hannah, ci sono dei confronti generazionali, per concludere con il passaggio ereditario della terra che rimane il sangue vitale a cui ognuno poi ricorre. L’argomento ovviamente è di tragica attualità per la gravissima recente crisi dei rapporti tra israeliani e palestinesi.

Tu mediti ancora un altro progetto in prima mondiale, ce ne vuoi parlare?

In Egitto è prevista l’inaugurazione del museo egizio più grande del mondo, il GEM, il Grand Egyptian Museum, nella piana di Giza. Era prevista da qualche anno ma questi progetti faraonici (qui è proprio il caso di dirlo) slittano inevitabilmente.C’è questo compositore siciliano, Lino Zimbone, che ha ricevuto l’incarico di comporre un’opera lirica su Tutankhamon. Un famoso egittologo ha scritto il canovaccio del melodramma, che, un po’ come a suo tempo l’Aida di Verdi, solennizzerà questa inaugurazione. La messa in scena si svolgerò in una struttura piramidale che poi si prevede che girerà il mondo. La situazione in Medioriente e in Egitto è quella che è e tutto può accadere. Ma io sono sempre disponibile ad affrontare, come dire, una teatralità moderna.


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