L’Ape musicale

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"È la fede delle femmine come l’Araba fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa!"

 

 

È con l’Opera l’appuntamento inaugurale della 58a edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto: una nuova produzione, in collaborazione con la Fondazione Teatro Coccia di Novara, dell’opera Così fan tutte di W.A. Mozart. Un’opera straordinariamente complessa sul senso dell’amore. La storia di una scommessa sulla fedeltà femminile, raccontata con maestria dai versi di Lorenzo Da Ponte e prodigiosamente messa in musica dal genio di Mozart.

L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, fondata da Riccardo Muti, è condotta da James Conlon, direttore di fama internazionale, la regia è di Giorgio Ferrara, le scene e i costumi sono dei premi Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, le luci di Daniele Nannuzzi. L’International Opera Choir è diretto dal maestro Gea Garatti.

 

 

Così fan tutte, o sia La scola degli amanti, è la terza ed ultima delle tre opere scritte dal compositore salisburghese su libretto di Lorenzo da Ponte, dopo Le nozze di Figaro (1786) e Don Giovanni (1787). Fu commissionata dall’imperatore Giuseppe II in seguito al successo delle riprese viennesi di Don Giovanni(maggio 1788) e delle Nozze di Figaro (agosto-novembre 1789). La prima rappresentazione ebbe luogo al Burgtheater di Vienna il 26 gennaio 1790, quasi al termine di quello che verrà poi definito come il noto decennio d’oro del grande compositore austriaco, poco prima della sua morte. L’opera continua a piacere anche nel terzo millennio: il segreto della sua longevità è nella magia della musica mozartiana, nel raffinato gioco linguistico, nella storia arguta e intrigante di una scommessa pericolosa, raccontata con maestria dai versi di Lorenzo Da Ponte, che mette alla prova la saldezza dei sentimenti per rivelare tutta la fragilità dell’essere umano. Composta dai classici due atti, si snoda attraverso sedici scene nel primo atto e diciotto scene del secondo, raccontando la storia di una scommessa sulla fedeltà femminile.

Al centro della vicenda, domina il tema amoroso e l’intreccio è di un’ammirevole geometria teatrale. Nella Napoli del XVIII secolo gli ufficiali Ferrando e Guglielmo scommettono con il cinico Don Alfonso che le loro fidanzate, le sorelle Fiordiligi e Dorabella, rimarranno loro fedeli. Don Alfonso vuole dimostrare che le ragazze sono, come tutte le altre, pronte al tradimento. Fiordiligi e Dorabella apprendono da Don Alfonso che i loro fidanzati stanno per partire, richiamati in guerra. Le due donne vengono convinte da Despina, pagata da Don Alfonso, ad accettare la corte di due albanesi che altri non sono che i loro fidanzati travestiti. Secondo il piano concordato con Don Alfonso, i finti albanesi corteggiano le dame, ma Guglielmo si rivolge a Dorabella e Ferrando a Fiordiligi, scambiandosi i ruoli e mettendo alla prova la fedeltà delle fidanzate. Sulle prime, l’atteggiamento virtuoso delle ragazze desta il compiacimento degli ufficiali, ma dopo tante lusinghe, le sorelle, ormai attratte dai due albanesi, cedono accettando di sposarli. Nel bel mezzo del banchetto nuziale viene annunciato il ritorno degli ufficiali. Gli albanesi si eclissano e al loro posto tornano i fidanzati delusi. Guglielmo e Ferrando svelano l’intrigo e alle ingannate e ingannatrici, Don Alfonso riassume la morale della vicenda: alla scuola degli amanti il disinganno può solo portare saggezza. Si celebrino dunque le nozze: Fiordiligi con Guglielmo, Ferrando con Dorabella.

L’amore femminile è superficiale, dunque, ma è anche vero che Ferrando e Guglielmo - gettando i rispettivi travestimenti - sconfiggono il filosofo e perdonano le loro fidanzate. Le virtù dell’amore trionfano col ricomporsi delle coppie così come esse erano in origine. Né il cinismo del vecchio Don Alfonso né le malizie femminili della sua complice, la serva Despina, riescono a snaturare la passione amorosa, che ha subìto una semplice prova, vittoriosamente superata. In altre parole, l’amore è intangibile e inattaccabile dagli assalti che subisce tanto dal razionalismo filosofico quanto dai vizi mondani e se il valore dell’amore sta più nel perdono dei maschi che nell’umana debolezza delle donne, ciò corrisponde perfettamente all’ideologia dell’epoca.

[dalle note di sala del Festival di Spoleto]


 

 

 
 
 

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